Significati del lavoro

di Castagnero Alessandro

Un concetto complesso,
di natura multidimensionale

Di solito pensiamo che sia facile padroneggiare i significati connessi alle esperienze di vita quotidiana. Così è anche per il lavoro, un’esperienza tanto comune da rientrare tra quelle che possiamo immaginare facilmente di "conoscere" e di poter riassumere con poche parole.
In realtà il lavoro è un concetto complesso, di natura multidimensionale, sia sul piano cognitivo, che su quello valoriale, che su quello emotivo. Come si potrebbe dire del resto per tutte le esperienze umane fondamentali (intese qui anche nel senso di necessarie).
La lingua italiana purtroppo non solo non ci aiuta a cogliere, ma nasconde questa multidimensionalità ed i discorsi sui significati del lavoro spesso lasciano il tempo che trovano perché non viene chiarito a che cosa si allude quando si parla di lavoro. In altre lingue questa diversità di contenuti e di significati è più chiaramente indicata dal ricorso ad una costellazione di parole. In inglese ad esempio si parla di employment, di job, di work e di labour, mentre noi in tutti questi casi possiamo ricorrere ad una sola parola.

Positività del lavoro?

Una prima distinzione di significati può essere colta se prestiamo attenzione al predicato che regge il concetto di lavoro. Si usa infatti dire "fare un lavoro", ma anche "avere un lavoro".
Il lavoro inteso come qualcosa che si possiede può essere descritto in termini generali (gli inglesi direbbero employment, impiego) per contrapposizione a chi il lavoro non ce l’ha. In relazione ad esso troveremo molto più facilmente valutazioni positive, perché, come avrebbe detto Catalano, «è meglio avere un lavoro, che non avercelo», naturalmente se se ne ha bisogno. Questa positività del lavoro ha a che fare con il suo essere, nelle società di mercato, una delle principali fonti di autonomia personale. In questo senso si è potuto parlare del lavoro come libertà, del lavoro come qualcosa che rende liberi, anche se è certamente più facile da accettare l’idea che il lavoro renda liberi di quella che lo descrive puramente come libertà. In quest’ultima concezione si intravede tutto il peso delle ideologie otto-novecentesche sul lavoro. Il lavoro rimane infatti una esperienza della necessità, della fatica, della costrittività. Inevitabilmente, per motivi fisici e per motivi economici. Le ideologie sul lavoro hanno cercato di occultare questo aspetto che però rimane e che l’etimologia delle parole connesse, se avessimo il tempo di svilupparla, rivela ampiamente
Qui il lavoro viene inteso soprattutto per i suoi significati estrinseci, come fonte di guadagno. Va sottolineato che questo è, di tutti i significati del lavoro, quello più universale e radicato. Se cioè chiediamo ad un lavoratore qualsiasi che cosa sia il lavoro nella grande maggioranza dei casi, soprattutto se si tratta di lavoratori manuali o di modesta qualificazione, ad emergere sono i significati economici del lavoro, il lavoro come mezzo per vivere, come fonte di reddito. L’immagine del lavoro che è sedimentata nella nostra cultura, nonostante tutte le pedagogie prodotte intorno al lavoro rimane abbastanza povera. I significati estrinseci contano molto di più di quelli intrinseci (li vedremo tra breve).

Lavoro e posto di lavoro

Il lavoro come qualcosa che si possiede può essere descritto in termini più specifici, nel senso di svolgere una professione particolare, di avere uno specifico posto di lavoro (gli inglesi direbbero job). In passato dire avere un lavoro e avere un posto di lavoro erano concetti pressoché indistinguibili nel mondo del lavoro dipendente/manuale. Oggi la crescente visibilità sociale del lavoro autonomo ha distinto maggiormente i due concetti.
Il lavoro inteso come posto conduce a parlare con riferimento al contesto lavorativo, all’ambiente, al tipo di relazioni, ai livelli retributivi, alla ridondanza; a tutte quelle caratteristiche cioè che rendono un lavoro più o meno buono e che consentono di discriminare i lavori tra di loro.
A proposito di queste dimensioni del lavoro c’è da sottolineare un aspetto in particolare. I significati che gli individui attribuiscono ad esse sono oggi tutte fondate su criteri di tipo soggettivo. È molto difficile cioè discriminare lavori più o meno buoni solo in termini di parametri oggettivi, ergonomici, fisiologici, o anche di retribuzione. Ciò che conta nel giudizio è la presenza di diversi criteri di tipo soggettivo nella testa dei lavoratori. Un lavoro non è tanto buono o cattivo in sé, ma in riferimento a quello che io chiedo al lavoro. Certo, che esso debba ad esempio offrire un livello retributivo decente, viene dato per scontato, ma una persona può decidere che più che il guadagno ciò che la interessa è il fatto di poter svolgere un lavoro che lascia margini di tempo o che non è pervasivo (ridondante), nel senso che non influenza la sfera extralavorativa. Dipende dagli orientamenti che il soggetto manifesta rispetto al lavoro. Per fare un altro esempio, dove il lavoro viene svolto, vicino/lontano da casa, al coperto o allo scoperto, spesso riveste molta più importanza di altri aspetti.
Con riferimento alle dimensioni che stiamo esaminando si può dire che c’è una regola fondamentale che "governa" il lavoro nelle moderne società postindustriali: tanto meno "buono" è un lavoro (da un punto di vista oggettivo), tanto meno è pagato, quanto più è buono tanto più tende ad essere pervasivo. Crollate le ideologie socialiste e comuniste nessuno pensa più che sia possibile pagare più degli altri lavori meno qualificati, anche se contenere la distanza tra i livelli retributivi rimane uno dei motivi di "nobiltà" dell’esperienza sindacale. In compenso, e a riequilibrare questa che da un certo punto di vista potrebbe essere considerata una ingiustizia, tanto più "buono", nel senso di qualificato, complesso, pieno di responsabilità, ecc. è un lavoro tanto più difficilmente si riesce ad impedire che il lavoro contamini la sfera extralavorativa, in altre parole che si finisca per pensare al lavoro anche di notte.

Un’attività umana
dotata di senso

Come dicevamo inizialmente il lavoro può essere inteso come qualche cosa che si fa; essere cioè considerato come attività umana dotata di senso (gli inglesi direbbero work). Un’attività umana che agisce sul mondo fisico, sulla natura. Qui viene in luce un rapporto di tipo di tipo attivo, trasformativo ed è innanzitutto il lavoro manuale che corre alla mente.
Ma può trattarsi anche di una attività che si svolge sugli/con gli altri individui, perché il lavoro avviene per lo più in forma cooperativa e perché implica sempre un rapporto con un utilizzatore/consumatore dei prodotti del lavoro, perché infine implica agire su altre persone, come nel caso dei servizi.
Oggi sempre più spesso si tratta di una attività che si svolge sui/con i simboli, trattando informazioni.
In tutti e tre i casi il lavoro implica applicazione di tecniche al fine di produrre risultati. Il lavoro implica un rapporto con la tecnica, si svolge dentro un mondo – sempre più – tecnico. Chi studia il lavoro di solito dà molta importanza all’aspetto delle tecnologie, e giustamente, ma si potrebbe dimostrare che esse non sono così importanti sul piano dei significati del lavoro. Non si descrive il proprio lavoro in termini tecnologici. È più facile che ciò avvenga quando si parla del tempo libero e delle tecnologie sempre nuove che lo caratterizzano.
Il lavoro inteso come attività volta a produrre opere, risultati, performance può essere considerato dal punto di vista di ciò che lascia dietro di sé (produce) e questo può essere valutato, in termini di risultati conseguiti rispetto agli obiettivi, di categorie estetiche, sociali, di utilità, ecc. Anche nell’opera si nasconde un rapporto sociale. Produciamo per il mercato. Anche dietro ai simboli che trattiamo si nascondono rapporti sociali.
Il lavoro inteso some attività umana dotata di senso, volta a produrre opere ed azioni socialmente significative mette in campo i significati intrinseci implicati dal lavoro. I motivi per cui il lavoro umano è necessario, non se ne può fare a meno. Che non hanno a che fare con il fatto che esso ci dà una retribuzione, ma con il fatto che senza il lavoro non sapremmo che mangiare, come vestirci, come divertirci.
Questa sfera di significati è oggi però molto poco chiara e molto trascurata. Molti lavoratori letteralmente non sanno a che cosa serva il loro lavoro. In una acciaieria del centro Italia alcuni anni fa le maestranze erano intente alla fabbricazione di un grosso pezzo di acciaio, di cui nessuno conosceva lo scopo, ma che poi si scoprì doveva servire a Saddam Hussein per costruire un cannone con cui sparare grosse bombe fino a noi. Problemi analoghi, anche se meno evidenti, di non chiarezza del senso del proprio lavoro hanno molti di coloro che appartengono alle grandi organizzazioni burocratiche che caratterizzano le società moderne.
In ogni caso l’orientamento di fondo della cultura del lavoro attuale è orientata a non porsi troppi interrogativi di questo genere. La considerazione dell’utilità sociale del lavoro – i significati intrinseci – è un tema negletto, che viene eventualmente ripreso dagli utenti e dai consumatori, molto più raramente da chi lavora in quanto lavoratore. In questo senso si può dire che il lavoro, un’esperienza umana di cui è difficile parlare esclusivamente in termini positivi o, viceversa, negativi, ha comunque avuto un peso non da poco nel contribuire a diffondere l’insensatezza che caratterizza la nostra epoca.

Alessandro Castegnaro
Fondazione Corazzin
Mestre (Ve)