Il tempo del tradimento

di Monini Francesco

Ancora sull’innocenza.

Amo di vero amore i miei tre bambini. E adoro i bambini e i ragazzi che lasciano gli ormeggi e prendono il mare della vita adulta. Tutti. O quasi tutti. Alcuni – pochi – sono francamente insopportabili. Ma basta passare un quarto d’ora con i loro genitori per vedere il tradimento che hanno compiuto verso i figli. Molti regali e moltissime merendine, ma poco tempo, poco ascolto, pochissima attenzione. Poco amore. Anche perché – vivaddio – non è con l’amore che ci si fa strada in un mondo di lupi.

O perché semplicemente – poveri genitori – la grammatica dell’amore l’hanno dimenticata da un pezzo.

 

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Bisogna essere molto distratti per dire certe cose. Dal lavoro, dal denaro, da se stessi.

Per dire – come sento dire tutti i giorni – che i bambini e i ragazzi non sono più quelli di una volta. Che i bambini – bombardati dagli omogeneizzati, dalla tivù, dalla pubblicità, dalla play-station, dalla moda-bimbo – abbiano smesso di essere bambini. Che l’etica del mercato, del consumo, della violenza, abbia estirpato l«innocenza dalla infanzia?

Negli anni Sessanta, quando ero piccolo piccolo, ricordo che ancora si premiava in tutte le cento città d’Italia ‘il bambino più buono’. In cima a tutti, distintosi per un particolare atto di eroismo o di dedizione al prossimo, c’era anche il Garrone nazionale. Sui giornali, e sullo schermo in bianco e nero, aveva una faccia composta, mesta, un po’ all’antica. Lo avevano incoronato campione della bontà e dell’innocenza, ma sembrava un bambino tutt’altro che felice.

Oggi gioco coi bambini e parlo con i ragazzi. Rimango affascinato dalla loro inestinguibile innocenza. Sono svelti, tecnologici, indipendenti, moralisti. Seguono le mode e la pubblicità. Coltivano miti. Sanno un mucchio di parole – anche quelle inglesi, anche quelle sporche – mandano a quel paese i genitori, prendono in giro quelle s delle insegnanti.

Sono smaliziati, ma non conoscono la malizia. Non sanno cosa sia il tradimento. Quindi non tradiscono. Non possono, anche volendolo.

 

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Una cara amica mi racconta una recente scoperta che ha cambiato mappa ed orizzonte della sua vita interiore: «Occorre riconoscere e accettare il tradimento».

Per due estati di seguito, recidiva!, è andata in bicicletta a Santiago de Compostela. Ama le lingue del mondo e, sopra le altre, il latino. Tradire ed essere traditi – mi spiega – è una faccenda grande e complessa, che poco o niente ha a che fare con le corna La radice di ‘tradire’, la stessa di ‘tradizione’ è il latino tradere, letteralmente ‘consegnare’.

‘Tradire’, leggo dallo Zingarelli, è influenzato nel significato dall’uso peggiorativo della tradizione evangelica, nella quale Gesù è ‘consegnato’, e cioè ‘tradito’, da Giuda.

Consegnare e prendere qualcuno o qualcosa in consegna. Tradire ed essere traditi.

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Da molti giorni questo pensiero non mi abbandona. Cancello i brani di questo diario minimo per fargli posto. E ancora continuo a ripetere dentro di me, continuamente, quelle due parole, innocenza e tradimento. E ancora non riesco a comprendere il senso, l’eco profondo di quella che mi appare comunque come una ‘scoperta’, un ‘disvelamento’.

Mi pare giusto. Cresciamo quando abbandoniamo l’innocenza. Quando siamo traditi e cominciamo a nostra volta a tradire. È giusto. È inevitabile. Senza eccezioni. Senza questa perdita (l’innocenza), senza questo nuovo compagno (il tradimento) non potremo crescere.

Ma forse la differenza – quello che dipende da noi e dalla nostra coscienza – è riconoscere questo processo. Per farlo ci vuole molto lavoro, molta fatica, molto coraggio.

So questo: mai più crederò ad un adulto, me compreso, che si dichiara innocente.

 

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Quel che resta del diario. In uno spazio piccolo e poche parole. Le elezioni. Le elezioni, finalmente! Cambierà tutto! Non cambierà un bel niente!

Cambierà, spero, qualche cosa. Mi aspetto e mi auguro una riduzione progressiva della chirurgia plastica. Meno sondaggi, meno convention, meno contratti con gli italiani, meno «ghe pensi mì», meno promesse strampalate. Soprattutto, meno volgarità.

 

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Leggi ad personam, riforma costituzionale, spinello fuorilegge, scudo fiscale, sconti agli evasori, controriforma scolastica quale obbrobrio cancellare per primo, appena dopo le elezioni? Ammesso e non concesso che il Cavaliere sia costretto dagli elettori a farsi da parte.

C’è veramente l’imbarazzo della scelta. Ma io non ho dubbi. Prima di tutto, prima ancora del sacrosanto ritiro dei nostri soldati dall’Iraq, bisogna cancellare la cosiddetta ‘legge sulla legittima difesa’.

La quale legge non è solo sbagliata, incivile, violenta controproducente. Ma soprattutto veicola dentro le nostre città la cultura del far west. Una cultura che l’America continua a coltivare e ad esportare, e che continua a generare mostri. Il famigerato carcere fuorilegge di Guantanamo, di cui Europa e ONU chiedono invano la chiusura, è l’ultimo esempio di un sovrano disprezzo dei diritti dell’uomo e delle leggi degli stati.

Nelle nostre città di frontiera, gioiellieri, benzinai e agenti di commercio, armati dal governo, scaricano il caricatore sui ladruncoli in fuga. È la cronaca di queste settimane.

 

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Sono stati mesi sporchi per la finanza italiana. Finalmente il governatore della Banca d’Italia ha tolto il disturbo e i vari Fiorani, Ricucci, Consorte vanno avanti e indietro dal carcere o dai palazzi di giustizia. A ogni nuovo capitolo la vergogna aumenta.

I danni alla nostra credibilità internazionale , dicono i commentatori, saranno incalcolabili. È vero: mentre anche Alberto di Monaco promette che Montecarlo non sarà più il rifugio per finanzieri corrotti, evasori illustri e banchieri chiacchierati, la piccola Italia di inizio millennio si candida a nuovo paradiso di evasori e faccendieri. Il paese delle banane o meglio, per dirla con Elio e le storie tese, l’Italia dei cachi.

Ma della credibilità internazionale, noi, comuni mortali, saremmo pure disposti a farne a meno. Il problema è la puzza di marcio che sale dalle nostre banche e dalle nostre imprese. Il senso di nausea che ha preso milioni di cooperatori, me compreso, a sentire che per competere «bisogna fare come gli altri».

Va bene, il movimento cooperativo è altra cosa di uno, due o dieci dirigenti furbi e ladri, ma per tutti, per le migliaia di cooperative che lavorano con passione e onestà, è stato uno sparo a sangue freddo, un tradimento, una ferita difficile da rimarginare.

 

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Questo diario, ancorché minimo, e non per la prima volta, arriva in grande ritardo. Fuori tempo massimo. Stefano con la febbre, Gaetano senza febbre, ma entrambi con infinita pazienza, mi hanno aspettato.

Loro: mail, telefonate, sms di sollecito, accorati appelli, ultimatum. Io: ripetute richieste di proroghe, solenni giuramenti, promesse non mantenute: «Domani sicurissimamente, entro domenica sera, sto scrivendo, ho quasi finito». Un comportamento indegno e puerile. Un reiterato tradimento.

Mi dichiaro colpevole. E non accampo giustificazioni: cosa si aggiunge a queste note, che è successo di importante negli ultimissimi giorni? La maglietta idiota di un ministro irresponsabile. Quando mi leggerete, dopo le elezioni, confido che l’ex ministro e candidato capolista Calderoli sia ben sistemato. Nel compost verde, tra le zucchine e le bucce di patate, nella spazzatura della storia della Repubblica.