Scorrendo le pagine di Madrugada
Lo so, lo so che siete tutti rientrati. Il mare, i monti sono ormai lontani. Anche quelli che ci abitano appresso, sono ormai lontani. Perché la lontananza è una condizione psicologica. E siamo tornati tutti in direzione diversa. Ci siamo trovati in un punto; e poi diversamente rientrati, che poi diversamente ci eravamo confluiti. Nel frattempo, diversamente operando, abbiamo messo insieme i pezzi del numero cinquantacinque in pieno ferragosto. Non asciugarti il sudore che è già settembre, anche se questo foglio suda ancora.
E comincio dalla testa, che come anguilla va contro corrente in: Se il futuro è già calcolato, la nostra anima è vuota di Giuseppe Stoppiglia, il quale rifiuta l’identificazione della realtà con la legge economica, del fare con l’eseguire, e del futuro con il destino, la identità del vivere con il sopravvivere, perché la nostra vita non si esaurisca nelle categorie di spazio e di tempo in nome delle leggi di bilancio.
Segue il monografico sulla diversità, diversamente distribuito. Dà il via il professor Adone Brandalise dentro il guscio a costruire lo schema della diversità con le sue varie accezioni su di un terreno insieme teorico ed esistenziale. Su questo hortus conclusus et apertus colloca la pianticella di La diversità in un futuro di vicinanze estreme il professor Ivo Lizzola, diversità che possono essere accolte non dentro un progetto omologante, ma all’interno di una fraternità originaria, per la quale possiamo riconoscere le debolezze nostre ed il limite. Il dottor Ennio Ripamonti colloca sul terreno lo stelo Diversa-mente, che spiega la diversità come un Giano bifronte, che ha caratteri insieme oggettivi e soggettivi; da cui la necessità di affrontare le cose con mente flessibile e attendere ai cambiamenti, della globalizzazione e dell’immigrazione, con animo duttile. E infine ecco la pianta che si apre su due lati, lo spartiacque del genere umano, attorno alla quale è nata una subordinazione, di cui è bene capire le ambiguità e l’origine, l’albero di Diversità di genere, illustrata da Bruna Peyrot.
E siamo a metà percorso, con buona pace del grafico che stringe e che preme sui pezzi, come fa la donna formosa che costringe le forme che debordano perché addivengano curve piacenti.
Varcato il confine ci imbattiamo nella prima rubrica, chiara come un sole che si accende, di Mario Bertin per Frate Elia: elogio del tradimento che rivede il ruolo e la funzione del successore di San Francesco nella direzione dell’ordine, frate Elia appunto, che per trasmettere al secolo futuro lo spirito di Francesco, deve costringere lo spirito di Francesco dentro una condizione, un limite terreno, senza mortificarlo.
E veniamo a Fulvio Cortese: I “nemici” e la scommessa dell’amicizia ci illumina di come la guerra, oltre che la ricostruzione delle città comporterà la ricostruzione del diritto, che, come insegna il Caso Guantanamo sta perdendo i suoi connotati, come nel pugilato chi perde, perché mette sul piatto della bilancia il pugno, chi vince, dopo averlo impresso sul muso del nemico.
Il sole che si accende illumina la rubrica di Alessandro Bresolin che in Europa. La direttiva Bolkestein scrive di come qualcuno voglia scrivere Europa come un gran mercato del quale regola prima è il ribasso del livello, non del fiume in piena ma del tenore (uh! la lirica) di vita.
Con una domanda si propone Giovanni Realdi: se Ci sono ancora i maestri, la risposta è tra le righe, e non è unica.
Sara Deganello ci invia poi la seconda parte del suo diario da Sarajevo, da una terra dove la diversità etnica e religiosa è fonte di guerre ed elemento di divisione.
Viene poi la cronaca di Macondo e dintorni del cronista assente, e la cronaca della festa di Macondo. Non perdetevi le foto di Marcello Selmo e il commento di Antonella Santacà.
Buon lavoro amici e a presto, accanto al camino.