Il bene comune
Motore della politica, ruota della ricerca critica
Laicità e politica
L’interessante definizione di laicità come spazio dell’interrogazione mi pare sia di particolare rilevanza per la politica.
La politica nasce, vive e si sviluppa in un ambito essenzialmente laico e come tale è frutto di riflessione e di ricerca continue.
La politica è finalizzata al governo della società attraverso la ricerca e il raggiungimento del maggior bene comune possibile.
Questa sua finalizzazione dovrebbe renderla, a un tempo, specchio consapevole, coscienza critica e strumento progettuale, regolatore della società.
L’approfondimento culturale, la ricerca continua sui problemi della realtà umana e sociale, il confronto con la storia della propria comunità inserita nel mondo globale, la progettazione intelligente e sapiente delle risposte ai problemi emergenti, la loro realizzazione attraverso un esercizio della mediazione creativa tra principi, interessi in campo e obiettivi proposti, l’assunzione della responsabilità personale e collettiva come carattere discriminante dell’agire politico, fino a pagare di persona, se del caso, rappresentano i vari aspetti dell’esercizio di una buona politica.
Questo statuto deontologico della politica è oggi largamente contraddetto nella pratica quotidiana, nel nostro e in altri paesi.
Certo, tra la concezione ideale della politica e la sua coniugazione nella pratica quotidiana esiste sempre un divario per cui occorre rifuggire da risposte semplificatrici e moralistiche.
Problemi: globalizzazione ed emigrazione
Oggi, a mio avviso, il primo problema che interroga la politica è la sua sostanziale impotenza di fronte ai problemi in gran parte inediti che essa deve affrontare e rispetto ai quali sperimenta, sempre più spesso, il suo limite, se non la sua marginalità e insignificanza.
Il processo di globalizzazione economica e politica, al di la delle analisi ottimistiche circa le sue potenzialità di inserire i paesi meno sviluppati nelle direttrici dello sviluppo mondiale, rimane un teatro di scontro nel quale i puri rapporti di forza hanno ancora la netta prevalenza sulla regolazione politica. Istituzioni internazionali gracili, pensate e previste in un contesto radicalmente diverso (ONU, FMI, Banca Mondiale, WTO), risultano del tutto inadeguate a promuovere uno sviluppo equilibrato e non sono in grado di superare le barriere protezionistiche con le quali i paesi sviluppati difendono i loro livelli di sviluppo raggiunti mentre si guardano bene dall’incrementare le politiche di cooperazione internazionale.
La guerra rimane perciò una dolorosa conseguenza di tale stato di cose, che la politica e la diplomazia internazionali non riescono a debellare.
Così, dopo decenni di critica radicale del modello di liberismo selvaggio prevalente nei rapporti internazionali, le disuguaglianze economiche e sociali tra i diversi paesi e dentro i singoli paesi, risultano ulteriormente aumentate e subentra sempre più, nella coscienza collettiva internazionale, la convinzione di un sostanziale ordine economico naturale, nel quale paesi ricchi e poveri sono destinati a convivere senza mutare la sostanziale subordinazione dei secondi.
Un altro problema nel quale corollario di quello precedente, è il graduale ma inarrestabile, affermarsi della società multietnica, conseguente alla intensificazione dei flussi migratori verso i paesi sviluppati. L’incontro a livello di massa di storie, culture, religioni ed esperienze diverse, ove non accompagnato da politiche attive di convivenza consapevole, sta portando inevitabilmente a situazioni di conflitto e di subordinazione umana intollerabile che, a loro volta, sono propedeutiche di conflitti futuri.
Pensare di scongiurare tale prospettiva con politiche che si richiamano allo scontro di civiltà o di contenimento di segno xenofobo o razzista, è semplicemente folle e ha lo stesso effetto del fermare un fiume con un dito.
Principi morali e valori condivisi
Un terzo problema che sanziona l’impotenza della politica riguarda i termini del tutto nuovi nei quali si pone il rapporto tra scienza e il futuro dell’uomo. Mentre la ricerca scientifica ha ormai da tempo varcato la soglia della possibile riproducibilità del corpo umano fino a inoltrarsi nel mistero della vita e della personalità umana, la politica pensa ancora di poter risolvere il problema con semplici vincoli giuridici esterni, del tutto inefficaci se non accompagnati da limiti etici che solo una cultura e un sistema di valori condivisi possono realizzare. Anche in questo caso la politica verifica fino in fondo la sua limitatezza, che la rendono un fattore necessario ma non sufficiente a regolare questi processi. Quando essa pensa e agisce in termini di autosufficienza va incontro a sostanziali sconfitte. Questo è, a mio avviso, il caso della recente legge 40/2004 sulla fecondazione medicalmente assistita che pretende di regolare un delicatissimo problema, come quello della riproduzione della vita umana, frutto di scelte libere e autonome, da parte della coppia, con un vincolo giuridico esterno non adeguatamente condiviso dall’insieme della nostra società. Con una brutta legge, creatrice di evidenti contraddizioni con l’insieme della legislazione precedente, e non condivisa da una parte rilevante della società italiana, si è deciso di regolare un problema eticamente rilevante, creando un pericoloso precedente, foriero di ulteriori conflitti, e probabilmente di esiti legislativi insoddisfacenti, anche in altri problemi di analogo rilievo etico e sociale, connessi alla vita e alla morte delle persone, come il testamento biologico e l’eutanasia. Stupisce che tale inadeguata soluzione sia stata sostenuta da componenti del nostro sistema politico che fanno più diretto riferimento all’ispirazione cristiana nella politica. Pensare di risolvere problemi così delicati e complessi, in una società pluralista e secolarizzata, inserendo meccanicamente principi etico-religiosi, in sé giusti, nelle leggi dello Stato laico, si compie a mio avviso una semplificazione e una forzatura. Nel caso della legge 40 è mancata quella mediazione intelligente ed eticamente non neutrale, che avrebbe consentito di costruire una regolazione più equilibrata tra le diverse opzioni presenti nella società, e creare così le condizioni per una regolazione maggiormente condivisa ed efficace. Dal mancato raggiungimento di questo obiettivo è sorto il successivo referendum abrogativo, che ha rappresentato pure un tentativo semplificato di affrontare un problema complesso, quindi anch’esso inefficace.
Il limite pastorale della Chiesa italiana
Questa carenza di laicità politica praticata, rappresenta un grave limite di tanti cristiani impegnati in politica che, a oltre quarant’anni dal Concilio, non hanno ancora acquisito la differenza tra i principi e la loro traduzione nel processo legislativo, che solo attraverso la mediazione responsabile è possibile ricomporre.
Questa grave situazione è anche frutto di un evidente limite pastorale della Chiesa italiana, che spera di superare il problema richiedendo ai politici cristiani il rispetto dei principi, mentre i vescovi, in particolare il presidente della CEI, ricerca le mediazioni politiche. In tal modo si perpetuano le condizioni per acquisire una fedeltà senza responsabilità, che rappresenta la premessa di un ruolo politico gregario e subalterno.
Ben diverso era, tanti anni fa, il contenuto di un breve discorso dell’allora cardinal Montini ai giovani cattolici, quando affermava: «Per molti cattolici il modo di rapportarsi al mondo di oggi è quello di fargli la guerra. E tale modo trova oggi molti adepti per due motivi. Il primo perché in questo modo tutto diventa chiaro, tutto è più facile, tutto è risolto: ci sono solo dei principi da affermare e degli avversari da combattere. Il secondo è che in tal modo più facilmente si siede ai primi posti. Ma così, cari giovani, non fate il vostro dovere. Occorre uscire dalle trincee, entrare nel mondo, capire i suoi problemi e costruire, con gli altri, risposte cristianamente orientate».
Questa mi pare la sfida che sta dinnanzi alla politica, e in particolare ai politici che si reputano cristiani, fare della laicità un fattore di qualificazione della politica e di una autentica convivenza democratica.