Napoli, il conflitto dell’acqua
Una delibera natalizia
Quest’anno a Napoli il periodo delle festività natalizie è stato contrassegnato da un clima cupo, scandito al ritmo dei morti ammazzati dalla faida di camorra che da mesi insanguina la città. Un ritmo che affligge e deprime offuscando ogni altro problema. Al centro di piazza Plebiscito a dicembre stata montata l’installazione di un artista dal titolo L’Italia all’asta. Un alto pilone d’acciaio sorreggeva pezzi sparsi di un paese ritagliato come tasselli di un puzzle.
Il valore simbolico di quest’opera aumenta, quando in città ci si rende conto che il 23 novembre il consiglio d’amministrazione dell’ATO (ambito territorio ottimale) 2 Napoli-Volturno, che gestisce le risorse idriche di 136 comuni tra le province di Napoli e Caserta, ha votato una delibera che programma la privatizzazione dell’azienda. Per la prima volta in Italia viene scelto il modello della totale gestione privata dell’acqua. Questo, nel giro di un paio d’anni. L’iniziale fase di gestione mista pubblico-privato prevede la cessione del 40% della società attraverso una gara d’appalto con termine 7 febbraio. Nell’anno successivo l’ATO si impegna a cedere la sua quota rimanente.
La decisione solleva subito reazioni contrastanti, dividendo il mondo politico. Vada se l’elettorato campano fosse ultraliberista, ma qui a livello locale amministra il centrosinistra e appare assurdo che in questo contesto, tra i tre modelli di gestione previsti dalla legge, venga scelta la cessione totale ai privati. Perché non mantenere quella pubblica, definita gestione in house, o optare per la partnership pubblica-privata? La Margherita difende l’autonomia decisionale dei vertici aziendali mentre Verdi e Rifondazione chiedono di affrontare subito il problema. Nel mezzo, una serie di opinioni sfumate. La società civile è scossa, soprattutto quanti sostengono che l’acqua sia un bene collettivo e tale debba rimanere. Quale modo migliore per far passare sotto silenzio la cosa, se non quello di prendere la decisione a ridosso delle festività, in piena emergenza camorra? Scatta così il conto alla rovescia per cercare di bloccare la gara d’appalto del 7 febbraio.
Il comitato civico
Le proteste contro la delibera sorgono spontanee, quando tutti si aspettavano che la città, mentre nei vicoli si continua a sparare, non avesse energie sufficienti per riflettere e occuparsi di un bene così prezioso come l’acqua. Un moto d’orgoglio, proprio come auspicato dal presidente della repubblica Ciampi di recente in visita per esprimere la sua solidarietà a una cittadinanza che quotidianamente subisce la violenza criminale.
Dopo alcune raccolte di firme nei quartieri parte la rivolta dei parroci dei comuni interessati, accomunati dalla determinazione di portare avanti «una battaglia etica, perché l’acqua e i suoi benefici effetti non passino sotto il controllo di potentati economici». Il problema consiste nel definire un senso del limite al mercato che regola le nostre vite. In poche settimane si costituisce un Comitato civico contro la privatizzazione dell’acqua. Sostenuto dalla pacata intransigenza di Alex Zanotelli, missionario che da un paio d’anni è andato a vivere nel popolare quartiere Sanità, al comitato aderiscono sindacati, associazioni, partiti politici, settori della chiesa e moltissimi cittadini.
Il livello del dibattito si alza, vengono organizzati presidi e assemblee pubbliche in cui si discutono le diverse opzioni previste dalla legge, le relazioni del Comitato italiano per il contratto mondiale sull’acqua che illustrano le esperienze di privatizzazione dell’acqua, in partnership, in altre città italiane. Ovunque si registra lo stesso problema: nella maggioranza dei casi con i privati aumentano le tariffe senza investimenti adeguati per la manutenzione delle reti idriche.
El agua, es de todos!
Il 20 gennaio, in un’assemblea pubblica presieduta dalla rete Lilliput, erano presenti alcuni esponenti uruguagi della Comision nacional de defensa del agua y de la vida. Tra loro Pablo Oma Palude, vecchio sindacalista, uno dei promotori di un referendum costituzionale votato in Uruguay il 31 ottobre 2004, in cui il 65% della popolazione ha dato ragione a una lotta durata quasi dieci anni, da quando cioè il governo cominciò l’opera di privatizzazione.
Inizialmente dovevamo far capire alla gente che la nostra azione non era dettata dall’odio per questo o quel governo, bisognava depoliticizzare un tema così importante. La popolazione poco alla volta ha capito, anche perché il governo avviò due concessioni a rispettive multinazionali che non investivano, ma erano interssate al fatto che in Uruguay ci sono grandi riserve di acqua dolce, potabile quasi al 100%.
«Poco alla volta il movimento ambientalista, sociale e popolare prendeva l’iniziativa, imparando molto dai forum di Porto Alegre su come affrontare le multinazionali. Alla fine abbiamo vinto, convincendo la maggioranza di un paese che da decenni era governato dalla destra. Ora il referendum ha sancito tre cose importanti: 1) l’accesso all’acqua e alla rete fognaria è un diritto umano fondamentale; 2) costituisce una risorsa unitaria, dipendente all’interesse generale; 3) tale risorsa dev’essere gestita esclusivamente da un ente pubblico».
Pablo è curioso dell’Italia, com’è la situazione?
Pensateci, sarebbe bello che un giorno anche in Italia venisse votata una legge popolare che sancisca l’inalienabilità dell’acqua da qualsiasi società intenzionata a trarne profitto.
Un referendum che cambi la costituzione in tal senso sarebbe una soluzione. Intanto, la forte mobilitazione, oltre ogni previsione visto il periodo d’eccezionale gravità che sta attraversando Napoli, è riuscita ad ottenere una prima parziale vittoria: verrà prorogata la gara d’appalto e riscritto l’articolo 5 della delibera, quello che prevedeva che entro il 2° anno successivo, l’ATO avvierà il procedimento di dismissione della propria partecipazione azionaria [,]. Un’altolà alla privatizzazione selvaggia, e la garanzia che i rapporti tra società pubblica e partenariato privato rimanga del 60 e 40%. La soluzione di compromesso, ovviamente, non risolve il problema perché la spinta a una politica del profitto è fortissima. Prova ne è il fatto che a decidere la gestione mondiale dell’acqua è un organismo, il Consiglio mondiale dell’acqua, sostenuto dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale. A dettare le linee dell’organismo è un navigato politico francese, Michel Camdessus, ex direttore del FMI e fervido sostenitore delle scelte economiche di Russia e Argentina prima del loro tracollo economico-finanziario. Attualmente, è lui a sostenere che il modo migliore per distribuire la risorsa sia l’investimento privato.