La difficile conquista della fedeltà

di Pinhas Yarona

Ricreare lo shalom, oltre l’apparente separazione

Giacobbe, un bimbo di cinque anni, rivolse al padre la seguente domanda: «Quando saremo morti e dopo di noi moriranno anche i nostri figli, tra moltissimi anni la gente dirà che anche noi siamo stati Bibbia?».
La risposta del padre è ignota forse perché prevale la domanda del bimbo che riesce a “leggere” tra le righe mentre l’adulto ne rimane imprigionato. Quest’affermazione richiede una spiegazione che è rinchiusa nella semplice parola shalom, che tutti noi conosciamo e ci auguriamo. Oltre che essere un saluto, shalom significa pace. La radice della parola, shalem, vuol dire completezza e solo la completezza porta ad uno stato d’equilibrio e pace sia nella fisicità e nello spirito dell’individuo sia nell’universo. Questa ricerca è, in poche parole, l’essenza dell’ebraismo.
Dio creò il mondo per amore, riducendo parte della sua luce per dare spazio all’universo; in quest’universo è rimasta soltanto l’impressione della luce originaria. La creazione comprende l’apparente separazione tra creatore e creato, energia e materia, maschile e femminile, attivo e passivo e, infine, bene e male.
Il compito dell’uomo è comprendere, farsi carico dell’albero della conoscenza del bene e del male e del principio maschile e femminile. Per raggiungere una visione della nostra realtà completa e non separata o limitata dai nostri sensi e dall’egocentrismo, la religione ebraica segue la legge divina della Torà, la Bibbia.
In ebraico Torà significa dottrina, insegnamento.

Un manuale d’istruzioni
Il Libro viene considerato un manuale d’istruzioni d’uso per l’uomo, in modo che possa orientarsi in un mondo circostante per lui sconosciuto e prendere coscienza dell’esistenza di un mondo interiore custodito in lui.
Dopo la cacciata dall’Eden, l’uomo perse il contatto diretto con la luce divina, con la nudità, con l’anima e si coprì di pelle che rappresenta la materia ed il possesso.
«Dio creò l’uomo a sua immagine, lo creò a immagine di Dio, li creò maschio e femmina» (Genesi, 1:27).
Lo scopo dell’uomo (maschio e femmina) è quello di ristabilire il legame con la scintilla divina che è rimasta “sepolta” in lui nella profondità della carne, riconoscerla nella bellezza della natura, e poi “spogliarsi” dell’ego, delle costrizioni mentali e della schiavitù dei beni materiali. In altre parole, risvegliare quell’uomo rimasto addormentato nell’Eden per troppe generazioni. Ora si presenta una domanda fondamentale, il come, con quale mezzo si potrà rientrare nel giardino dell’Eden. La risposta è la Bibbia che contiene regole di vita, valori etici fondamentali, disposizioni di ordine sociale, di carattere economico e politico, ed infine i costumi e gli usi familiari del popolo ebraico.
L’obiettivo dell’uomo è quello di elevare il profano (senza negarlo o eliminarlo) in tutti gli aspetti della vita e metterlo a contatto con il sacro.
Dice il Midrash: nel momento in cui il Santo Benedetto Egli sia, creò il primo uomo, lo prese e lo fece girare fra tutti gli alberi del giardino dell’Eden, e gli disse: «Guarda le mie opere quanto sono belle e degne di lode.
E tutto ciò che ho creato, l’ho creato per te. Stai attento a non rovinare e distruggere il mio mondo, perché se lo farai nessuno potrà risistemarlo».
Dio creò l’universo e lo diede in custodia all’uomo, ed in questo egli diventa Suo alleato, ed è proprio l’uomo che continua e rinnova il processo della creazione divina (o della distruzione umana). Il concetto del libero arbitrio è il nucleo del pensiero biblico, per questo l’ebraismo nega il dogma e la fede deve essere conquistata con l’azione e poi con lo studio che promuove la conoscenza, l’ascolto. La preghiera base dice: «Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è unico».

I settanta volti interiori della Torà
La Torà è destinata a tutta l’umanità ma è stato il popolo ebraico che accettò di seguirla rispondendo all’invito di Mosè: «Tutto ciò che il Signore ha detto, faremo e ascolteremo». Sono 3300 anni che si studia la Torà ed ancora non l’abbiamo compresa. Come si legge la Torà? Secondo i saggi la Torà ha settanta volti, in ebraico panim che significa anche interiorità. Anche i volti dell’uomo (in ebraico è una parola plurale) mostrano i suoi stati d’animo. La tendenza dell’uomo è quella di ignorare la sua voce interiore, anche perché non ha un modo di guardarsi se non tramite uno specchio. Per affrontare le zone d’ombra serve un’altra persona o un libro i cui racconti servono da specchio, un libro che descrive la realtà umana così come è, in modo che l’uomo non cada nell’illusione della perfezione. Tutti i personaggi biblici hanno dovuto lottare per crescere ed il loro cammino ci serve da modello.

I quattro livelli d’analisi
I livelli d’analisi del testo biblico sono molteplici, ma basati su quattro fondamentali chiamati pardes (frutteto): 1. livello semplice di lettura, il significato letterale delle storie; 2. la ricerca del significato psicologico: la radice di ogni parola viene analizzata, la si scompone studiando i vari significati intesi da quella radice anche in altri versi; 3. lo studio dei numerosi commenti scritti dai saggi nel corso delle generazioni sullo stesso testo. Assieme alla Torà scritta esiste la Torà orale (es.
il Talmud), che è la parte dinamica, in continua evoluzione del testo invariato e fisso della Bibbia; 4. la scoperta del livello profondo, mistico, delle opere bibliche, il rivelato del velato. Il personaggio o l’evento diventano un simbolo che esprime un concetto o una potenza dell’anima. In questo livello le lettere nere che rappresentano la materia, l’attivo maschile, l’esteriore, si trasformano in vuoto femminile, lo spazio bianco tra le righe. L’alfabeto ebraico è composto da ventidue consonanti che rappresentano il mattone base della creazione materiale, mentre le vocali, che sono la parte spirituale della lettera, la parte dinamica, devono essere “soffiate” dall’uomo.
Qui l’io dell’uomo, ani, diventa ain, il nulla che si ricollega all’infinito, la pelle si ricollega alla luce. Man mano che la lettura si approfondisce, i protagonisti si svestono sotto i nostri occhi diventando quasi trasparenti.
Come avviene questo?

Un rotolo di pergamena simbolo del ciclo della vita
La Bibbia è scritta in ebraico su un rotolo di pergamena, le lettere nere vengono disegnate manualmente su uno sfondo bianco usando una penna d’uccello o parte di una canna. Le pergamene vengono rilegate con tendini di provenienza animale.
Questo processo non ha subito variazioni per millenni. Il rotolo è simbolo del ciclo della vita, dalla nascita alla morte, sia dell’uomo che della natura e questo spiega i materiali naturali che vengono usati nella fabbricazione del rotolo.
La Torà viene letta in un ciclo annuale di letture, diviso in cinquantaquattro settimane. Ogni figlio d’Israele, dai tredici anni in poi, ha l’obbligo di leggere di persona la Torà, proprio perché la conoscenza deve essere una ricerca personale. L’individuo è chiamato a studiare in modo attivo, deve fare le domande giuste, contestare ed approfondire di persona. Il rabbino non è altro che un maestro, il cui compito è seguire l’allievo nello studio ed incoraggiarlo. Questo spiega l’assenza di analfabetismo tra gli ebrei ed il loro non dedicarsi al proselitismo.
Per millenni l’unico modo in cui gli ebrei sono riusciti a mantenere la loro identità, malgrado le persecuzioni subite nella diaspora, è stato grazie al Libro. Ancor oggi un ebreo russo può comunicare con un ebreo yemenita tramite l’ebraico biblico e la prassi dei riti. Lo studio del Libro riesce a mettere in comunione gli individui, il diverso, lo straniero in un gruppo che si dedichi alla giustizia sociale, la zedakà, dove ogni componente è responsabile del benessere altrui.

Ricerca personale dell’interiorità
Il primo ebreo fu Abramo. La parola ebreo, ivrì, significa colui che attraversò, colui che è di passaggio, colui che si liberò dalla credenza degli idoli, qualcosa di esteriore a lui ed iniziò a sentire la Voce. Con questa fede incominciò il cammino, il lech lecha, «vattene dalla tua terra» per arrivare a te stesso. Abramo abbandonò la visione statica e ciclica, il destino chiuso e prevedibile del mondo antico, la consacrazione delle statue e delle stelle, ed iniziò un viaggio verso una meta sconosciuta che rappresenta la ricerca interiore di un valore individuale che divenne nazionale e poi globale.
Dopo un periodo di silenzio, fu Mosè a sentire di nuovo la Voce della coscienza, la Voce di Dio che chiamò «di mezzo al roveto». Tramite Mosè, Dio conclude un processo iniziato con il popolo d’Israele. Con Abramo fu stabilito un patto di sangue, la circoncisione che tocca l’esteriore, con Mosè un patto scritto, la Bibbia, le dieci parole (comandamenti) che sono i fondamenti dell’etica e della morale che portano alla circoncisione del cuore (in ebraico la parola circoncisione significa patto di parola).
Il primo comandamento introduce il concetto della libertà: «Io sono il Signore Iddio tuo che ti fece uscire dalla terra d’Egitto, dalla casa degli schiavi». L’uomo deve vivere nella storia, nel tempo reale, tenendo presenti gli insegnamenti del passato, mentre il futuro rimane ignoto perché determinato dalle scelte fatte dall’uomo, e quest’uomo è qualunque singolo le cui azioni potranno determinare la storia.

Ricreare l’armonia universale con l’altro
Il compito dell’uomo è di ricreare l’Eden, simbolo dell’armonia universale, dove tutti gli esseri viventi godevano del creato. Il godimento è inteso anche in senso materiale, fisico, ma non perdendo di vista la legge primaria della conoscenza del bene e del male.
E soprattutto, avendo ben compreso che ogni essere vivente contiene la scintilla divina e questa esige rispetto in tutto il creato.
Non a caso, nei racconti biblici, l’altro conteneva sempre un qualcosa che ci appartiene: la parola altro, aher, contiene la parola ah, fratello.
Caino ed Abele, Ismaele ed Isacco, Esaù e Giacobbe, fratelli in contrasto, le due parti del sé in conflitto, e finché non si imparerà a vedere l’altro come colui che arricchisce la nostra esistenza e non gli porgiamo la mano, rimaniamo vittime disarmoniche di noi stessi.
L’altro, il maschile o il femminile, è il nostro specchio: ricordiamo che l’occhio esteriore vede al di fuori di noi e la nostra immagine è riflessa sono nella pupilla dell’altro.
L’uomo è combattuto perché vede solo una parte della realtà ed analizza il completo da un luogo limitato. Per questo deve essere in relazione con l’altro, con un altro punto di vista.
L’incontro di tutti i punti di vista crea il shalem, il completo, perché ripara dalla frammentazione, dal dualismo, creando una terza via che convive tra gli opposti, così ci ricollegheremo all’albero della vita.
Concludo con un detto talmudico: «Il mondo rassomiglia al globo dell’occhio dell’uomo: l’oceano che circonda la terra è come il bianco, la terra è l’iride, Gerusalemme (Yerushalaim, la città completa) la pupilla, e il Tempio è l’immagine riflessa nella pupilla».

La risposta
Quasi scordavo il piccolo Giacobbe: la mia risposta alla tua domanda intelligente è sì.

Yarona Pinhas,
lettrice di lingua ebraica
università orientale di Napoli