Il Dio dei poveri viaggia in autobus
Capire un popolo e un paese dai viaggi in autobus è quantomeno curioso e originale. In Brasile è possibile, se ci si arma soprattutto di una grande pazienza e ci si dispone a osservare ogni aspetto, anche il più trascurabile, con gli occhi di un bimbo che si meraviglia e si sorprende davanti a ogni cosa. Se questo accade, allora anche le cose apparentemente più fastidiose, come il caldo, il sonno, la fatica, le ore di viaggio, le strade sconnesse e la folla, possono diventare un motivo per ricordare piacevolmente ogni dettaglio.
In un Paese così esteso come il Brasile, i ricchi viaggiano sempre in aereo, mentre il popolo viaggia soltanto ed esclusivamente in autobus.
Il Brasile in rassegna
dal finestrino del bus
Il Brasile è il paese degli autobus. Ce ne sono a decine di migliaia, di ogni forma e colore, uno dietro l’altro, sempre carichi di un’umanità dolce, triste e gentile che viaggia per i motivi più disparati. L’autobus è la vita di questo popolo e ne rappresenta il modo di essere, passando dal caos delle strade immense di Rio e di San Paolo ai sentieri sterrati e polverosi alle soglie di una foresta che sta gradualmente scomparendo. Con l’autobus i poveri delle periferie degradate possono andare nella città dei ricchi per vendere tutto ciò che possiedono e le empregadas (le donne di casa) possono andare a mettersi a servizio dei loro padroni per potere almeno sopravvivere.
L’autobus è l’unico mezzo che consente a questo popolo di uscire dall’isolamento nel quale viene quotidianamente spinto.
Dal suo finestrino si può vedere tutto ciò che le immagini stereotipate di questo Paese solitamente nascondono, si può avvertire l’odore acre della povertà e il sapore dolciastro di una ricchezza sfrontata, si possono attraversare tutte le contraddizioni del Brasile.
Quando stavo a San Paolo, passavo tutti i giorni dal quartiere universitario di Perdizes, signorile e splendente, alla periferia sterminata, colorita e polverosa di Itaim Paulista, là dove la terra rossa, sulla quale sono state costruite migliaia di abitazioni precarie, penetrava dappertutto con il sole e si trasformava in fiumi di fango scivoloso con la pioggia. A ogni curva l’autobus sprofondava sempre di più in una povertà anonima e sconosciuta a molti, mentre i volti e gli abiti dei passeggeri cambiavano rapidamente man mano che ci si avvicinava al capolinea: dalla dignità formale alla trascuratezza, dall’apparente freddezza di una classe media preoccupata soltanto del proprio lavoro al calore genuino e più chiassoso della gente semplice.
Nonostante ciò, lo sfinimento di chi arrivava al capolinea, dormendo a bocca aperta, parlava da solo e comunicava il senso di una fatica che in Brasile molti spendono per niente: per quattro soldi o forse nemmeno per quelli.
In bus è facile
comunicare
In autobus cadono le barriere dell’incomunicabilità tra le persone, perché, per un brasiliano che viaggia per molte ore, è impossibile non raccontare la storia della propria vita al vicino di posto.
Nelle otto ore di viaggio da Vitória a Rio ho ascoltato pazientemente le vicende di un’infermiera del Rio Grande do Norte con tutte le sue ansie e inquietudini per sé e per la propria famiglia, mentre un poliziotto in abiti civili due file più avanti magnificava l’ordine e la disciplina nei quali, a suo dire, vivrebbero gli abitanti del “Primeiro Mundo”, l’Europa, lasciando incantati tutti gli altri passeggeri, i quali ascoltavano con gli occhi spalancati, credendo di assistere alla descrizione di un Paradiso mai visto.
Si accendono i sogni
e si spengono
Viaggiare in autobus apre la strada ai sogni in un paesaggio illuminato dalle piantagioni di canna da zucchero e dalle piante di banane e di caffè, anche se gli stessi sogni muoiono subito attraversando quell’interminabile favela che è la Baixada Fluminense, una sterminata periferia afosa e miserevole alle porte di Rio. Quando avanza, l’autobus sembra abbracciare correndo tutto il milione e mezzo di uomini e di donne che lì vive, o meglio sopravvive. Allora la fermata è fonte di vita e di sopravvivenza: per i ragazzi che vendono acqua e Coca-Cola ghiacciate ai finestrini, per lo donne che distribuiscono cocco, banane e mandarini.
Assalto alla carovana
È vero, la fermata è fonte di vita, quella vita che è sistematicamente negata a chi non ha nemmeno 45 centavos per un biglietto e cerca un’impossibile rivincita assaltando gli autobus a mano armata. A Rio, in un fine settimana, ne hanno assaltati quarantasei, come nel West. Nemmeno John Wayne avrebbe potuto difendere tante diligenze. – «La vedi? È una pistola, ma la tengo in tasca. A te non prendo niente, perché hai avuto il coraggio di parlare con me, che sono povero». – Nonostante i quaranta gradi, alla signora italiana che mi ha raccontato questo episodio si è ghiacciato il sangue quando si è trovata accanto un simile compagno di viaggio.
Ma chi vuole veramente il Far West? Dai finestrini dell’autobus si vedono tante piccole e grandi Carson City, fatte di fogne a cielo aperto, di catapecchie e di poveri “barzinhos” e poi una moltitudine di bimbi sul ciglio delle strade, incuriositi dalle auto e dalla gente che passa. È fonte di vita pure il lavoro del bigliettaio, uno dei più inutili al mondo per due motivi: prima di tutto perché nessuno saprebbe mai tradurre in portoghese termini come “macchina obliteratrice” o “agente unico del mezzo” e poi perché quale altro lavoro potrebbe fare un bigliettaio? I lustrascarpe ci sono già, i venditori ambulanti anche, le donne di servizio pure, i posteggiatori nemmeno a parlarne (sono milioni). Allora si viaggia tutto il giorno scambiando moneta, annoiati e distesi sul sedile, con i piedi all’insù, sbattendo la suola delle scarpe quasi in faccia ai viaggiatori. Naturalmente per quattro soldi o forse nemmeno per quelli.
In bus si pensa,
si fantastica
Io credo che il Brasile non rinuncerà mai ai suoi autobus, perché sugli autobus si può pensare e quello brasiliano è un popolo che pensa, pensa e pensa: alle sue condizioni, al pane da guadagnare, al prossimo Carnevale, alle sue piccole storie quotidiane. Ai brasiliani manca l’azione, ma non la fantasia e sull’autobus si può ancora fantasticare tanto. E questo a loro per il momento basta.
Anch’io, non potendo uscire da questo stato di continua meraviglia, ho pensato. E a un certo punto ho pensato quale mezzo di trasporto avrebbe potuto usare Gesù Cristo, il Dio dei poveri, in Brasile: naturalmente l’autobus. Dentro questa prospettiva di un popolo itinerante, mai stabile, è possibile concepire soltanto la possibilità di un Dio itinerante, che porta la misericordia viaggiando nella polvere, nel traffico e nel caldo.
So che Pedro Casaldáliga, uno dei vescovi più coraggiosi e santi del Brasile, viaggia spesso in autobus. È il modo migliore per leggere dentro la storia presente di un popolo che ha sempre più bisogno di intraprendere un lungo viaggio verso la giustizia.
Il capolinea è la sua liberazione.