Senza regole, senza limiti, liberi
Schiavi dell’insignificanza
«Essere credenti significa
assumere l’impossibile come possibile».
[Ernesto Balducci]
«Senza profeti il popolo si corrompe».
[Proverbi 29, 18]
«L’albero dritto è il primo
a essere tagliato.
La fonte di acqua limpida è la prima
ad essere prosciugata.
Se un uomo sta attraversando un fiume
e una barca vuota viene a sbattere contro la sua,
anche se ha un brutto carattere
non si arrabbierà molto.
Ma se vede che nella barca
c’è un uomo, gli griderà di scansarsi.
Se non riceverà risposta griderà ancora,
e poi ancora e comincerà ad imprecare.
Tutto perché c’è qualcuno nella barca.
Se la barca fosse vuota, egli non urlerebbe
e non si arrabbierebbe.
Se riuscirai a vuotare la tua barca
quando attraverserai il fiume della vita,
nessuno ti si opporrà,
nessuno cercherà di farti del male».
[Zhuangzi xx.]
Il rispetto delle regole
Non amo la retorica. È una forma di alterazione della realtà che imponiamo a noi e agli altri. Ma talora un pizzico bisogna che ce ne concediamo per infonderci coraggio. Ed allora diciamolo: anni fa, ai tempi della mia giovinezza, eravamo tutti un po’ più liberi! Se il concetto stesso di libertà è complesso ed oneroso, diciamo che quantomeno avevamo meno paura degli altri, del mondo e anche di noi stessi. Una libertà tutta interiore.
A scuola si imparava il rispetto delle regole formali, rispetto che dettava disciplina mentale e favoriva ragionamenti aperti. Non è infatti un caso che da quelle generazioni un po’ ingenue siano scaturite persone ed animi assolutamente critici verso il sistema.Ora invece l’assoluta mancanza di linee guida, nei fatti e nelle cose, costringe la mente dei nostri ragazzi a non cercare nuovi spazi di libertà che non siano quelli che il mondo vuole da loro, per appiattirli su modelli fasulli.
Così con i nostri piccoli bagagli e i nostri valori forti affrontavamo un mondo che, per quanto sembri incredibile, appariva difficile ma amico. La corazza del nostro vissuto, della nostra educazione, ci proteggeva rendendoci paradossalmente più leggeri.
La libertà “assoluta” dei nostri figli
Per i nostri figli non è così. Se apparentemente appaiono affacciati sul terreno dell’assoluta libertà, in verità spesso essi sono solo il regno della pura e semplice evasione. Così alleggeriti dal peso delle nostre vecchie regole, i giovani, senza riferimenti, vivono spesso chiusi nel loro mondo paratelevisivo, incapaci di decodificare il vero mondo, che sa essere invece duro ed oppressivo. Una libertà di facciata.
Si muovono tra le loro cose, i loro beni di consumo massificato, come se li avessero sempre avuti con sé, quasi per una legge divina e ciò che non possiedono, non ha più il senso di ciò che si deve conquistare, ma di ciò che inevitabilmente verrà, cosa tra le cose, appendice di un mondo di oggetti alienati che arriverà necessariamente. Nulla a loro è veramente vietato, al massimo è temporaneamente impedito. Libertà di non essere liberi.
Senza veli, senza pareti, vaganti
Così i figli del nuovo secolo si muovono con assoluta “sfrontatezza” all’interno della propria casa, dove i confini delle stanze sono praticamente saltati, perché la modernità ha fatto di ogni cosa e di ogni territorio piccolo o grande che sia, qualcosa di interscambiabile come vuole sua maestà il mercato. Si muovono a scuola o in discoteca, fatto salve modalità diverse, esattamente con lo stesso criterio di chi non sa distinguere i limiti di ciò che si può fare o non fare, perché le cose hanno nomi diversi, ma la valenza è la stessa. Le persone che vi abitano sono oggetti tra gli oggetti, al massimo scocciature da evitare, professori o buttafuori che siano.
Non ci si può sottrarre
La causa e l’esito di tutto ciò è che il mondo che ci circonda ha perso significato, ossia le parole sono diventate semplici flatus vocis, insignificanze; e i sentimenti che dovrebbero accompagnare ogni realtà, sono spariti. È per questo, io credo, che molti si blindano, anche fisicamente, quasi per sottrarsi alla violenza degli altri, illudendosi magari di riappropriarsi, nel chiuso, di quei valori che la decadenza del mondo ha sottratto alla realtà.
È un’astuzia senza futuro, perché, se il mondo ha perso senso e significato, lo ha fatto con il consenso di tutti noi, con la nostra complicità più o meno consapevole, intenti come eravamo, a costruire, tutti, un benessere ed una felicità conseguente, assolutamente surrettizia.
Schiacciati e omologati
Qualche volta mi domando perché il cristiano si trovi spesso sul versante dell’ordine, assieme alle destre, credendo che il suo posto di collocazione sia quello. Cito solo due punti emblematici.
Il primo è quello della pena di morte, vertice del sistema repressivo, dove la pena non può più essere emendativa per il reo. Ma non è che un iceberg. Sotto c’è tanta altra repressione: «la galera ci vuole», «le amnistie sono ingiuste», «l’umanizzazione della pena è un’utopia», ecc. fino alla punizione dei tossicodipendenti. Certo è più facile e comodo proclamare l’illiceità e la punibilità che persuadere i giovani formandone le coscienze e trovando con loro motivi per cui valga la pena di vivere.
Il secondo è quello di sostenere la guerra per combattere il terrorismo. Il Nuovo Ordine Mondiale ha avuto ampio modo di mostrare il suo vero volto. Credo che, dinanzi a questa nuova realtà che sembra riscuotere il consenso delle classi politiche e dei mass-media valgano ancor più di quando vennero pronunciate le parole che Ernesto Balducci pronunziava e scriveva quasi quarant’anni fa, nel 1963: «L’autorità pubblica ha un limite nelle leggi morali; se lo supera, perde ogni valore per la coscienza del cittadino». Il Vangelo è annuncio di gioia: esattamente l’opposto dell’intervento coercitivo.
Eppure, forse
La distruttività globale nelle armi, nella violenza strutturale, nell’odio, è arrivata ad essere troppo alta. L’offesa continuata, l’esclusione sistematica ed il disprezzo civile sono arrivati ad un livello esplosivo. Forse non c’è più rimedio.
Eppure… Forse siamo in tempo, se Dio ci aiuta a capire. Penso a Gregorio Magno, impregnato di cultura romana, ed alla sua coraggiosa intuizione. Era finita Roma, ma non era finita la storia, bisognava passare ai barbari, all’altra umanità, offrire loro il vangelo, accogliendoli con i loro costumi .Leggeva la Bibbia e la spiegava al popolo di Roma, ed agli stessi immigrati barbari, facendosi aiutare da loro a capirla, non come libro di una cultura antica, ma come una Parola che si attua nel tempo, nella storia di tutta l’umanità chiamata da Dio, che cammina con gli uomini, a realizzare su ogni cosa il primato dell’amore. È nell’oggi, nel concreto storico quotidiano, che il vangelo si compie. La comprensione profetica di Gregorio, “la Scrittura cresce con chi la legge” ripeteva il monaco Benedetto Calati, apriva al presente e al futuro, alle civiltà nuove portando il tesoro delle antiche.
Il monaco missionario Agostino, da Gregorio papa inviato tra gli Angli, gli chiedeva: «Dobbiamo portare gli usi di Roma?». Gregorio rispondeva: «No, adotta gli usi degli Angli». Il problema erano certi usi di convivenza con mogli di fratelli, ecc., problemi del genere di quelli che pone l’inculturazione del cristianesimo in Africa, in America Latina ed in altre “periferie”, secondo l’Occidente, del mondo. Gregorio diceva ad Agostino: «Usa pedagogia e buon senso, e non rifiutare l’Eucarestia».
La porta stretta, il passaggio
Forse siamo perduti, forse è troppo tardi. Forse no. Ma il passaggio è stretto, tra un fine ed un principio. Quando eravamo giovani sognavamo una casa tutta nostra da dividere con qualcuno, una casa aperta con intelligenza al mondo; oggi, i sogni dei giovani sono popolati da una casa blindata piena di cose e di beni da difendere? Sarebbe pura sopravvivenza.
Sopravvivenza significa vita senza senso e senza sensibilità, una morte strisciante. Mangiare il pane e non tenersi in piedi, bere l’acqua e non dissetarsi, toccare le cose e non sentirle al tatto, annusare un fiore ed il suo profumo non arriva all’anima. Eppure se uno si fa sfiorare dall’amore, improvvisamente risorge e la vita lo inonda con tale forza che riterrà il vaso di argilla della sua esistenza incapace di sostenerla. Non sto parlando di sentimentalismi o di slanci mistici, ma della vita, che solo allora diventa reale e tangibile, come se fossero cadute squame dai suoi occhi e tutto, attorno a lui, si manifestasse per la prima volta, ogni suono venisse udito per la prima volta, e il tatto fremesse di gioia alla prima percezione delle cose. Tale amore non è privilegio degli amanti, è offerto a tutti con pari possibilità… ed è la sola pregustazione del futuro, il solo reale superamento della morte.
«Se chi spera nella condizione umana è un pazzo – scrive A. Camus – colui che dispera degli avvenimenti è un vile».
Pove del Grappa, giugno 2002