Appartenere a un territorio
Sentimento e impegno, identità e responsabilità
«Io non pretendo il mondo intero
vorrei soltanto un luogo
un posto più sincero
dove magari un giorno molto presto
io finalmente possa dire questo è il mio posto
dove rinasca non so come e quando
il senso di uno sforzo collettivo
per ritrovare il mondo».
[Giorgio Gaber, Canzone dell’appartenenza]
Sentirsi a casa
In questi ultimi anni mi è capitato spesso di chiedermi quale fosse il luogo a cui sentivo di appartenere, sia nel senso privato di sentirmi a casa, sia nel legame con la comunità e il territorio. Dopo l’università a Bologna, un anno in Germania e vari soggiorni in giro per l’Italia e l’Europa mi trovo a pensare al futuro e a non sapere in che luogo immaginarmelo.
Un luogo è composto da due elementi: il territorio, cioè lo sfondo materiale delle nostre azioni e rappresentazioni culturali dello stesso, e le persone che vi abitano e che costituiscono la comunità umana nella quale nasciamo o scegliamo di vivere. Esso è il contesto in cui si snoda la nostra storia, sia essa individuale o politica. Il nostro rapporto con il territorio è fondamentale, non solo per una questione di identità e di affettività, ma anche per l’organizzazione politica della comunità in cui viviamo.
Per quanto riguarda il fatto del sentirsi a casa da qualche parte, esso sembra legato al luogo che ci ha visti nascere, crescere, in cui abbiamo fatto esperienze significative o prolungate. Ci siamo adattati alla sua conformazione fisica o architettonica, alle sue salite e discese, sperimentando la fatica che accompagna ogni passo che calca la terra e appropriandoci, proprio attraverso questa fatica, della conoscenza di noi stessi, della nostra identità e della terra. Apparteniamo dunque al luogo in cui ci riconosciamo e ci orientiamo. Mi sento a casa dove conosco le strade e i profili dei monti, dove le mie abitudini e i miei valori si sono sedimentati e nulla nell’ambiente sembra spaventarmi e sconcertarmi, poiché lo conosco ed è difficile che in esso mi possa perdere, poiché mi sono familiari il paesaggio, gli odori e i suoni, soprattutto quelli della lingua. I luoghi in cui mi sento a casa, e possono essere diversi, sono connessi in profondità con il principio passivo dell’abitudine e quello attivo dell’amore: sono dove si trova ciò che non ci è estraneo e ciò che amiamo. Questo principio vale soprattutto per le persone. Mi sento a casa quando sono tra persone che conosco e che amo, tra le quali mi sento allo stesso tempo conosciuta e amata. Mi sento rassicurata tra persone a me simili e affini, con le quali mi trovo a condividere non solo il territorio e la lingua ma anche determinati valori o scopi, verso i quali esprimo il mio consenso o la mia disponibilità ad accoglierli – la quale si manifesta nel dialogo – a partire dalla famiglia, dai compagni di scuola, dai colleghi di lavoro, dai gruppi sportivi e di interesse. Le relazioni, all’interno delle quali mi colloco, sono il paesaggio umano in cui costruisco la mia identità, sono l’ambiente che mi forma e allo stesso tempo si fondano su un ambiente particolare esterno, geografico: un luogo fisico in cui il gruppo vive o si riunisce. Discorso a parte merita la questione legata all’uso di internet e delle nuove tecnologie, che aprono spazi virtuali in cui incontrarsi pur vivendo a migliaia di chilometri di distanza reale.
Appartenenza territoriale e nazionalità
Il legame con il territorio è importante ma non indispensabile quando si parla di appartenenza affettiva e culturale di un individuo alla varietà delle comunità umane. Diventa invece fondamentale e caratterizzante nel momento in cui l’appartenenza è individuata all’interno di comunità politiche, che hanno come scopo il governo e l’amministrazione degli affari comuni di una collettività stabile su un territorio delimitato. Anche la nazione, vista come comunità culturale che condivide un patrimonio storico e simbolico comune, diventa Stato nel momento in cui la sua pretesa di consenso culturale sulla terra diventa pretesa politica di possesso. La comunità politica si lega dunque al territorio su cui sorge e opera nella forma delle unità funzionali alla propria organizzazione quali il quartiere, il comune, la provincia, la regione fino ad arrivare allo stato e oltre (il progetto della creazione della Comunità Europea non è che il tentativo di superare il modello giuridico e politico dello Stato-nazione ereditato dalla rivoluzione francese). Il dove individuato dal luogo non diventa solo coordinata di riconoscimento e orientamento, ma anche base e sostrato materiale della vita collettiva, condizione della sua azione e oggetto a cui la stessa è rivolta. Sembrerebbe che sentirsi appartenenti ad un luogo equivale ad assegnare la propria fedeltà alla comunità che vi abita e manifestarvi la propria appartenenza nell’impegno ad agire insieme agli altri e a darsi da fare in base al bene della comunità. Si tratta di un’appartenenza che esula un po’ dal legame con la terra descritto prima della dimensione intima del sentirsi a casa, ma richiede una partecipazione attiva comune, un’azione politica che va oltre la possibilità di voto e si traduce in informazione e dialogo, in comunicazione tra i cittadini.
Appartenenza territoriale e cittadinanza
Al territorio è connesso anche l’istituto della cittadinanza, il quale rappresenta il legame tra individuo e Stato. La residenza duratura e stabile su un dato territorio è giuridicamente ritenuta una condizione sufficiente per stabilire l’appartenenza a quel territorio e richiedere dunque la cittadinanza del Paese in cui si è residenti, pur non appartenendo al gruppo nazionale che tradizionalmente vi si è stabilito. L’individuo appartiene allo Stato dove egli effettivamente ha i propri interessi e vive la propria vita sociale, cioè dove egli abita insieme agli altri il territorio lasciandovi una traccia con i suoi atteggiamenti e la sua visione del mondo. Ricordando inoltre che la cittadinanza è la condizione che regola l’accesso ai diritti, soprattutto quelli politici di partecipazione attiva alla vita dello Stato (tra tutti il diritto di voto), nonché principio di uguaglianza formale tra tutti gli individui che vi appartengono, appare chiaro come i non-cittadini siano esclusi dal riconoscimento e dalle protezioni che una tale comunità assicura e siano perciò diseguali. Tra questi non-cittadini possiamo annoverare i lavoratori immigrati, residenti sul territorio e contribuenti dal punto di vista fiscale ma esclusi dall’appartenenza politica al territorio che abitano. Molto spesso essi non rimangono solo all’esterno della comunità politica in cui si trovano a vivere ma anche di quella civile, con cui non c’è conoscenza e dialogo reciproco.
Ascolto di nuovo Gaber e penso che l’appartenenza sia un sentimento ma anche, e forse soprattutto, un atto volontario di responsabilità e di impegno condiviso a partire proprio dal territorio che abitiamo: l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.