Il desiderio di sicurezza e gli scenari della paura

di Ciaramelli Fabio

La società dell’incertezza e del rischio

Scambio, felicità e sicurezza
«L’uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza» così scriveva Freud nel Disagio della civiltà (1929). Queste parole oggi sembrano datate e superate dai fatti. In effetti, se la civiltà moderna, per mantenere i suoi standard, era stata orgogliosa di porre regole pubbliche, che limitassero il soddisfacimento di impulsi e desideri soggettivi, la società dei consumi di massa ha vissuto con fastidio l’eccesso d’ordine imposto da quelle regole, essenzialmente protese a procrastinare e differire l’appagamento. Nel trionfo di benessere e deregulation, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, c’è stata una vera e propria euforia dei consumi, e un tale fenomeno non si è limitato all’ambito propriamente economico, e alle sue implicazioni tecniche. Come ha scritto uno dei maggiori giornalisti italiani, Eugenio Scalfari, «più importante è stato l’aspetto psicologico: siamo entrati in una fase edonistica molto pronunciata nella quale predomina un desiderio di felicità da procurarsi subito e senza troppi pensieri». Ed è sembrato scontato che la liberazione del desiderio di felicità da ogni vincolo fosse l’unico vettore autentico di progresso e di sviluppo, affidati ovviamente all’intraprendenza dei singoli.

Obbligo di felicità e frustrazione
In conseguenza di ciò, la diffusione del rischio è apparsa l’unica molla della civilizzazione. Come ha notato Bauman, i termini del baratto descritto da Freud si sono capovolti. È proprio la rinuncia alla sicurezza che sembra rendere possibile un surplus di felicità. Lungi dall’essere represso o inibito, il desiderio di felicità viene stimolato e autorizzato. La società globale pretende di attribuire agli individui una maggiore capacità di godere, ed è proprio il godimento, cioè l’appagamento immediato del desiderio di felicità, che diventa il grande protagonista della deregulation. Come ha scritto Slavoj Zizek, il godimento diventa così un vero e proprio “fattore politico”. E tuttavia, la diffusione crescente di nuove forme di disagi, paure e ossessioni sta lì a smentire questa utopia dell’appagamento immediato. È vero che la società dell’incertezza e del rischio capovolge il baratto freudiano, è vero che nell’epoca della globalizzazione si preferisce la felicità alla sicurezza: ma questo non significa affatto che si riduca la dimensione del malessere e perfino dell’infelicità. Nella società globale, la maggiore causa di sofferenza è proprio la frustrazione, cioè l’ansia di prestazione che impone il nuovo imperativo inderogabile, l’unico imperativo veramente categorico, e cioè quello che prescrive il raggiungimento obbligatorio della felicità. Ma la felicità che tutti dobbiamo conseguire ad ogni costo, proprio questa felicità che esalta il rischio e s’affida all’intraprendenza individuale, non è considerata completa, se non include al suo interno la stessa sicurezza. Infatti, è proprio nella promessa di felicità veicolata dall’immaginario globale che la sicurezza è contenuta nella sua forma più radicale: non c’è nulla di più sicuro e rassicurante del possesso immediato, l’appagamento compiuto, la coincidenza fra desiderio e soddisfacimento. Ed è proprio questa simultaneità inglobante che l’immaginario consumistico non solo promette ma impone ossessivamente di conseguire ad ogni costo.

L’ossessione dell’insicurezza
Sennonché, alcuni eventi traumatici dapprima la crisi della mucca pazza, e poi, in forma infinitamente più intensa, prima gli attacchi terroristici dell’11 settembre e ora l’epidemia della polmonite atipica hanno riportato in primo piano nell’immaginario delle società occidentali globalizzate l’ossessione dell’insicurezza. Ciò che genera diffidenza è sempre più impalpabile. L’incapacità di controllarlo accresce l’ansia e moltiplica le paure. Ma tutto ciò, piuttosto che ostacolare o contrastare la tendenza dominante della società verso la conquista della felicità, l’ha esplicitamente caricata d’una nuova esigenza, o l’ha sottoposta ad un nuovo aspetto dell’ingiunzione contraddittoria dei nostri tempi: la sicurezza deve diventare una “prestazione aggiuntiva” dell’appagamento immediato dei desideri. Dopo l’11 settembre e il resto, Bauman ha ancor più ragione di prima: il baratto di cui parlava Freud ripugna alla società occidentale avanzata. Essa pretende sempre più sicurezza, senza però che questa pretesa implichi la cessione della benché minima quota d’accesso possibile alla felicità. La forma di vita costruita intorno al primato dei consumi veicola un significato opposto ad ogni forma di baratto. L’elemento decisivo non è come pur si sostiene da parte di qualche neoliberale oltranzista la riabilitazione del rischio, a causa delle sue virtù morali o economiche, ma la pretesa all’immediatezza. Con questa formula intendo riferirmi al trionfo d’un immediato inglobante in sé l’insieme dei significati di cui è costellata la vita sociale. In questo senso, la società industriale avanzata, nell’epoca della globalizzazione, non si presenta come essenzialmente sorretta dalla competizione tra individualità indotte a massimizzare originalità e inventiva. L’ideale agonistico d’uno spazio pubblico che possa premiare i migliori e lasciare ai suoi margini i più riottosi o i meno capaci, pur presente in certi discorsi “tonificanti” che si rivolgono agli esprits forts per forgiarne la tempra, è comunque subalterno alla promessa d’appagamento immediato dei desideri di massa. L’accesso immediato alla felicità, reso possibile nella sua pienezza dalla diffusione dei consumi, deve a tutti i costi appagare lo stesso desiderio di sicurezza. Se e quando ciò non accade, si diffonde il panico.

Opportunità di uno spazio pubblico
Si delinea uno scenario di ansia e di incertezza, che i privati non riescono a gestire da soli. Ma il restringimento dello spazio pubblico, che era sembrato la via privilegiata dello sviluppo e del progresso, non facilita affatto le cose. Assistiamo, insomma, a una globalizzazione della paura come ansia d’incolumità collettiva: cioè di una sicurezza che può solo essere garantita in quanto bene pubblico primario, che quindi esige la costituzione e la difesa d’uno spazio pubblico sottratto agli “spiriti animali” del mercato. Temi questi sui quali, com’è noto, negli ultimi anni il discorso sociale dominante aveva gettato un alone di discredito, vedendovi il retaggio di un’epoca sorpassata di garanzie deresponsabilizzanti e immobilismo sociale. La pretesa che l’accresciuta immediatezza del godere, in quanto caratteristica del singolo e punto culminante d’una sorta di evoluzione naturale della società, possa acquisire direttamente implicazioni pubbliche, s’è rivelata un’illusione. L’utopia della nostra epoca è stata la trasformazione del godimento individuale in fattore d’emancipazione collettiva. L’attuale ansia d’insicurezza, gli scenari inediti della paura e il nuovo bisogno d’incolumità ne stanno mostrando amaramente l’inconsistenza.