Per Maria Stoppiglia
Dedichiamo alcune pagine a Maria Stoppiglia, morta nella sua casa di Pove del Grappail trenta luglio duemila, come da cronaca.
Forse è poco, forse è troppo…
Lei ci resta al confine del mistero della vita e oltre.
Con affetto,
la redazione di Madrugada
che L’ha amata.
I colori di Rio
Oggi Rio si è vestita a festa.
C’è un sole meraviglioso e tutto risplende più forte di prima. Ricordando Maria, non poteva che essere così. Nonostante tutto è un momento di luce, di sole, di vita, di amore, di leggerezza, proprio come avrebbe voluto Maria.
Sono molto triste. Il fatto che Maria, poco prima di morire, avesse chiesto di me e del Brasile, mi commuove e mi lascia anche una piccola traccia di orgoglio. Questo mi induce a sentire la responsabilità di rappresentare qui il suo cuore grande. Avevamo in comune poche cose, ma profonde. Una di queste era l’amore smisurato per questa terra e per questa città. Ieri sera, mentre lei passava gli ultimi istanti della sua vita tra noi, io sono andato sulla spiaggia di Ipanema e ho ascoltato la musica e la voce di Gilberto Gil. Quando lui ha cantato «Se você quiser falar com Deus, tem que lamber o chão», ho pensato a lei, osservando in profondità la favela do Vidigal.
A volte le coincidenze non sono tali. È proprio vero. Per parlare con Dio, bisogna scendere a terra e leccare la polvere, con tutti i suoi sapori dolci e amari, buoni e cattivi. Maria ha fatto questo e per questo adorava questa terra fatta di cose dolci e tenere e di orrori.
Resterò qui, onorandola ogni giorno nelle cose più semplici e immediate. Avvicinano a Dio e fanno assaporare la bellezza della vita. E imparerò a lamentarmi di meno.
A Maria un ultimo bacio.
Rio de Janeiro, 30 luglio 2000
Egidio Cardini
Conquistare la gioia
Cara Maria,
fra i vecchi con la barba che accompagnano il mio tempo e la mia quotidianità, Francesco Guccini resta certamente il meno impegnativo, e lo ascolto relativamente spesso.
Quando in una delle sue poesie cantate dice: «Bionda, senza averne l’aria», il mio pensiero corre a te.
Eri bella come un sole quando attraversavi i lunghi corridoi del "giovanniventitre" ed attraevi i vecchi che ti rincorrevano per aver consolazione, l’unico vero bisogno di quel luogo.
Mi è rimasto il desiderio di somigliarti, e sono anch’io felice quando i vecchi mi rincorrono, ma a me è costata fatica e ci ho lavorato sodo.
Era quello il tempo in cui i nostri incontri si facevano fitti, e parlavamo a denti stretti, a scambiarci le nostre disperazioni… io, chissà, forse perché non credevo, e tu… a causa della tua fede.
Ma sempre ci lasciavamo con la speranza, perché quella non ci ha mai abbandonate. Per me, poi, diventò una pratica costruire relazioni solidali fra donne, ma iniziò con te una relazione di sorellanza che mi ha segnato la vita, e su cui ho trovato il modo di filosofare con soddisfazione.
Quanta inquietudine nelle tue parole fitte, e nella gioia che sempre avevi di incontrare colleghi, mentre io sbuffavo, e dicevo che quelli erano ben poca cosa. E tu ridevi, dandomi ragione, ed affermando che proprio per questo dovevamo vederli o non lasciarli soli. Poi, quando te ne andasti, io, invece, lo feci senza troppo rimorso, ma a loro non importò poi molto.
Per la pazienza che ho imparato ad avere con il resto del mondo ti devo ringraziare, ma io ho perso la speranza sulla bontà delle persone, di cui vedo il limite contenuto nel senso stesso della vita, mentre tu non hai mollato mai.
Eppure apparivo io la meno fragile.
Di te mi resta il sapore del ricordo della tua depressione, che tenevi stretto al cuore come l’esperienza più dura e più cara. Attraverso la depressione, infatti, avevi imparato ad amare molto la vita.
A parole, poi, anche allora avevi imparato ad odiare il senso di colpa e a dar valore alla gioia e alla lotta per conquistarla. Ma ci dovevi lavorare ancora tanto, ed io te lo dicevo, perché non mancava occasione di rimarcare il mio ateismo militante, anche se poi non mi preservava affatto dai rischi del bigottismo di maniera.
Eri in Brasile l’ultima volta che ci siamo viste, io con nel cuore un viaggio un po’ separato dal resto della truppa che mi accompagnava.
Dormivamo poco tu ed io, in quella casa di Rio che avevi scelto, quando nel silenzio della notte ci scambiavamo storie, e reprimevamo le risate per non svegliare gli altri.
Proprio allora mi perdonasti la mia pigrizia, che conoscevi bene.
Ma, anche quando non ci si sente e si sa che una persona come te è in qualche parte del mondo, anche a me pare che esso sia più bello. E l’assenza è un dolore esistenziale.
Per l’ultimo nostro incontro, mi hanno detto, hai scelto di offrire l’Inno alla Gioia.
Io so per certo che quel simbolo ti è costato tanto, che ci hai lavorato tutta la vita, conquistandolo con rabbia e con amore.
Di te mi resta l’immagine di una biondasenzaavernel’aria, che ride dentro una camicia con i colori di Rio, che dà le spalle ai grattacieli ed alla spiaggia di Ipanema, andando a culo con quel mondo occidentale che pur ha tanto amato da avere il coraggio di perdonarlo.
Ciao,
Bologna, 4 agosto 2000
Valeria
Un lungo cammino di liberazione
Circa quarant’anni fa ebbe inizio il lungo Esodo di Maria; resa schiava da una ideologia religiosa colpevolizzante e moralista, vedeva quasi compromessa la sua identità di persona, sepolta da ogni sorta di sensi di colpa e resa dipendente dai faraoni del tempo. Quarant’anni di deserto, di prove che la levigarono come fa l’acqua del suo Brenta in piena con le pietre.
Grazie a Dio non sono mancati samaritani e cirenei, che di volta in volta le si fecero prossimi in questo suo lungo e faticoso cammino di liberazione. Non voglio fare nomi, sono tutti scritti nelle pieghe più intime del suo cuore. Ma il peso di questo pellegrinare ha gravato in gran parte sulle sue spalle, apparentemente fragili: in verità l’onestà, la lealtà, l’amore alla giustizia che Bernardo e Paolina hanno seminato nel suo animo sono stati la spina dorsale che ha saputo reggere tanto peso; il resto l’ha fatto la Grazia di Colui che della croce è maestro; fino alla rinascita.
«Sai, Piero, ho scoperto che esistevo vedendo la mia immagine riflessa nelle vetrine dei negozi, passeggiando per le vie di Roma».
Roma è stata una tappa importante: dove alternava terapia e lavoro, così pure Bologna, ma il porto sicuro è rimasto sempre Pove: punto di partenza e di arrivo della sua esistenza.
L’altra opera, Maria, è ancora in corso; potenti da abbattere si riproducono ogni giorno e umili da innalzare sono folla, ma ci hai fatto capire che per vivere l’Utopia non bisogna fare calcoli («Duecento denari non possono bastare». «Due pesci e cinque pani a cosa possono servire?»).
Eppure un continente intero può entrare nel cuore e rimanervi: l’ho visto con i miei occhi nel cuore di Maria… e c’era ancora posto.
San Giovanni in Marignano (Rn), 1 agosto 2000
don Piero Battistini
Sotto la foto di Maria
Una serena inquietudine
di cercare e di sentire
la vita ed il suo mistero,
la gioia di averla raggiunta,
la malinconia di non aver avuto
tutto il tempo di comunicarla.