Un nuovo conformismo?

di Alessandro Bruni

Oggi, la ricerca della felicità ha assunto una valenza paradossale, che ci spinge ad annullare ogni crescita formativa che richiede tempo e impegno, fattori che sono superati dal pretendere il piacere come diritto edonico di realizzazione personale inalienabile. Inoltre, in una società sostanzialmente fluida, i mutamenti sociali sono diventati frequenti e non riguardano solo la conquista di un posto nell’ascensore sociale, ma soprattutto la conquista di un’immagine spendibile subito nel marketing delle relazioni sociali.
Sul piano fisiologico questo significa cercare di mantenere nel cervello un alto livello di serotonina, indipendentemente dal mezzo che si usa per stimolarne la sintesi (farmaco o droga voluttuaria che sia).
Si aspira sempre più a una “felicità” ad alta intensità in tempi brevi e per raggiungere questo scopo si aumenta la produzione di dopamina, neurotrasmettitore che alimenta la nostra motivazione alla ricerca spasmodica di felicità. Si corre così il rischio di finire nel vortice di un consumo eccessivo e compulsivo che porta alla dipendenza sia individuale che collettiva, dato che l’ottenimento del piacere è oggi pesantemente condizionato dal contesto di vita. Le ragioni di questo condizionamento di costume sono in gran parte dovute alla facilità con la quale si può provare piacere fisico con le scorciatoie psico-sociali della formazione identitaria di massa, ovvero in una globalizzazione dei costumi e dal fatto che sono disponibili un gran numero di elicitori del piacere di costume conformista. Abiti, auto, cellulare, corpo fisico, cibo, tempo libero, persino lo stato di ignoranza, persino il costo reso accessibile dal pagamento differito, hanno perso la loro funzione originaria per essere divenuti status symbol ricercati nella corsa continua al consumismo di facciata.
Questo nuovo conformismo della ricerca emotiva della felicità è divenuto una norma di gestione sociale, un governo delle anime più sottile e pervasivo di quanto le religioni e le ideologie del passato siano mai riuscite a fare. Serve a smorzare le tensioni sociali, ad anestetizzare i possibili conflitti, a ridurre al silenzio le voci di ribellione, ridefinendo le questioni pubbliche come problemi privati dell’individuo, quindi a marginalizzare distopicamente i poco adatti.
Uno specchio di quanto stiamo vivendo è fornito dalla pluralità con cui correntemente definiamo la felicità. Come spunto di partenza cito la definizione “neutra o sovraumana” fornita dall’intelligenza artificiale (Gemini, 2024): «La felicità è un concetto complesso e sfuggente, senza una definizione univoca che sia universalmente accettata. Tuttavia, possiamo descriverla come uno stato d’animo positivo e duraturo, caratterizzato da una sensazione di soddisfazione, benessere e appagamento. Si manifesta attraverso un insieme di emozioni positive, come gioia, serenità, gratitudine e amore. La felicità è strettamente legata al senso di realizzazione personale, alla percezione di aver raggiunto i propri obiettivi e di stare vivendo una vita coerente con i propri valori. È importante sottolineare che la felicità non è un obiettivo da raggiungere, ma piuttosto un viaggio da percorrere».
Sul piano mentale cognitivo la definizione di felicità si fa meno categorica legando psiche individuale (dove prevale il mistero) a contesto sociale (dove prevale l’ovvio conosciuto, «cosa mi manca»). A tutt’oggi non esiste una teoria che spieghi come e perché l’attività chimica ed elettrica nel sistema nervoso determinino stati mentali, quali sensazioni, percezioni, emozioni e pensieri diversi per ogni persona. Recenti articoli hanno anche tentato di gettare qualche luce in quello che continua a rimanere uno dei misteri più affascinanti della biologia: l’espressione della coscienza che è strettamente legata al chimismo mentale della felicità.
Il nostro vivere la quotidianità in modo sempre più convulso con l’utilizzo di device che accelerano tutte le nostre operazioni esistenziali fa sì che metaforicamente viviamo condizionati dal premere a comando i due “tasti” di rilascio di serotonina e dopamina nell’illusione di garantire la nostra felicità. D’altra parte, non possiamo pensare che per essere felici basti avere un’alta concentrazione di serotonina e dopamina perché la genericità del meccanismo di azione dei neurotrasmettitori si attiva sulla specificità neuronale e sulla specificità cerebrale, tutti elementi che sono la base dell’originalità di ogni cervello. Ogni cervello, quindi, è originale, come lo è per mente e psiche ogni individuo, come lo è la felicità.
Dobbiamo accettare che la nostra personale ricerca di felicità nell’epoca della vulnerabilità esige un cambiamento di rotta volgendo la nostra attenzione a una felicità più profonda, che coinvolga l’intera persona, nella consapevolezza della sua fragilità. Questo è certamente un discorso difficile in un mondo in cui si è sviluppato un forte istinto di difesa rettiliana che sfocia nell’odio verso il diverso, mentre invece abbiamo necessità di sobrietà, sostenibilità, tolleranza, empatia, amicizia, amore. Tutte espressioni proprie delle strutture più elaborate ed evolute della corteccia cerebrale. Abbiamo bisogno concretamente di una più profonda conoscenza soggettiva che esprima il “sentirsi conosciuti” e il “sentire di conoscersi”.
Il mistero del funzionamento del cervello ha determinato una contrapposizione tra le scienze cognitive (filosofia, psicologia) e le scienze biologiche mediche (neurologia, biochimica). La frattura è sostanzialmente di natura metodologica (si pensi agli studi sulla coscienza). Le scienze cognitive lavorano sulle dimensioni macro della complessità, analizzando i comportamenti umani, mentre le scienze medico-biologiche lavorano sulle dimensioni micro, dalle cellule al metabolismo molecolare. Due approcci di studio completamente differenti che devono trovare il modo di lavorare all’unisono per una unità di conclusioni e non per disperdersi in rivoli non comunicanti.
Di fatto, nella notte oscura del mistero del cervello, i ricercatori ad alta specializzazione scientifica o cognitiva si sono illusi di poter riuscire a leggere il libro della vita alla luce del loro personale lampione, non rendendosi conto del buio da dove erano partiti e del buio verso dove vorrebbero arrivare. Non ci sono scorciatoie mirabolanti, come quelle offerte dall’intelligenza artificiale o dalla psicologia flow, perché non bastano: la via più feconda per comprendere la felicità è quella di vederla come un’avventura creativa di vita per le persone, tutte.
Per essere felici l’intelligenza artificiale (IA) invita a coltivare una mentalità positiva, a ridurre lo stress, a praticare attività fisica, a socializzare, ma sono propositi banali, tutti costruiti nel contesto del conformismo corrente e non invita a una rivoluzione personale ricercando una felicità di cambiamento meno legata al contesto: se non si opta per una rivoluzione interiore i miglioramenti saranno lievi per individui e società.
Dunque, ancora oggi, la felicità è mistero, incanto, oscillazione. È l’azzardo che ci porta ad abbracciare l’incertezza, rischiando ciò che non abbiamo, è esprimere noi stessi in un proposito utopico vocativo, che nelle quotidianità delle piccole cose si eleva a principio trasmissibile e quindi fecondo. È il contrario del cinismo e della paura, è l’antidoto alla stanchezza, è la rivolta al potere.
Dobbiamo smetterla di premere a ripetizione il pulsante del rilascio della dopamina del conformismo sociale e lasciarci permeare dall’oblio rivoluzionario di chi vuole staccare la spina e trovare felicità nelle piccole cose del vivere quotidiano. È tempo di avere coraggio come già scriveva Giuseppe Stoppiglia in L’unica felicità possibile consiste nel saper vedere l’invisibile (madrugada n. 21, giugno 1996): «Con la riproduzione mentale l’uomo crea un’alternativa a questo mondo, che per lui non può più essere l’unico, non può più dargli la felicità. Se l’uomo non guarda oltre, anche il terreno sotto i suoi piedi sprofonda. […] Citando Primo Levi, possiamo ripetere che, nonostante sia vero che la felicità perfetta non esiste, è altrettanto vero che non esiste la perfetta infelicità. A me interessa la felicità possibile, raggiungibile grazie a un’etica utile non già a giudicare gli altri, bensì a conoscere meglio sé stessi e a cercare la solidarietà umana. Mi piace riflettere sul presente alla ricerca del possibile, non soltanto del probabile».

Alessandro Bruni

Alessandro Bruni

componente della redazione di madrugada
e blogger di madrugada blog.