La verità della guerra
Il velo dell’ipocrisia
La guerra, scrive Eraclito, manifesta la verità. Essa «rivela alcuni uomini come liberi, altri come schiavi», e consente di «distinguere gli dèi dagli uomini». Elimina ogni trucco, cancella qualsiasi dissimulazione, facendo emergere le qualità e i difetti di ciascuno. In presenza della guerra, scompaiono le posizioni intermedie, si dilegua ogni illusoria neutralità, perché ognuno è chiamato nettamente a schierarsi da una parte o dall’altra. Fra le verità che la prospettiva della guerra ormai imminente sta facendo emergere, ve ne è una che si sarebbe preferito non vedere, e che molti si ostinano ancora a negare. È quella che riguarda il modo concreto di essere e di funzionare delle democrazie occidentali, il rapporto fra governati e governanti, la relazione fra decisione politica e consenso popolare.
Da mesi, in maniera martellante, su tutti i giornali e in tutte le trasmissioni televisive, per legittimare il massacro dei civili in Afghanistan, e per porre le premesse del futuro bagno di sangue in Iraq, si è sottolineata la differenza abissale esistente fra la modernità delle regole e delle istituzioni democratiche del nostro Occidente e l’arretratezza dei paesi arabi, insistendo in maniera particolare sul carattere dispotico del regime instaurato da Saddam Hussein. Per mesi si è posta a confronto l’incondizionata libertà di cui godono le donne in questa parte del mondo, rispetto all’umiliazione del burka o alle mutilazioni sessuali imposte alle donne assoggettate all’Islam. Per mesi ci hanno sepolto sotto la maleodorante retorica di una civiltà progredita e matura, a confronto con i residui di una inaccettabile barbarie.
La tanto decantata democrazia
Ora che si avvicina in maniera inesorabile il momento della tanto attesa resa dei conti militare, si squarcia il velo dell’inganno e della propaganda. La tanto decantata democrazia dell’Occidente è un sistema nel quale le decisioni più importanti (e si concederà che quella relativa all’entrata in guerra è fra tutte la più rilevante) vengono assunte non dal Parlamento, ma da un singolo personaggio, non vengono assoggettate a pubblico dibattito, ma corrispondono a procedimenti tenuti segreti, non rispondono all’orientamento della maggioranza dei cittadini ( in Italia, quasi il 70% è contrario alla guerra; perfino negli USA si è superata ormai abbondantemente la metà), ma soltanto agli interessi non dichiarati di oligarchie numericamente esigue e sprovviste di ogni possibile legittimazione. La civiltà dell’Occidente è quella che resta sorda ai reiterati appelli della principale autorità spirituale, è quella che è totalmente indifferente alla mobilitazione spontanea di milioni di persone, è quella che predispone con cura maniacale la contabilità dei morti che si accinge a produrre, mettendola a confronto con la contabilità delle spese necessarie per realizzare un tale eccidio. La superiore razionalità dell’Occidente consiste nell’infischiarsene allegramente della logica, sostenendo in maniera spudorata tesi che fanno a pugni col più elementare buon senso: come quando si afferma la necessità di una guerra preventiva, o quando si dichiara che, pur mancando prove verificabili, le intenzioni dell’Iraq sarebbero state quelle di disporre di armi distruttive. La pari dignità dei paesi rappresentati all’ONU consiste nel fatto che il più forte fra loro detta le regole per tutti, impone le scelte, stabilisce ciò che è legittimo e ciò che non lo è. Il presunto universalismo dell’organismo sovranazionale che ha sede al Palazzo di vetro è in realtà l’espressione degli interessi economici di un solo paese, pronto a provocare una guerra che durerà un’intera generazione (secondo le parole di Bush), per realizzare i propri obiettivi di Impero.
Se la storia è maestra di vita
C’è un brano de La guerra del Pelopponeso di Tucidide che è rimasto giustamente famoso. È quello nel quale si descrive l’incontro fra gli ateniesi e gli abitanti della piccola isola di Melo, i quali avevano deciso di restare neutrali nella guerra che era in corso ormai da anni fra gli ateniesi e gli spartani. Agli ambasciatori dei melii, i comandanti della flotta attica propongono una alternativa secca: o accettare di entrare in guerra al loro fianco, ovvero essere sterminati.
Lo storico descrive con dovizia di particolari il dialogo che intercorre fra le due parti. I melii, nettamente inferiori per numero e potenza militare, sottolineano la loro ferma determinazione a non partecipare alla guerra, invocando il diritto a restare neutrali ed appellandosi al senso di giustizia dei loro interlocutori. Ma la risposta degli ateniesi è inflessibile: l’unica giustizia che essi sono disposti a riconoscere è quella della forza, e poiché la loro è superiore, i melii dovranno sottostare alle loro imposizioni. Di fronte al ribadito rifiuto a prendere parte ad una guerra di cui non condividono le ragioni, gli ateniesi rompono ogni ulteriore indugio, uccidendo spietatamente tutti gli abitanti dell’isola, donne e bambini inclusi.
In parallelo, Bush
Il discorso degli ateniesi a sostegno delle loro pretese – l’unica giustizia è quella che si fonda sulla forza – definito da Nietzsche, il filosofo autore del Così parlò Zarathustra, un terribile discorso, coincide quasi perfettamente con quello pronunciato da G.W.Bush per giustificare l’attacco contro l’Irak. Nessun’altra ragione, nessun’altra legittimità, egli ha di fatto invocato, se non il diritto-dovere di uno stato che sia militarmente ed economicamente più forte di tutti ad intervenire per assecondare i propri obbiettivi di politica internazionale. Come nel caso degli ateniesi verso i melii, così nel caso degli americani nei confronti di Saddam, qui non si pone il problema di giustificare l’intervento militare. Esso è in sé giusto – e dunque non va giustificato – perché esprime una superiorità della forza rispetto a qualunque altra logica, nei confronti di qualunque altro presunto valore.
Una consolazione, almeno, ci resta. Se prima potevano esserci dubbi, adesso è tutto chiaro. Ed è pienamente confermato il detto dell’antico filosofo: rivelando la verità, la guerra fa vedere chi sono i liberi e quali sono invece gli schiavi. Noi, cittadini italiani, apparteniamo a questo secondo gruppo.