Quale democrazia?

di Sena Edilberto

La democrazia, un apprendistato continuo

Di regimi politici ne esistono diversi, così come certamente esistono svariati tipi di democrazia. Alcuni pensano di possedere la migliore democrazia. Pensano così i nordamericani e così pensano molti italiani, olandesi, svedesi. Però, un certo giorno, un giornalista brasiliano, che riteneva anch’egli che il Brasile fosse un paese democratico, chiese a Fidel Castro: «Comandante, quando ci sarà democrazia a Cuba?». Fidel rispose con un’altra domanda: «Amico mio, quale democrazia? Quella brasiliana?».
La democrazia doveva essere un apprendistato continuo per la convivenza umana, dove il collettivo dovrebbe prevalere sull’individuale, ma rispettando il diritto alla diversità di essere e di agire, e dove, al di là dei diritti di ciascuno, prevalesse la coltivazione del bene comune. Invece succede che le cosiddette democrazie esistenti, come la maggioranza delle istituzioni umane, tendano a stabilizzarsi, senza rispettare l’evoluzione dell’umanità. In questo modo pochi vanno impossessandosi dei diritti degli altri, creano disuguaglianze e così la democrazia diventa un puro gioco di forme.
Si prenda l’esempio degli Stati Uniti d’America, che hanno la fama di essere la maggiore democrazia del pianeta. In quel paese i mezzi di comunicazione sociale sono nelle mani dei poteri economici. Tra le dieci principali imprese di informazione del pianeta, sei sono americane e tra queste ultime la Warner Brothers, la CNN e la Disney. In quel Paese il popolo è manipolato dall’industria dell’informazione.
Per mantenere il livello di benessere del suo paese, Bush padre si è rifiutato di firmare l’accordo di disinquinamento del pianeta nel 1992, l’Eco 92. Bush figlio si è rifiutato di firmare il Trattato di Kyoto poiché non ha voluto pregiudicare l’economia del suo Paese.
Per concludere questo paragrafo sull’economia nordamericana, ricordatevi delle loro ultime elezioni, quando Bush figlio ha conquistato la presidenza con un’elezione fraudolenta. Immaginate se un’istituzione europea o brasiliana decidesse di mandare una commissione per controllare e garantire le prossime elezioni in quel Paese. Certamente il Dipartimento di Stato la espellerebbe immediatamente.

Il caso Venezuela

La democrazia in America Latina è possibile? Ecco il Brasile, la Bolivia, la Colombia, il Messico e Cuba.
Si prenda il caso del Venezuela. Nei pochi giorni passati in Olanda, in Germania e in Italia nell’agosto e settembre scorsi, mi sono accorto di quanto non si conosca quello che sta succedendo in questo momento nel quarto maggiore produttore di petrolio del mondo, il Venezuela. Hugo Chávez è visto come un caudillo, populista, dittatore e militare. L’immagine di quel Paese è di una repubblica delle banane, che ripete la storia tradizionale delle dittature dell’America Latina. Si ignora che in Venezuela è in corso una rivoluzione democratica, ispirata al grande liberatore Simon Bolì­var e non a Karl Marx o a Fidel Castro, come invece accusa l’élite economica di quello stesso Paese e come è ripetuto a tamburo battente dall’industria dell’informazione, guidata dalla CNN e dalla Reuters.
Nel 1988 Hugo Chávez è stato eletto democraticamente con il 70% dei voti popolari. Rispondeva alle ansie del 75% della popolazione povera e miserabile del suo Paese. Assumendo la carica e avvertendo che la macchina del governo era controllata dall’élite economica, dopo avere intuito che le strutture dello Stato erano corrose dalla corruzione, ha proposto un referendum per una nuova Costituzione. Una volta approvato, è stata costituita un’Assemblea Costituente, là dove hanno dovuto rinunciare a farvi parte giudici, parlamentari e perfino lo stesso Presidente della Repubblica. Conclusa la nuova Costituzione, un altro plebiscito nazionale l’ha approvata e successivamente si sono svolte nuove elezioni. Hugo Chávez è stato rieletto con il 65% dei voti nel 1999 per un mandato di sei anni, in ottemperanza a quanto disposto nella nuova Costituzione.
Nel 2002 l'”élite” economica, che aveva usufruito delle ricchezze della Nazione per tanti anni, si è sentita disturbata dal nuovo modello di governo, voluto dalla maggioranza della popolazione. Ci fu un colpo di Stato, con l’appoggio di una parte delle Forze Armate, dei mezzi di comunicazione sociale e della Chiesa cattolica. Due giorni dopo, sotto la pressione della popolazione organizzata, i golpisti hanno abbandonato il potere e Chávez è tornato al suo posto.
Nell’agosto 2004 è successo qualcosa di inedito per le democrazie occidentali. Per la prima volta nella storia si è tenuto un referendum nazionale per sapere se la popolazione ritenesse che il Presidente della Repubblica potesse continuare nel suo mandato oppure no. Il ruolo di Chávez è stato approvato con il 58% dei voti e quindi egli stesso continuerà nel suo incarico fino alla fine.
Perché Chávez ha avuto tanto sostegno da una parte e tanta reazione dall’altra? Da dove è venuta la reazione al suo stile di governare? In quale Paese i mezzi di comunicazione sociale attaccano falsamente e apertamente il Presidente della Repubblica? Rispondere a queste domande fornirà la chiave di comprensione di quello che accade in quel Paese così ricco di petrolio, ma anche con tanta disuguaglianza sociale.
Chávez, rispettando e seguendo la nuova Costituzione, mette in atto una riforma agraria estesa, apre una campagna massiccia di alfabetizzazione, riforma la pesca, crea i mercati popolari con prezzi accessibili per gli alimenti di base, contratta l’arrivo di cinquemila medici cubani con la fornitura di petrolio, fonda radio comunitarie in molte località, crea una rete radiotelevisiva statale per comunicare con il suo popolo, riforma alla radice l’amministrazione dell’azienda petrolifera venezuelana, sua maggiore fonte di reddito, agevolata dalla crisi mondiale del petrolio, e infine canalizza le risorse finanziarie per il bene della maggioranza povera della popolazione.
Questo si chiama populismo? Demagogia? Lo si chiami come si vuole, ma la popolazione miserabile del Venezuela, per la prima volta nella sua storia recente, trova la possibilità di studiare, di mangiare e di lavorare. Per la prima volta ha la possibilità di organizzarsi e di partecipare alle decisioni del proprio Paese. Per la prima volta nella storia del Venezuela un Presidente della Repubblica, agendo in sintonia con la Costituzione, smette di governare con e per l’élite e si mette a governare con e per la maggioranza del suo popolo.

L’Italia di Berlusconi

Riflettendo sulla democrazia, è necessario discutere l’idea che se ne ha. Il modello democratico, chiamato erroneamente occidentale, sembra essere fuori strada. La democrazia di Berlusconi può essere chiamata democrazia? Soltanto perché la popolazione italiana è libera di eleggerlo? Anche se lui controlla i mezzi di comunicazione e li usa per indurre la gente a conformarsi a lui e al suo sistema? Fino a quando l’Italia se la caverà? La democrazia nordamericana può ancora chiamarsi democrazia con il terrorismo di Bush? E Guantanamo? E le torture nell’Iraq? E il sostegno a Sharon in Israele?
Quali saranno il futuro del Venezuela e il futuro di Chávez? Non si sa. Molto dipende dalla capacità della popolazione venezuelana di approfittare di questo momento storico per andare avanti. Oltre a ciò, molto dipende dalla stessa congiuntura internazionale, dalla CIA (vi ricordate il Cile del 1973?), dal Pentagono (vi ricordate il Piano Colombia?), dell’unione del Mercosul (Lula sembra stare alla larga dalla leadership di Chávez) e anche dalla coscienza democratica delle nuove forze in Europa, in America Latina e nel mondo, quelle che credono che un nuovo mondo è possibile. Chi vivrà vedrà.