L’Algeria al bivio
Elezioni scontate
L’8 aprile scorso si sono svolte le elezioni presidenziali in Algeria, il paese che più di qualunque altro ha vissuto la violenza del terrorismo islamico e della conseguente lotta per sradicarlo. Le elezioni hanno confermato il potere di Abdelaziz Bouteflika, vincitore con l’83,49% dei voti validi, contro il 7,93% dello sfidante Ali Benflis, leader di quel Fronte di Liberazione Nazionale che ha guidato il paese per decenni, e dalle cui file è uscito lo stesso Bouteflika. Molto distaccato si è piazzato Abdallah Djaballah, il candidato islamico moderato, con il 4,84%, mentre all’un per cento sono rimasti liberal-democratici e trotzkisti. In Kabilya, la regione montuosa del nord-est a maggioranza berbera, le elezioni sono state boicottate per protesta contro l’assenza di una concreta politica berbera da parte del governo, e inoltre partiti importanti quali il RCD (Rassemblement pour la Culture et la Démocratie) e il FFS (Front des Forces Socialistes) non si sono presentati in quanto dubitavano sulle reali intenzioni del presidente uscente. Prescindendo dalla regolarità o meno del voto, sulla quale ovviamente si nutrono pesanti dubbi, i risultati sono stati salutati con benevolenza e senza obiezioni da tutte le cancellerie occidentali.
Eletto per la prima volta nel 1999, uomo forte delle forze armate e ben visto dalla Francia di Chirac, oggi dopo un decennio di violenze costate 200.000 morti civili di ogni ceto sociale (donne, bambini, giornalisti, contadini, sindacalisti), è riuscito a ottenere alcuni successi nella lotta ai gruppi islamici armati, soprattutto con la legge sulla concordia civile del luglio 1999 che prevedeva un’amnistia per quei militanti islamici che avessero deposto le armi. Un altro fiore all’occhiello della gestione Bouteflika è il rispetto dei dettami del Fondo Monetario Internazionale attraverso il puntuale pagamento del debito, ottenuto con grandi sacrifici. Il prezzo pagato però è una grave crisi economica che genera rassegnazione e altra violenza, mentre gran parte della popolazione è ancora traumatizzata dai lutti e a fatica riprende la normalità.
Il presidente ha creato un sistema di potere in cui i militari hanno esteso il loro controllo sulla società. Questo non rappresenta una novità per l’Algeria, visto che, avendo avuto una decolonizzazione violenta a seguito di una guerra civile durata otto anni, la struttura dello Stato è nata dall’esercito. Nonostante ciò, rispetto ai paesi vicini del maghreb, l’Ageria si era distinta a partire dagli anni ottanta per la scelta di intraprendere una autoctona via democratica. Sotto questo aspetto le elezioni del 2004 per molti versi rappresentano una sconfitta rispetto alla breve storia democratica del paese, non tanto per la vittoria di Bouteflika ma per le sue proporzioni.
La diversità algerina
Nell’89 venne abbandonato il regime a partito unico guidato dall’Fln, il quale scelse di traghettare il paese verso il multipartitismo. Così, il biennio 1989-1991, dalla rivolta del pane nelle piazze all’invalidazione delle elezioni vinte dal Fronte di Salvezza Islamico, viene ricordato come una primavera democratica che suscitò un moto di partecipazione politica tra la popolazione. In seguito la specificità algerina di fronte al pericolo fondamentalista, anzi nonostante questo pericolo, era quella di avere un’ampia opinione pubbliche che vi si opponeva, nel tentativo di difendere la vita democratica. Intellettuali e artisti algerini sono stati i bersagli principali e hanno lottato in prima fila contro il fondamentalismo, richiamando alla mente concetti obsoleti per noi occidentali, quali coerenza, ricerca della verità, rifiuto del servilismo.
Ciò è dovuto al fatto che, se è vero che l’esercito ha avuto un ruolo fondante nella nascita della repubblica, la società e gli intellettuali ne hanno avuto uno altrettanto importante. Fin dall’epoca coloniale in Algeria era presente un ceto intellettuale critico e un islam moderato che aveva puntato moltissimo sull’istruzione, con l’apertura di scuole in tutto il paese. Durante la guerra d’indipendenza poi, le donne hanno partecipato attivamente alla resistenza contro i francesi, facendo si che alcuni diritti li abbiano conquistati sul campo, e per questo hanno un ruolo attivo anche oggi contro il fondamentalismo. Il socialismo di stato algerino infine, prima di diventare un regime corrotto, era contaminato da esperienze augestionarie, nell’istruzione e nell’economia. Tutto ciò ha fatto sì che, rispetto alla maggioranza dei paesi vicini, in Algeria fosse presente una certa libertà d’espressione e una libera stampa.
Nei bui anni novanta, la lotta tra terrore e libertà aveva un senso forte grazie alla difesa di queste libertà civiche, ai movimenti femminili, ai contadini della Kabilya che combattevano nei villaggi contro le incursioni dei gruppi armati. Tanto che anche il potere centrale aveva capito che la democratizzazione della società algerina sarebbe passata attraverso il riconoscimento della cultura berbera, della specificità della Kabylia attraverso un certo grado di federalismo e il riconoscimento dell’amazigh, la lingua berbera, quale idioma fondante l’identità nazionale.
Verso il modello tunisino?
L’Algeria nel lungo periodo, dall’indipendenza agli anni novanta, con fatica, ha sviluppato una via autoctona alla democrazia, un modello ora in crisi. La polizia politica ha assunto un ruolo di controllo sempre più ampio in questi anni, limitando quelle basilari libertà democratiche a difesa delle quali i militari sostenevano di aver preso il potere nel ’91, di fronte al pericolo della creazione di uno stato islamico. La guerra contro il fondamentalismo è stata condotta in modo ambiguo dal potere centrale, visto che ancora non è stata fatta luce sul coinvolgimento di apparati dell’esercito e dei servizi segreti algerini in molte stragi contro civili inermi. Non a caso, come molti hanno sottolineato, la società algerina dal ’91 è prigioniera da un lato della violenza terrorista e dall’altro di quella repressiva dello Stato. ha avuto come effetto una limitazione delle libertà
Un modello che avvicina l’Algeria ai vicini della Tunisia, dove non esiste libertà di espressione e anche internet è sotto controllo governativo. Il futuro dell’Algeria può passare attraverso un allargamento della partecipazione democratica, un modello che faccia leva sulle diversità culturali, etniche e politiche del paese valorizzandole come una ricchezza, o attraverso l’importazione del modello tunisino, cioè libero mercato senza diritti e democrazia. Queste elezioni segnano un passo importante, anche se non decisivo, verso questa opzione.