Commercio internazionale
Dopo avere parlato nel precedente numero di Madrugada delle vicende
legate alla”tempesta valutaria” dello scorso autunno,
riprendiamo la riflessione sul Commercio Internazionale lasciata in
sospeso nel penultimo numero.
Allo scopo di contestualizzare (per meglio comprendere) le
riflessioni che andiamo a fare, evidenzio che gli ultimi mesi sono
stati caratterizzati da continui e crescenti flussi di informazioni
nefande sull’economia internazionale. Siamo stati assaliti da un
incubo: la recessione.
Tenuto presente il contesto, lo sforzo richiestoci è quello di
capire quali sono le prospettive che si presentano per i Paesi in via
di Sviluppo (PVS).
REGIONALIZZAZIONE DEGLI SCAMBI
Come già detto, a livello internazionale è in atto (in parte si è
già realizzata) una profonda ristrutturazione nell’organizzazione
degli scambi commerciali.
Tale processo viene definito “regionalizzazione degli scambi”.
Ciò significa che si stanno costituendo (in parte si sono già
costituite) alcune aree sovranazionali che hanno lo scopo di
facilitare ed incentivare gli scambi commerciali all’interno delle
stesse.
Le tre regioni “forti” hanno come poli: Giappone (area
sud-est asiatico); Stati Uniti (area Americhe); Comunità Economica
Europea (area Europa).
Oltre ad un discorso di carattere generale che verrà ripreso qualche
paragrafo più avanti, i PVS sono interessati (al momento
limitatamente) a quanto succede nell’area delle Americhe.
Qui è infatti già operativo un accordo di libero scambio tra
Canada, Stati Uniti e Messico. Si tratta di un progetto che, in tappe
successive porterà ad una pressoché completa integrazione le tre
economie. L’ex presidente degli Stati Uniti Bush, verso la fine del
suo mandato, aveva progettato un ampio accordo definito “Iniziativa
per le Americhe”, del quale il N.A.F.T.A. (sigla che
contraddistingue l’accordo vigente tra Canada, Stati Uniti e Messico)
costituisce solo la prima parte.
Il disegno di Bush prevede la creazione di un’unica area di libero
scambio che va dall’Alaska al Cile (ossia, tutti gli stati delle
Americhe).
Pressoché contemporaneamente alla nascita del “NAFTA”,
Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay costituivano il “MERCOSUR”,
mercato del cono sud, avente gli obiettivi tipici (già richiamati)
di qualsiasi altra regione commerciale.
PROTEZIONISMO
A quale logica risponde la “regionalizzazione degli scambi?”
Va detto che l’evidenza empirica del fenomeno non è univoca.
Ciò significa che non è detto né che la creazione di aree
commerciali porti ad un più marcato protezionismo, né viceversa.
Certo che se il fenomeno viene letto unitamente ad altri avvenimenti
non si può escludere che l’obiettivo cercato sia proprio quello di
elevare barriere protezionistiche.
Si pensi che dal settembre del 1986 sono in corso le trattative
(Uruguay Round) per il rinnovo degli accordi GATT, accordi che
regolano, incentivano e promuovono il commercio tra stati.
Le bozze di accordo prevedono maggiore liberalizzazione negli scambi
rispetto alla situazione attuale. A bloccare le trattative, sono
alternativamente, CEE e Stati Uniti.
I PVS spingono perché l’accordo sia firmato. Ciò significherebbe
avere più possibilità di esportare i propri prodotti nei paesi
industrializzati.
E’ stato stimato che l’abbattimento delle barriere commerciali nel
solo settore tessile\abbigliamento, consentirebbe di aumentare le
esportazioni dei PVS di circa 11 miliardi di dollari e dei paesi
industrializzati di circa 6 miliardi di dollari.
Paradossalmente quindi, contrariamente a quanto si vorrebbe far
credere, i PVS spingono per una maggiore apertura dei mercati mentre
sono i paesi industrializzati a spingere nel verso opposto.
E i livelli di protezione attuati da questi ultimi sono
particolarmente elevati nei settori maggiormente sviluppati nei PVS.
L’avvento alla Casa Bianca di Clinton, è corrisposto con una più
marcata ripresa del protezionismo. Ciò, si dice, per sostenere le
industrie locali. Economisti di elevatissimo rango, sostengono
esattamente il contrario e cioè che il protezionismo, soprattutto
nel lungo periodo, può portare alla distruzione delle imprese
“protette”.
QUALE COOPERAZIONE
Una riflessione ritengo sia doverosa. La cooperazione con i PVS è
quasi esclusivamente stata intesa da parte di noi ” paesi
sviluppati “come un flusso di finanziamento da erogare, per il
sostegno di mega-prodotti molte volte inutili.
Soldi che sovente anziché finanziare la costruzione della città
degli uomini, andavano a foraggiare Tangentopoli…
Perché i governi non si sono mai impegnati in una revisione delle
regole che disciplinano le relazioni politico – economiche
internazionali ?
Ritengo che in mancanza di interventi che vadano ad incidere sui
meccanismi perversi attualmente operanti (oltre a quello indicato,
vedi per esempio la questione del debito estero dei PVS), la
situazione non potrà cambiare.
E troppo spesso ci sfugge un aspetto di fondamentale importanza. Noi
pensiamo che tutelandoci oggi saremo a posto per sempre. Ed invece
gli effetti delle scelte attuate oggi si ripercuotono anche da noi.
L’ingiustizia, la sperequazione delle scelte di natura economico –
politica attuate a sfavore dei PVS, hanno effetti ( se non nel breve,
certamente nel medio – lungo periodo) anche sul nostro standard di
vita.
E i boomerang, ci stanno già rimpiombando addosso. Basti pensare
alle immigrazioni di cittadini del sud del mondo oppure alla
questione ambientale
INTERROGATIVI MARGINALI
Cosa dire degli accordi di libero scambio tra PVS ? C’è il forte
rischio che si tratti di esperienze poco significative (questo è
anche quanto ci dice l’evidenza storica relativamente ad esperienze
attuate nei PVS latino – americani). Esistono spesso grosse
differenze tra uno stato e l’altro, che impediscano veri e propri
processi di integrazione.
Inoltre, considerato lo stato di debolezza in cui si trovano, è
facile che nelle proprie scelte il singolo Paese sia fortemente
condizionato dalle grosse potenze, che possono senz’altro utilizzare
un’ampia gamma di strumenti di ricatto.
Sono quindi esperienze che possono avere una loro significatività,
ma che necessitano di operare in un contesto di regole diverso da
quello attuale.