Violenza nelle relazioni familiari
Il conflitto come opportunità di pace
Il conflitto viene spesso percepito quasi esclusivamente come dinamica di rottura, stato di tensione, senso di distanza, emozione di rabbia e paura, sentimento di incomprensione e inadeguatezza, esperienza di potere o sopraffazione.
Ma difficilmente ci soffermiamo sul fatto che il conflitto viene generato anche da bisogni e desideri che non sono subito evidenti perché spesso nascosti nei meandri della dinamica conflittuale. Un desiderio importante che normalmente sottende una situazione di conflitto è una domanda di cambiamento, di riconoscimento di sé e della propria identità, un bisogno di conferma, di appartenenza, di considerazione. di esistere per l’altro, di ridiscutere e ridefinire una relazione. Non possiamo perciò solo considerare il conflitto come rottura, simmetria ma anche come desiderio implicito di cambiamento. E da qui conviene partire: dal riconoscimento, cioè, che le vere relazioni umane necessitano del conflitto, ossia del confronto, dello scambio, della divergenza e dell’opposizione che sono funzionali ai percorsi evolutivi dell’uomo. Dipende poi da noi, da come ci poniamo di fronte ad una situazione conflittuale: se intendiamo risolverla facendo la “guerra”, utilizzando cioè modalità violente e aggressive per prevalere sull’altro, cercando in qualche modo di “farlo fuori”, eliminando così la sua provocazione, la novità che ci inquieta, o se accettiamo di sostare nel conflitto, cercando di capirne le richieste implicite, mascherate e cerchiamo ogni giorno, umilmente, di tornare a “fare la pace”, risolvendo così la divergenza in modo creativo, non violento, attraverso una mediazione che permette di ristabilire un equilibrio tra le parti.
Il conflitto dovrebbe essere proprio questo: un’opportunità da gestire, non una guerra da combattere.
Una strategia di negoziazione
Non solo ogni fase del nostro ciclo vitale, ma anche ogni momento della nostra giornata ci chiede di mettere in atto strategie di negoziazione e rinegoziazione continua. Che cosa viene solitamente ridiscusso all’interno di un sistema familiare? Le funzioni, i ruoli, i confini, le regole di relazione, le gerarchie. Quali sono i principali motivi del conflitto all’interno di una dinamica di coppia? Lo scontro tra i miti familiari appresi nelle proprie famiglie di origine (per es. il mito della famiglia unita, dell’essere buoni, della famiglia “tradizionale”, contrapposta alla “moderna”), l’idea che ognuno ha introiettato dentro di sé del conflitto (per es. conflitto come rottura, perdita, pericolo, violenza) in base alle esperienze che lo hanno marcato personalmente nei contesti relazionali più significativi (familiare, scolastico, amicale, lavorativo), i pregiudizi personali, l’ordine di importanza che si dà alle cose (che spesso non viene esplicitato), il livello di elaborazione della diversità e della complementarietà di genere e la gestione del potere personale all’interno della relazione affettiva.
Gestione del potere
e genere sessuale
La diversità di genere sessuale appare lo snodo fondamentale della realtà familiare: da un lato, infatti, permette l’atto generativo e quindi la nascita del legame parentale che tiene uniti i singoli elementi del sistema (contemporaneamente alla nascita del figlio nascono due genitori, quattro nonni, zii ecc.); d’altra parte, però, in presenza di una differenza di genere sessuale (ma anche di età, cultura e storia familiare), le due persone vengono poste sullo stesso piano, alla pari, generando quindi potenziali rischi di relazioni simmetriche e conflittuali per la gestione del potere. In realtà, la parità è un obiettivo che si raggiunge gradualmente attraverso l’individuazione degli ambiti diversi nei quali la singola persona può esprimere la propria diversità e le proprie specifiche risorse. La parità in assoluto è un’ utopia, è un andare verso, un effetto complessivo che si raggiunge attraverso continui aggiustamenti della complementarietà. Ci saranno quindi degli ambiti a predominanza dell’uno o dell’altra a seconda delle funzioni e dei ruoli che vengono negoziati durante l’intero ciclo vitale della coppia e della famiglia. La flessibilità e la elasticità appaiono quindi come atteggiamenti utili e necessari affinché si possano ipotizzare e sperimentare equilibri diversi in tempi diversi: questo equilibrio infatti dovrà continuamente essere negoziato dopo ogni evento vitale a cui la famiglia va incontro: formazione della coppia, nascita dei figli, malattie, scolarità, adolescenza, autonomizzazione e svincolo dei figli, pensionamento, trasferimenti, migrazioni ecc.
Il conflitto di genere è una delle realtà ancor oggi più problematiche, è un equilibrio spesso precario determinato da molti fattori quali: la disponibilità, la reciprocità, l’autonomia e la dipendenza e dalle regole che ne definiscono contenuti e limiti; questo equilibrio si costruisce, dunque, in una tensione permanente tra le condizioni della libertà della persona e le forme di lealtà verso le responsabilità nella relazione.
La famiglia è descritta antropologicamente l’opposto della guerra, viene anzi spesso considerata un ambito della vita sociale ritenuto pacificato. I legami sociali primari dovrebbero infatti essere impostati su stili relazionali basati su emozioni sostanzialmente positive (l’amore, la gratuità e la reciprocità nelle relazioni di dono, la protettività e la cura dei bambini) ma, purtroppo, non è sempre così.
La famiglia è l’opposto della guerra, ma c’è sempre più guerra nelle relazioni familiari.
Dalle recenti analisi, pubblicate dalle reti antiviolenza non solo italiane ma anche europee, emergono dati disorientanti sul maltrattamento di donne e bambini tra le mura domestiche; queste ricerche sottolineano come esista una violenza nelle relazioni intime che rischia di diventare strutturale, dipendente cioè da gravi malintesi rispetto ai confini, ai diritti dell’altro, alla differenza di genere, e sempre più spesso si tratta di violenze agite da persone non francamente patologiche.
Non va dimenticato che è dal 1975 che l’ONU ha considerato la violenza contro le donne come il crimine più diffuso sul pianeta. La tentazione del dominio resta una radice permanente del disagio non solo delle nostre forme di civiltà ma anche delle relazioni affettive più importanti e vitali.
Come sciogliere le occasioni
di violenza
Se il conflitto è il motore sia delle dinamiche relazionali più prossime che dei processi sociali più allargati, non per questo la violenza del dominio personale deve esserne un esito necessario.
Scegliere di risolvere il conflitto in maniera violenta è una soluzione spesso dettata dall’alto tasso di tensione emotiva espressa all’interno delle nostre famiglie: quando la rabbia, il dolore e la paura non trovano uno spazio adeguato e protetto per poter essere parlate anziché agite. In una cultura dove il mito dell’armonia familiare non viene posto come un obiettivo da raggiungere gradualmente, e con fatica, ma viene messo come un apriori, un presupposto dato, (la cui espressione massmediale stereotipata è l’immagine della famiglia del “mulino bianco”, della “pasta barilla”, delle merendine.) l’espressione delle emozioni vitali specialmente la paura, la rabbia e il dolore non hanno spazio. L’aggressività quindi viene bandita, non espressa, a scapito di un implicito accordo di non belligeranza che porta spesso a rinunciare ad instaurare una comunicazione soddisfacente, a stabilire delle regole, a farle rispettare, a porre dei confini personali, di coppia familiari, sociali, pur in contesti contraddittori che richiederebbero chiarezza e confronto. Sono sempre più frequenti le situazioni di conflitti sommersi (all’interno della relazione di coppia, con le famiglie di origine, con i figli adolescenti) che creano messaggi ambigui, confusivi, ambivalenti nelle dinamiche familiari. La mancanza di una espressione adeguata e socialmente utile dell’aggressività genera comportamenti violenti. Si salta quindi subito dal pensato all’agito, l’espressione verbale, che permetterebbe un confronto e una mediazione utile a risolvere il conflitto, non trova spazio, si agisce la rabbia, il dolore con gesti violenti o con una comunicazione squalificante, ostile e opprimente, con un’aggressività feroce autodiretta o sfogata sull’altro che segna spesso irreversibilmente la possibilità di pensarsi ancora davvero insieme.