La formazione come risorsa strategica per scegliere la propria evoluzioneLa formazione come risorsa strategica per scegliere la propria evoluzione
Le trasformazioni sociali ed economiche prodotte dall’introduzione delle nuove tecnologie hanno progressivamente reso più piccolo il mondo. Mediante strumenti come il telefono cellulare, internet e i mezzi di comunicazione in generale, possiamo comunicare velocemente e in tempo reale con tutte le parti del globo. O, almeno, di quella parte di esso più sviluppata. L’informazione corre rapidamente, possiamo conoscere (quasi) subito ciò che accade nel più remoto angolo della terra. Le stesse economie si spostano sia fisicamente, sia finanziariamente, in modo sempre più rapido. Questa opportunità tende a sovrastare e ridefinire le dimensioni dello spazio e del tempo.
Il “territorio” diviene sempre più esteso e “virtuale”, i “confini” vengono ridisegnati. Il tempo tende ad essere annullato dalla velocità e viviamo una sorta di “presente esteso”. Fatichiamo a rammentare quanto è accaduto anche pochi giorni addietro, perché la massa di informazioni diviene sovrabbondante. Siamo nell’epoca della globalizzazione, della mondializzazione. Il globale e il locale tendono così a sovrapporsi.
Dentro una trasformazione radicale
Più spesso, si propende ad esaminare questa trasformazione radicale delle nostre società sotto il profilo dell’economia e delle sue più dirette implicazioni. Assai meno di frequente, invece, si esaminano le modificazioni che la globalizzazione genera sulla vita quotidiana, sugli stili di vita, sulla cultura, sui modi di rappresentare e costruire la realtà da parte dei soggetti, sull’educazione. E, viceversa, di come queste trasformazioni culturali, a loro volta, possono incidere sui processi di globalizzazione. Infatti, la sfida che l’introduzione delle nuove tecnologie e la globalizzazione pongono sono anche (se non, addirittura, soprattutto) di natura culturale ed educativa. Vediamone alcuni aspetti in modo sintetico.
Una caratteristica delle nuove tecnologie è la “velocità” con cui esse mutano e la “pervasività” della loro presenza nelle nostre sfere di vita. Parimenti avviene per i nostri riferimenti culturali, per il nostro bagaglio di conoscenze. Nel primo caso, dopo che per secoli gli orizzonti di valore condivisi mutavano lentamente e quasi impercettibilmente, oggi assistiamo a cambiamenti repentini nei riferimenti. Un tempo esistevano orizzonti di significato prevalenti e condivisi dalla maggioranza della popolazione, mentre oggi di fronte ai soggetti si pongono una pluralità di opzioni, di stili di vita. In altri termini, la società si caratterizza per un sostanziale “pluralismo culturale”, dove coesistono diversi sistemi di valore, diversi orizzonti di significato. Appartenere o identificarsi con alcuni di questi non è più automatico secondo il contesto in cui si vive, ma diviene progressivamente una “scelta soggettiva”.
Emerge, qui, una prima nuova domanda educativa. L’appartenenza culturale diviene in misura crescente una scelta. Ma per operare una scelta, in un contesto sociale in continuo cambiamento come il nostro, è necessario disporre di un maggior numero di strumenti culturali e conoscitivi. Dunque, assume importanza rilevante l’“educazione allo scegliere”. Ad esempio, scegliere un indirizzo formativo e scolastico, un lavoro, cambiare un lavoro per un altro, sono scelte che richiedono, oggi più di ieri, una capacità più rilevante di sapere selezionare ed elaborare le informazioni rispetto anche a soli pochi anni addietro.
Educazione permanente
A complicare l’azione della scelta viene poi l’accentuarsi della dimensione dell’incertezza per le scelte medesime. Il cambiamento vorticoso a cui assistiamo, infatti, rende maggiormente fallibili le nostre opzioni. Nuovamente, di fronte alla scelta di un indirizzo scolastico superiore, un genitore si interroga se il proprio figlio o figlia troverà, alla fine, un lavoro corrispondente all’investimento fatto. Nessuno, però, potrà garantirglielo, poiché i cambiamenti sul mercato del lavoro e degli scenari dell’economia impediscono la costruzione di scenari a così lungo termine. Di qui, la necessità di orientare e sostenere le scelte mediante l’assunzione di strumenti conoscitivi e criteri che aiutino ad operare scelte in modo consapevole e autonomo.
Questi aspetti spiegano, inoltre, come divenga necessario in misura crescente indirizzarsi verso una formazione lungo l’intero corso della vita. Poiché i saperi acquisiti tendono ad invecchiare assai più rapidamente e, quindi, una formazione ricevuta nella sola età iniziale (come peraltro tuttora avviene) non è più sufficiente. È ancora nel libro dei sogni, ma la direttrice di sviluppo di un sistema formativo dovrebbe prefigurarsi come una sorta di linea ferroviaria. Dove un passeggero, ad un certo punto del viaggio, può scendere dal treno, sostare e riprendere un treno successivo. Fuori di metafora, si dovrebbe avere la possibilità di rientrare in percorsi di formazione più volte nell’arco della propria vita lavorativa, ma non solo.
Il condizionale è d’obbligo, considerando l’attuale situazione del sistema formativo e scolastico nazionale. Ma lo è assai di meno se guardiamo alle altre esperienze (già ben più avanzate) dei paesi, soprattutto del nord Europa. La stessa popolazione, inoltre, sperimenta già su di sé queste forme di alternanza fra scuola e lavoro o di formazione continua. Diverse ricerche, infatti, mettono in luce come in Veneto poco meno di due studenti su tre delle classi terminali delle scuole superiori durante l’estate sperimentino occasioni di lavoro. Opportunità che cercano autonomamente, al di fuori dei canali scolastici, soprattutto per soddisfare domande di carattere espressivo e ludico, molto meno per necessità economiche. Oppure, osservando la platea dei lavoratori dipendenti del Veneto scopriamo che poco meno della metà, nell’arco della sua vita lavorativa, è rientrato almeno una volta in un percorso di formazione dopo avere concluso gli studi. Dunque, ancora una volta, i soggetti si mobilitano prima che il legislatore definisca un quadro di interventi razionali. Con il rischio, come spesso è accaduto, di agire quando le diverse iniziative promosse si sono già consolidate, rendendo più difficoltosa una reale programmazione. Questa diffusione di comportamenti individuali volti a ricercare occasioni di lavoro finché si studia e, viceversa, opportunità di formazione finché si lavora, costituisce uno degli indicatori dell’esistenza di una nuova e diversa domanda di formazione e, più in generale, di educazione. Non sempre e non solo, peraltro, legata esclusivamente al lavoro.
A chi spetta il compito della formazione
Al fine, quindi, la formazione diviene una risorsa strategica per i soggetti, e per le organizzazioni, che devono affrontare la sfida del cambiamento continuo. Ma chi, dunque, è tenuto a dare una risposta organizzata a tale domanda? Fino a pochi decenni addietro tale risposta era offerta dalla scuola. E, comunque, gli attori sociali tendenzialmente si riferivano ad essa per offrire risposte a nuove domande di formazione, come nel caso delle 150 ore promosse dalle organizzazioni sindacali. Tuttavia, la scuola oggi non è più in grado da sola di rispondere alle molteplici sollecitazioni. Così, da un sistema educativo e formativo centrato sulla scuola, siamo transitati ad un policentrismo formativo. Dove a fianco e oltre la scuola, altre agenzie di socializzazione hanno cominciato ad offrire servizi formativi, in modo più o meno strutturato: dai mezzi di comunicazione alla formazione a distanza, dalle associazioni ai personal computer, ai molti corsi (erboristeria, storia, lingua…) e così via.
Insomma, molti e diversi soggetti sono entrati nell’ambito della formazione e dell’educazione, generando sul territorio una pluralità e policentricità di soggetti educativi. Di qui, l’urgenza di costruire su scala territoriale un sistema integrato di offerta formativa, che veda interagire e collegarsi fra loro i diversi attori della formazione. Le possibilità, dunque, di accedere ad occasioni di formazione tendono ad aumentare, ma parimenti aumenta il rischio che non tutta l’offerta di formazione sia in grado di rispondere efficacemente alla domanda.
Le discriminazioni possibili
Ma, infine, anche se non per importanza, vi è una dimensione che rimane e che assume nuove connotazioni. La disuguaglianza sociale di fronte alle opportunità di formazione. Anche in questo caso ci sovvengono le ricerche realizzate su questi argomenti. E ci ricordano come, di fronte ad una pluralità di opzioni formative, ad essere maggiormente disorientati sono — paradossalmente -proprio quei soggetti che più di altri necessiterebbero di un sostegno dalla formazione: i giovani che abbandonano precocemente la scuola, quanti hanno un titolo di studio basso, i lavoratori con scarsa qualificazione e così via. Ma ne sono esclusi anche coloro i quali hanno un titolo di studio elevato, ma che dimostrano una scarsa propensione alla dimensione relazionale nei luoghi di lavoro, alla dimensione della flessibilità. Così, come in un circuito perverso, nel momento in cui la formazione diviene in misura crescente una risorsa strategica per affrontare le sfide del cambiamento sociale, a rischiare di essere marginalizzati sono proprio
coloro che in misura maggiore ne necessiterebbero.
Dunque, il sistema formativo si trova di fronte una duplice e paradossale sfida. Da un lato, come offrire risposte alle nuove domande di formazione e di educazione, più spesso generate dalle trasformazioni tecnologiche. Dall’altro, come riuscire ad offrire pari opportunità di formazione anche ai soggetti svantaggiati, a quanti rischiano a fronte del cambiamento di rimanere ai margini.