Il rumore della risacca
Leningrado (oggi tornata San Pietroburgo), in via Pavlov, in una casa rossa dove ora c’è un ospedale, c’era un centro di smistamento in cui venivano portati i bambini dopo l’arresto dei genitori. Lì venivano ripartiti per internati. Nel centro piangevano tutti. Per la paura piangevano piano, sotto il cuscino; ma per quanto piano facessero, nell’aria si creò una specie di tensione, un rumore simile a quello del mare. Così andò la faccenda delle lacrime dei bambini, al cui prezzo, secondo Dostoevskij, non si può comprare nemmeno la felicità del mondo intero: le lacrime diventarono così tante che i bambini facevano un rumore simile a quello della risacca del mare.
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Una mattina presto, alla radio, in un programma che non ricordo, intervistavano Petrella, esperto “scomodo” di acqua. Lo so che le cifre stancano dice Petrella ma vorrei ugualmente darvene alcune. In un mondo di 6 miliardi di abitanti, 1,6 miliardi di persone vive senza acqua potabile. Ogni giorno, per cause legate all’acqua, meglio dire alla sua assenza o carenza di qualità, muoiono 30.000 persone: 5.000 di queste, sono bambini. Ma, professor Petrella, esiste una prova di un qualche legame tra distribuzione ineguale del bene acqua e povertà? E Petrella, paziente: Altre due cifre, poi ognuno faccia i suoi conti. Abbiamo detto che 1,6 miliardi di persone vive senza acqua potabile. Sul medesimo pianeta, il nostro, 2,7 miliardi di persone vive sotto la soglia della povertà (2 euro al giorno), e 1,5 miliardi sotto la soglia della sopravvivenza (1 euro al giorno). Grazie professor Petrella, molto interessante ma il nostro tempo è scaduto, adesso mettiamo un disco… Mi fermo a una piazzola di sosta e trascrivo le cifre sulla prima pagina del giornale appena comprato. Poi strappo la pagina e l’inserisco nel sacchetto in fondo a destra, nell”’archivio” del diario di Madrugada. Lo ritrovo adesso, la data è quella del 25 aprile: si vede il titolo principale: «Tareq Aziz arrestato dalle forze Usa, Bush esulta». Sopra e sotto la testata, le cifre di Petrella trascritte quella mattina. Penso a quei cinquemila bambini che muoiono “d’acqua” ogni giorno. Non fanno nessun rumore. Né quello della risacca che monta, né quello tenue di una piccola onda. Non piangono. Oppure non riusciamo proprio a sentirli. Oppure questa storia della grande rete, del mondo in diretta, della comunicazione totale e globale è una fottutissima balla. Vediamo tutto. Sentiamo tutto. Sappiamo tutto… quello che possiamo e dobbiamo vedere, sentire, sapere.
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Dopo 18 mesi e un paio di guerre coi controfiocchi non solo non abbiamo acciuffato lo sceicco pluriricercato, ma ci è scappato pure Saddam Hussein. Boh dicono magari è morto. Magari sono morti tutti e due… Ci sono, tra l’altro, quei rompic… dell’ONU che continuano imperterriti a chiedere le prove dell’esistenza delle armi di distruzione di massa possedute dal rais e dei collegamenti organici tra il regime irakeno e la rete terroristica di Al Qaeda. Bush e Blair, i più fieri sostenitori della guerra preventiva (ma guarda un po’ cosa devono sopportare due uomini che hanno appena finito di salvare il mondo!), si trovano ora a fare i conti con inchieste parlamentari e con giornalisti sovversivi. Dove sono le armi chimiche? Adesso le troviamo. Ma la guerra è già finita da due mesi! E che è; un po’ di pazienza!, intanto abbiamo trovato un’altra fossa comune. Sì, ma avevate giurato che in 45 minuti Saddam poteva scatenare la guerra chimica, che era a due passi dalla guerra atomica. Dove sono le prove? Invece delle armi, sotto questa guerra sporca di petrolio, stanno venendo fuori un mucchio di inganni, bugie, montature. Il che non sarebbe propriamente una novità; ma confronto a queste, la bugia di Clinton ve la ricordate? fa proprio tenerezza.
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Forse ci voleva uno dei governi più ultraconservatori che Israele abbia mai avuto, presieduto da quel generale Sharon, eroe della guerra dei Sei Giorni e massacratore dei profughi inermi di Shabra e Shatila. Forse bisognava mettere fuori gioco, o comunque spostare dal centro della scena, l’eterno Arafat, uomo simbolo della causa palestinese e delle sue mille anime, grande stratega ma autore anche di qualche imperdonabile errore politico. Forse bisognava mettere sul tappeto la gran voglia di rivincita di un Bush che, dopo due guerre vinte in fretta e male, ha un assoluto bisogno di concludere una vera pace. Forse, chissà, da tre anatre zoppe partirà il processo di pace soprannominato road map. Sharon, Abu Mazen e Bush si sono stretti la mano. Forse invece così sembrerebbe dagli attentati e dalle rappresaglie che continuano si tratterà di un’ennesima falsa partenza. Temo di sì e spero di no.
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Sabato 17 maggio, dopo una breve e cruenta malattia, è morto Luigi Pintor, il più grande giornalista italiano vivente. Lui e Montanelli, dai lati opposti dello schieramento ideologico ma con identica libertà di pensiero, passione morale, lucidità, sintesi icastica, hanno raccontato i vizi (molti) e le virtù (assai di meno) del nostro personale politico e della nostra classe dirigente. Nessuno, negli ultimi decenni, si è incamminato nel sentiero stretto di Indro e Luigi. Occorreva averne il cuore, il cervello. E soprattutto un’inarrivabile facilità di penna. I controcorrente di Montanelli e i corsivi di Pintor su il manifesto bisognerebbe leggerli a scuola durante l’ora di educazione civica, storia contemporanea e lingua italiana. Che faccio, lo propongo alla Moratti?
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Chissà cosa avrebbe scritto Luigi Pintor di Giovanni Petrali (occhio un po’ spiritato nelle foto di agenzia), tabaccaio di professione in un bar a due passi da San Vittore, più volte rapinato e che per una sera quella di venerdì 17 maggio ha deciso di farsi giustizia da solo. Entrano due balordi tossicomani, Alfredo Merlito di 30 e Matteo Bandello di 18 anni, pistola in pugno arraffano un po’ di banconote dalla cassa, si voltano, fuggono. Ma subito il tabaccaio giustiziere gli è dietro e comincia a gridare e a sparare. Li insegue in strada con la sua 38 Special regolarmente registrata per quasi 200 metri, fino al semaforo di via San Vittore. Urla, spara e finalmente li centra. Vanno a terra come due birilli. Il più giovane ha una spalla fracassata e il polmone perforato, per il secondo non c’è più nulla da fare. Davanti all’ennesimo episodio la città si spacca. Albertini, sindaco di Milano, esprime solidarietà al tabaccaio: «È un uomo onesto, io sto con lui. Ha sparato solo per difendersi». Anche i commercianti fanno quadrato. Ma il giustiziere, dopo l’euforia del tiro a segno, è sotto choc: «La solidarietà non mi consola». Rischia il carcere per eccesso di legittima difesa. La cosa più brutta è il clima di paura. Il senso di solitudine. E ora che facciamo? È giusto farsi giustizia da sé? Certo che no, ma qual è l’alternativa? Si potrebbe incominciare con un grande paiolo in piazza e fondere tutte le pistole di Milano. Ma tutte, proprio tutte. Milano è il Far West? Ma anche nel Far West lo sceriffo di Tombstone si faceva consegnare le colt da tutti quelli che varcavano le soglie del saloon.
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2003; sarà un’estate torrida. E sarebbe una novità? Manco per sogno: e infatti non si vede una nuvola all’orizzonte; calma piatta, pressione costante, il solito tran tran estivo: incidenti e code sull’Autosole, ingorghi sul raccordo anulare; un qualche delitto molto, ma molto sugoso (tipo Cogne o la contessa Vacca Augusta); le panze dei politici e le tette delle stelline riprese con il teleobiettivo; un imbecille che su una tivù imbecille (una qualsiasi, fate voi) raccomanda vacanze e partenze intelligenti; Ramazzotti che incontra la ex moglie che presenta il Festivalbar. Si guarderanno, si parleranno, faranno finta di niente? Quali vip vedremo sulla barca di Briatore? Dimenticato nulla? Ah sì: l’ondata dei nuovi clandestini! Questa volta però, dice il governo, ci siamo fatti furbi: fermeremo le carrette del mare fuori dalle nostre acque territoriali. No pasaran! Ma ammesso (ammesso e non concesso, vista l’efficienza italiota e gli oltre 8.000 chilometri di coste nazionali da presidiare) che ce la facciano davvero, vi immaginate la scena? Col megafono: Siete pregati di tornare indietro! Non avete il visto d’ingresso per entrare nelle nostre acque!!! Insomma: dietro front o apriamo il fuoco!!! E questa carretta del mare dove va? Dove porta il suo carico umano di disperazione, miseria, donne e bambini ai limiti della sopravvivenza? Già la sento la risposta del Bossi: «Sono acque internazionali? E allora che ci pensi l’ONU!».