Bandiera bianca
Scorrendo le pagine di Madrugada
Caro lettore, cara lettrice, sventola all’angolo di casa la bandiera della pace per salutare altre innumerevoli bandiere che si distendono sulle case, sui tetti, nelle strade, nei paesi, nelle città, nelle metropoli d’Europa, nelle piazze e nelle strade di Roma per la grande manifestazione. Milioni e milioni di persone a proclamare la pace come bene primo, fondamentale per la convivenza e per la civiltà. Per dire a chi vuole la guerra che ci sono altre soluzioni ai conflitti. Questo numero è percorso dalle riflessioni sulla guerra, nella speranza che serva se non a Bush almeno a chi tra noi dispera della parte di luce che c’è in ogni uomo in ogni donna, ma vorrebbe crederci. La prima bandiera della pace è per il controcorrente di Giuseppe Stoppiglia, che rammenta il fallimento del capitalismo che ha mancato al suo compito di garantire il benessere agli uomini, mentre ha determinato disparità economiche gravi ed ha bisogno della guerra per assicurare il suo potere. Alla bandiera risponde uno schieramento di vessilli dal monografico guerra e violenza, che lanciano messaggi di denuncia e proposte di riflessione. Nella fila di mezzo, con bandierina, c’è il signor Senese. Nella sua relazione Diritto internazionale e nuove guerre scrive della pericolosa e subdola riabilitazione della guerra (la guerra a zero morti, con aumento esponenziale dei morti tra i civili) che porta con sé la discriminazione nel campo dei diritti umani anche se afferma di difenderli. Umberto Curi lo vedi in mezzo ad un capannello di giovani. Nel suo articolo La verità della guerra cita Eraclito: «La guerra manifesta la verità». E poi ricorda Tucidide della "Guerra del Peloponneso" che narra la vicenda del popolo dei melii, che non accetta l’alleanza di guerra degli ateniesi e per questo sono annientati, e la propaganda subdola di chi oggi vuole la guerra in nome della democrazia. E passiamo dalla guerra alla violenza ed al conflitto nella realtà familiare e nelle istituzioni. Ora la fila della pace diventa un fiume e vi si perde Monica Lazzaretto che prima di smarrirsi scrive su Violenza nelle relazioni familiari che nella famiglia il conflitto di genere (maschile e femminile) è una delle realtà più problematiche, e che la violenza contro le donne ed i bambini è tra le più alte. Le fanno bordone Gianni Priano e Maria Zambrano, rispettivamente in Lamento su Baghdad e I pericoli per la pace. Ennio Ripamonti in La gestione dei conflitti ci propone una riflessione sul conflitto e le sue funzioni, con la sua doppia faccia come Giano, che ci urge ad una reazione innovativa e vitale, anche se può confinarci in una stasi letale. Marcella Filippa ha invece un foulard dai colori della pace e nel suo La vita da qualche parte continua ci presenta Milena: l’acqua e il fuoco, la dolcezza e la forza, che nel turbine della seconda guerra mondiale resiste all’annientamento e muore nel lager ricordata dalle amiche come Milena di Praga. Seguono le rubriche dei tempi di guerra e di pace: inizia il nostro direttore, Francesco Monini, con il suo diario minimo che ci trasmette appunti raccolti con un mozzicone di matita, in volata, a bordo di una bicicletta, a margine de La Repubblica mentre con un occhio segue il figlio Carlo. Non manca Giovanni Realdi che al pianoterra si intrattiene con Calogero e con i "vu’ comprà". Nella rubrica il piccolo principe Egidio Cardini, transfuga per il Brasile, il carnevale, il peccato, la carne e padre Smith riflette sul genocidio degli ebrei, ma insieme li invita a ricercare una soluzione alla tragedia palestinese. Alessandro Bresolin, postino che suona mille volte e più prima di rientrare a base, nella rubrica itinerari ci ricorda la tragedia di Sarno, l’indifferenza e la pigrizia che ancora oggi, a cinque anni dal disastro, mantiene precaria e pericolosa la condizione dei suoi abitanti. Conclude il cronista, con Macondo e dintorni. Segue in ultimo appello la didascalia delle immagini ricevute in benigna concessione dalla rivista Cem Mondialità che occupa altri spazi di ricerca.