Il caso Silone: tra revisionismo e pregiudizio
Intervista a Giuseppe Tamburrano
A quasi un decennio dal 1996, anno in cui apparvero sulla rivista Nuova Storia Contemporanea le tesi di Dario Biocca e Mauro Canali secondo cui Silone è stato spia fascista, è uscito un nuovo libro, Silone. La doppia vita di un italiano, in cui viene ribadita l’accusa. Sentendosi depositari di una certezza documentaria inoppugnabile, i due ricercatori additano chi mette in discussione le loro teorie come qualcuno che «oltre ogni ragionevolezza è pronto a difendere a oltranza, come un’icona sacra, il ricordo e l’immagine di integrità che Silone ha saputo costruire». Sentiamo l’autorevole opinione dello storico Giuseppe Tamburrano, che nel libro Processo a Silone. La disavventura di un povero cristiano, ha dimostrato come la storia di Silone spia fascista non stia in piedi.
Cosa pensa dell’ultimo libro di Biocca, che si vuole una biografia aggiornata di Silone?
Il retro di copertina lo dipinge come «un campione della libertà che ha collaborato con la polizia fascista». Ma può essere le due cose insieme? Attribuiscono i documenti a Silone sulla base del teorema «dove arriva lui partono le informative, se ne va e cessano». Ma anche questo loro criterio estremamente discutibile di tempo e luogo è crollato, perché abbiamo dimostrato che da Berlino e dalle altre città arrivavano informative prima e dopo il soggiorno di Silone. Nel libro vengono attribuiti a Silone tre documenti, di cui due con la stessa data, solo che provengono uno dalla Spagna, uno dalla Francia e l’altro dal Belgio. I primi due sono datati 25 novembre 1923, il terzo 26 novembre. Questo in un periodo di tempo che ha trascorso al fresco in una prigione di Madrid! Il fatto fondamentale è che tutti i documenti sono anonimi, non riconducibili a Silone in alcun modo. Ma in questo strano paese il concetto è ribaltato: l’onere della prova spetta all’accusato, alla difesa, e se poi la porti non ti danno retta.
Da storico, quali errori rimprovera ai due ricercatori?
Ricontrollando i documenti ci siamo resi conto che ne era stato fatto un uso distorto. Nel loro primo libro hanno riportato degli stralci di questi documenti come pervenuti da Berlino e li hanno attribuiti a Silone. Ora non sostengono più che sono stati scritti a Berlino ma a Genova sotto dettatura, davanti al commissario Bellone. Nonostante questa retromarcia, secondo loro quei documenti sono inoppugnabilmente di Silone perché si tratta della sua calligrafia. Ora uno storico se trova un documento e lo attribuisce a qualcuno normalmente va da un esperto grafologo, loro no. Ho chiesto a un pubblico ministero di Roma di indicarmene uno iscritto all’albo e mi ha dato il nome della Pedretti, secondo lui la migliore. Le abbiamo chiesto se voleva fare una perizia e ha accettato. Il suo lavoro è raccolto in un corposo volume pieno di grafici e proiezioni che scagionano Silone. Biocca-Canali dicono che è una perizia di parte, ma perché non fanno fare una controperizia? Davanti a questa caterva di prove logiche e alla contestazione dei documenti rimango sgomento. Com’è possibile che continui questa calunnia inventata di sana pianta?
Nel suo libro viene smontata la tesi Silone-delatore dell’OVRA non solo con un’accurata ricerca archivistica.
Infatti esamino anche le controprove logiche, che sono tantissime. Silone è stato una spia, poi smette e la polizia lo lascia andare? Non esiste, la polizia a chi cessava di collaborare riservava trattamenti particolari, faceva sapere ai comunisti il tradimento e questi li giustiziavano. La polizia fascista a Silone che smette di collaborare e continua a essere più antifascista di prima non fa nulla. Assurdo, poiché è risaputo che i suoi romanzi, a partire da Fontamara, hanno fatto più male al fascismo di qualsiasi attività clandestina svolta nel partito. Mussolini era furibondo, chiedeva all’OVRA di trovare dei fatti su Silone da usare per controbattere alla sua campagna antifascista e screditarlo. L’OVRA ha chiesto alla polizia di Pescina e L’Aquila se avesse fatto cose disdicevoli, se fosse stato sciupafemmine o ragazzaccio. Ma come, avete le delazioni di Silone, lo potete uccidere con un niente! È spia e non se ne accorge nessuno. Ancora nel 1937 l’OVRA scrive a Mussolini che Silone quando è stato arrestato il fratello, nel ’28, finse di collaborare, tentò mandando rapporti generici, disinteressatamente, per avere il permesso di mandargli soldi e dolciumi. Ora invece lo vogliono spia almeno dal 1919, dicono che ha fatto cadere tanti dirigenti comunisti… e non ne è rimasta traccia. Che ha fatto la polizia, ha ingannato Mussolini dicendogli che fece finta di collaborare? È immaginabile che il capo della polizia abbia mentito al duce per proteggere Silone?
Nel suo libro definisce le teorie di Biocca-Canali come un’avvincente ‘spy-story’, un romanzo lontano dalla realtà.
L’accusa è partita prima della difesa, inondando i giornali di una notizia enorme che ha fatto il giro del mondo, perché Silone è più amato all’estero che in Italia. Ne usciva l’immagine di un soggetto psichicamente tarato, tant’è vero che si è arrivati a parlare di dr. Jekill e mr. Hyde. Possibile che un uomo che ha fatto quelle battaglie, che ha rischiato impegnando tutto se stesso nella lotta contro il fascismo, ad un certo momento denunci i compagni ai fascisti e collabori con l’OVRA, rivelandosi, come Biocca-Canali lo hanno definito, «un infiltrato della polizia ai vertici del PCI»? Secondo la loro teoria, Silone era un agente al quale la polizia ha imposto di entrare nel partito comunista e di farvi carriera per poter diventare la loro spia principale. Ora, non potendo ancora rispondere alla domanda ‘perché l’avrebbe fatto’, hanno adombrato la tesi di un rapporto omosessuale tra Silone e Bellone siamo fuori da ciò che rientra in una dimensione umana, ma è stato uno scoop gigantesco.
Recentemente ha lanciato un appello rivendicando la necessità di un giurì d’onore che esamini il caso, per giungere a una parola definitiva.
Siccome si tratta di una calunnia, se ci fosse un parente, questi avrebbe titolo e legittimazione per agire in giudizio per diffamazione della memoria di un congiunto. Ma Silone non ha parenti a cui i giudici possano riconoscere tale diritto, per arrivare a una sentenza. Quando Dreyfuss fu condannato una prima volta all’ergastolo per spionaggio e mandato all’isola del Diavolo, in un secondo processo la condanna fu attenuata e poi Zola ha impugnato la sua penna. Con l’aiuto di una stampa che ha creduto in lui ha fatto una campagna virulenta, si è riaperta l’istruttoria, c’è stata una revisione dei processi riuscendo a dimostrare che quel documento non era stato scritto da Dreyfuss. Fu riabilitato, con la restituzione degli onori e del grado. Ora se Silone è stato confidente della polizia è accertabile. Il fatto secondo loro è consacrato in documenti, si tratta di provare se è vero o no. Così, non potendo ricorrere a un giudice, allora facciamo un giurì d’onore, chiediamo a tre persone indipendenti al di sopra di ogni sospetto e che non si sono mai pronunciate di leggere i documenti dell’accusa e quelli della difesa, e di dare un parere.
È una coincidenza che il revisionismo abbia per bersaglio principale quei dissidenti di sinistra, scomodi soprattutto per la loro autonomia rispetto a partiti e istituzioni?
C’è un pregiudizio, in un’ampia corrente storiografica che vuole ridurre la storia d’Italia a uno scontro tra rossi e neri, verso le posizioni politiche intermedie e la cultura laico-socialista. Il loro scopo e scoop è quello di rifare la storia che loro ritengono sia stata fatta dai vincitori, di rivisitarla ovviamente a partire dalla resistenza. Sono partiti da Bobbio e poi Silone, Salvadori, Matteotti, Sciascia, le polemiche sull’azionismo torinese… c’è insomma una tendenza a delegittimare, screditare, dire «non è vero che ci sono i padri nobili, tutti hanno delle macchie». Di questo pregiudizio il caso Silone è emblematico, perché forse era il padre più nobile, il meno inquadrato, il meno allineato, esponente di una cultura socialista libertaria che non ha partiti e organizzazioni che la difendano. Ma una volta attaccato questo settore della sinistra che è il più indifeso, il veleno del revisionismo si diffonde su tutta l’area, con la conseguenza che la gente dice: «Sono tutti uguali!».
Lei ha conosciuto personalmente Ignazio Silone, può farne un ritratto secondo il ricordo che ne ha?
Il Silone vero è complesso. È stato nemico di tutti i totalitarismi, comunista anche perché antifascista, è diventato anticomunista difendendo Trotzky davanti a Stalin. Pervaso da un afflato umanitario di solidarietà con i più deboli, nella definizione che da di sé medesimo, socialista senza partito e cristiano senza chiesa, c’è tutto Silone. Senza chiesa, e si sa che la chiesa combatte di più i cristiani senza chiesa che i non-cristiani. Come socialista senza partito, le sue diagnosi di allora sono state di straordinaria chiaroveggenza perché i partiti hanno finito con il burocratizzare, sterilizzare l’idea di fondo da cui sono nati, diventano apparati di potere. Silone era un uomo scomodo a tutti, tanto che un’indagine sul rapporto tra Silone e la polizia fascista fu fatta non solo da Togliatti ma anche dal ministro dell’Interno, il democristiano Tambroni. Per il suo essere scomodo ha incarnato il modello dell’intellettuale che non ha né patria né chiesa né partito ma solo un obbligo-dovere: combattere per la verità, per i più deboli e per le cause giuste. Tutti i suoi libri mi sono cari, ma quello cui sono più legato è Uscita di sicurezza. Anch’io da giovane sono stato comunista, e Silone mi dedicò il libro con queste parole: al compagno Tamburrano, passato anch’egli attraverso l’uscita di sicurezza.