Meditare per cambiare

di Colli Carlo

“Quando il bianco è arrivato nella nostra terra, l’indio pensava che era dalla parte di Dio. Infatti il bianco ha tutto, l’indio niente. Ma il bianco è venuto, ed ha rubato le nostre terre. Poi ha portato le malattie, ha insidiato le nostre donne. Gli indios si sono ribellati, ma il bianco li ha massacrati. Ed allora l’indio ha capito che il Dio dei bianchi era cattivo”. Così si rivolgeva al segretario dell’ONU, l’indio Gabriel Makuxi La storia di “questo dio cattivo” continua da cinquecento anni. Nel corso del secolo XV, Portoghesi e Spagnoli, intrapresero una vasta serie di viaggi di esplorazione. Così cominciò quello9 che si definisce, con terminologia eurocentrica, l’epoca delle “scoperte” geografiche. Dal 1415 al 1460, indiscusso animatore dell’espansione portoghese fu il principe Enrico il Navigatore. Egli consolidò la potenza marinara portoghese e cominciò un’opera di esplorazione sistematica delle coste africane. Questo avrebbe consentito di aprire una nuova via orientale alle Indie, estremamente vantaggiosa perché aggirava l’ostacolo turco. Per poter sancire giuridicamente le conquiste africane, il re del Portogallo Alfonso V chiese ed ottenne una bolla papale, che riconoscesse alla sola corona portoghese il legittimo possesso di queste terre. Unica contropartita richiesta dal papa Nicolò V era la diffusione in queste terre della Fede cristiana.. Alessandro VI, Borgia, cambia le decisioni dei predecessori solo per favorire la Spagna, sua patria di origine. Alla fine del secolo quindicesimo era terminata la riconquista della penisola iberica da parte del re di Castiglia. Sull’onda di questo successo contro i Mori, Cristoforo Colombo ottiene i mezzi per il suo primo viaggio, del 1492, con l’obiettivo di “buscar el Levante por el Poniente”. Al ritorno dal primo viaggio Colombo fu costretto a sbarcare in Portogallo. Il re Giovanni II, quello stesso che aveva respinto come fantasiose le idee del navigatore genovese, assunse un atteggiamento fortemente polemico. Il re del Portogallo, sulla base dei diritti a lui attribuiti dalle bolle papali, considerava le scoperte di Colombo di sua appartenenza.
I reali di Spagna fecero subito pressioni su Alessandro VI per ottenere il riconoscimento giuridico del loro dominio sulle terre conquistate. Il Papa spagnolo non deluse le aspettative in lui riposte . Sei sono le lettere pontificie per dirimere la controversia sorta tra la Spagna e gli altri regni cattolici, in Particolare il Portogallo, per il possesso delle nuove terre, e per regolarne l’amministrazione ecclesiatica. La più importante è del 1493, la “Inter Caetera”. Il Papa si sofferma sulla necessità della diffusione della fede in ogni luogo; questa intenzione è condivisa dai re spagnoli, i quali hanno inviato Cristoforo Colombo a cercare nuove terre al fine di “indurre i loro abitanti al culto del nostro Redentore ed alla professione della religione cattolica”. Solo un accenno, quasi casuale nella lettera pontificia, all'”oro, spezie, e moltissime altre cose preziose di vario genere e qualità” trovate in queste nuove terre. Per favorire l’evangelizzazione il papa stabilisce che le nuove terre , scoperte e da scoprire, siano suddivise tra Spagna e Portogallo. La linea di demarcazione è indicata da Alessandro VI al 38° meridiano ovest e fissata dai due sovrani, con il trattato di Tordesillas del 1494, al 47° meridiano. Il testo papale continua affermando che “ve le doniamo ed assennato con tutti i loro domini, città, castelli, luoghi e ville, diritti, giurisdizioni e pertinenze. Questo significa che gli indigeni sono ridotti a res nullius, a cosa senza valore, a prede di guerra. Tutto questo fa affermare al re di Francia che lui sarebbe stato molto curioso e felice di vedere nel “testamento di Adamo” la clausola che lo avrebbe escluso dalla divisione del mondo. Questa battuta di Francesco I solleva il velo su quanto stava accadendo e suscita una serie di questioni decisive sulla natura di queste operazioni: erano azioni di evangelizzazione o occasione di grandi profitti per alcune nazioni europee? E gli abitanti di queste terre erano considerati uomini “semplici”, da arricchire con la “buona novella” di Cristo, oppure esseri “naturalmente” inferiori, da sfruttare senza nessuno scrupolo come schiavi? La risposta a questi interrogativi è nella storia dei cinquecento anni che ci separano da questi avvenimenti, nel perdurare dell’ingiustizia, dello sfruttamento violento degli uomini e della natura. Una volta distrutte le popolazioni indigene cominciò una lunga storia di schiavismo, dall’Africa verso le Americhe. Ufficialmente questa tragedia è terminata nel 1888, quando il Brasile per ultimo abolì la schiavitù. Attraverso i secoli l’America Latina non ha sofferto solo il saccheggio dell’oro e dell’argento, del salnistro e del caucciù, del rame e del petrolio: ha sofferto anche l’usurpazione della memoria. Molto presto è stata condannata all’amnesia da coloro, che le hanno impedito di essere. La storia ufficiale latino-americana si riduce ad una sfilata di notabili con uniformi appena uscite dalla tintoria. Ecco che in primo luogo bisogna dare voce a chi per molto tempo non ha avuto la possibilità di esprimersi, a quelli che la violenza ed il sopruso degli occupanti, ieri i conquistatori, oggi le oligarchie capitaliste, il debito estero, le guerre a bassa intensità, hanno reso non-uomini. Da queste voci dell’altra America Latina viene prima di tutto una lezione morale e politica, che ci deve far riflettere su quanto il sistema economico del Nord ha provocato nel Sud e sul Sud: ristagno e dipendenza economica; il risultato di tutto questo sono la povertà, l’analfabetismo, le malattie, la mortalità infantile.
Nel 1974 si riuniva per la prima volta, nel Paraguay, il cosiddetto “parlamento indiano” dell’America Latina a cui parteciparono 32 etnie indigene (vedi “Il Regno” 1 giugno 1975). Nel documento finale di questa riunione gli Indios riaffermano la legittima proprietà delle loro terre, usurpate e rubate dai conquistatori, che hanno compiuto e continuano a compiere un genocidio per impossessarsene. “Quando i colonizzatori sbarcarono in America, trovarono terre fertili” così afferma il documento “montagne ricche di boschi e di animali con pelliccia pregiata, immense miniere ricche d’oro, di argento ed altri minerali preziosi. Noi coltivavamo la terra, lavoravamo in comunità, difendevamo i nostri popoli senza temere nulla; attualmente coltiviamo le nostre terre, ma per altri. (…) I popoli indiani d’America hanno tutti una cultura millenaria. I conquistatori, i bianchi di oggi, i cosidetti civilizzati o meticci e perfino i membri degli stessi nostri popoli, che hanno rinnegato le loro origini hanno tentato di distrugger i nostri valori culturali (…) Come popoli originari d’America rispettiamo le culture e gli idiomi delle altre civiltà; esigiamo in cambio che ci si rispetti con tutti i nostri valori.” A cinquecento anni dalla cosiddetta scoperta dell’America, più che festeggiare converrebbe meditare sui disastri sociali che abbiamo provocato o favorito in vario modo ed in epoche diverse, nel mondo.