Dalla dittatura militare alla dittatura economica
Clima di violenza
Vi scrivo da São Paulo, dove vengo periodicamente per collaborare nella redazione della nostra rivista missionaria Sem Fronteiras. Mezz’ora fa abbiamo sentito degli spari: era un assalto ad una casa vicina, per fortuna senza conseguenze alle persone.
Stamattina ho ricevuto un avviso da São Luis, la città ove risiedo: un collaboratore del nostro centro di formazione sociale è stato ucciso a coltellate la notte scorsa in una rissa in circostanze ancora sconosciute.
È un ambiente carico di violenza e di insicurezza quello che si respira oggi in Brasile. Non certo per noi missionari, ma per la gente, per i poveri. Molti vanno in giro armati per difendersi dalle possibili minacce. Gruppi di giovani, spesso delle classi umili, si costituiscono in bande armate per assaltare e attaccare. Il consumo o il traffico di droghe aumenta la loro pericolosità.
Di fronte a questa situazione, l’arcivescovo di Paraiba, in occasione delle feste per il primo centenario della costituzione della chiesa locale, ha proposto alla gente un gesto di riconciliazione: “Datemi un’arma e vi darò una Bibbia”. Le armi raccolte saranno fuse e trasformate in strumenti di lavoro.
Cause profonde
È sempre più evidente che le cause profonde di questa situazione di violenza risiedono nella miseria di molta gente. L’inflazione è ormai di circa 50% al mese, nonostante le promesse e i piani mirabolanti per sconfiggerla. È stata pubblicata oggi una statistica ufficiale che rivela che 20 milioni della popolazione economicamente attiva sono disoccupati o sottooccupati e non arrivano neanche a guadagnare un salario minimo (che corrisponde oggi a circa 65 dollari) al mese. Il noto vescovo dom Pedro Casaldáliga afferma: “Siamo passati dalla dittatura militare alla dittatura economica. C’è il pericolo che il popolo identifichi la democrazia politica con la miseria e qualcuno invochi il ritorno ai “governi forti” del passato”.
L’incertezza aumenta e pesa come una cappa di piombo di fronte alla macchina politica che nuota nel fango della corruzione e si muove quasi solo per produrre consenso (quest’anno ci saranno le elezioni politiche) o per gli interessi delle “élites”. In questo senso procede la revisione in atto della Costituzione, approvata solamente nel 1988. La maggioranza neo-liberale del Parlamento vuole svuotarla delle poche conquiste popolari in essa contenute, ridurre i diritti alla terra degli indios, creare le condizioni giuridiche per la privatizzazione delle imprese statali strategiche e l’apertura al capitale straniero. I vescovi del Brasile hanno parlato di questa revisione come di uno “spettacolo deplorevole”.
Segni di speranza
Ma di fronte a tutti questi aspetti negativi, ci sono tanti piccoli fermenti che animano il tessuto sociale: sono i movimenti popolari che crescono e si moltiplicano senza molti mezzi e senza molte pretese, ma portano avanti un nuovo progetto politico basato sulla partecipazione, la creatività, la solidarietà, la risposta concreta e comunitaria ai problemi. Sono i movimenti dei senza terra, dei favelados, dei comitati di quartiere, i comitati contro la fame e per la creazione di nuovi posti di lavoro, le assemblee popolari e consigli comunali, movimenti per la liberazione della donna, per i diritti umani…. Hanno bisogno di crescere ancora, di articolarsi, di esprimersi come forza politica unitaria. Ma essi, poco a poco, si contrappongono all’arroganza del potere costituito, come Davide di fronte a Golia.
La Chiesa negli ultimi anni ha investito molti sforzi in questi movimenti popolari che sono spesso sorti dal lavoro delle comunità ecclesiali di base. Anche noi stiamo cercando di collaborare. Il nostro centro di formazione sociale di São Luis, soprattutto attraverso la scuola di formazione politica, si destina soprattutto ai movimenti popolari. Siamo convinti che il Signore che “abbatte i potenti dai loro troni ed esalta gli umili” sta costruendo, in questa realtà di bene, un frutto di speranza.
Iniziative ecclesiali
Vorrei ricordare anche, come iniziativa importante della Chiesa del Brasile, la Campagna della fraternità che si sviluppa soprattutto durante la quaresima e che quest’anno ha come tema la famiglia. Il testo base che ispira la campagna afferma: “La società crea e moltiplica la morte attraverso la fame, il degrado delle persone, la ricerca del benessere al di fuori dei principi morali, l’aggressione alle donne e ai bambini, la violenza, la divinizzazione di comportamenti e valori che mortificano l’essere umano. Le famiglie soffrono le conseguenze di questa cultura della morte…”.
E l’Italia?
Ho parlato lungamente del Brasile, perché questa è la realtà che vivo. Ma mi arrivano frequentemente anche notizie dall’Italia, sugli intrecci sempre più torbidi tra affari e politica e sulla crescente crisi economica e dell’occupazione. Uno di voi mi ha scritto a rispetto dell’Italia: “Altro che repubblica delle banane!”. Altri mi scrivono di un clima generale di sfiducia e di rifiuto della politica da parte della gente, e della tentazione di molti di andare dietro a chi monta il cavallo del malcontento senza veri progetti alternativi. Le nebbie anche lì sembrano sempre più fitte. Si direbbe che, fatte le debite proporzioni, si stanno verificando anche in Italia molte cose che succedono in Brasile.