Per essere felice, ho trovato un nuovo hobby
Ho sempre cercato di associare il cambiamento alla felicità; è l’unico modo di accettare il mutare inevitabile delle cose, perché altrimenti c’è solo da impazzire. Tuttavia, il cambiamento e la felicità assomigliano al volo di un’ape: a volte volteggiano in circolo e tornano indietro. Per raccontarvi cosa intendo, vi racconterò di alcuni fatti apparentemente piccolissimi, riguardo il gioco-amore della mia vita, gli scacchi.
Un giorno mia sorella minore, che è piena Gen Z, è venuta a trovarmi per parlare. È stato bello, anche se erano tutte cose che sapevo già e per le quali sarebbe bastato un audio WhatsApp; non abbiamo mai avuto un grande rapporto, se ci si basa sul numero di parole scambiate nell’arco dell’esistenza, ma immagino che anche lei si stia evolvendo.
Mi dice che abito in una reggia e che lei non si potrà mai permettere una roba del genere. Io guardo casa mia e penso che è bellina, ma non quanto quella dei miei e che ho dovuto comprarla con la firma di garanzia di mamma. Faccio fatica ad associare questo decadimento generazionale alla felicità, tutt’al più posso considerarlo con serena rassegnazione. Sentendomi un po’ un’idiota, ho fatto sedere mia sorella sul divano e le ho mostrato l’album di foto del 2024, non ancora finito, esattamente come fa nostra madre. Penso di essere l’unica di noi tre fratelli ad aver ereditato la passione per le foto.
Mia sorella si è messa a sfogliare le foto, ridacchiando e dicendo che non c’era niente di male se diventavo come la mamma, capita a chiunque. Poi l’occhio le cade sulla foto di una scacchiera nel bel mezzo della battaglia. Ride: «Ceci, guarda, un nuovo hobby». Gioco a scacchi da quando lei è nata. Eppure, non ho mai – neanche durante l’adolescenza, in cui giravo il Veneto per tornei – raggiunto risultati piacevoli, se non adesso che faccio solo sfide al circolo, senza grosso impegno. Sono arrivata a delle conclusioni banali, ma ci sono arrivata attraverso il cambiamento, che non era per niente ovvio per me. Fidanzato fisso (che amo troppo), casa fissa, lavoro fisso, non avevo mai pensato di arrivare a un punto simile. Avevo letto tonnellate di libri e visto serie tv con millennial in crisi per mancanza di stabilità, ma non sapevo niente di come comportarmi con la stabilità acquisita. E ho capito che dovevo trovare un posto dove essere felice, essere felice solo io…
Così ho ripreso la scacchiera che avevo appeso al chiodo da tanto tempo. E mia sorella ha ragione, anche se il suo era un commento ironico: è diventato un hobby nuovo. Ho cominciato a giocare con gioia, gioia senza controllo, tanto dentro la scacchiera non potevo far soffrire nessuno, tantomeno me. E così, quando gioco, mi sembra di ballare, quando perdo non mi interessa più del dovuto. Non era così prima: avevo l’ansia e la rabbia di non riuscire a stare dietro ai miei coetanei che partecipavano ai tornei, inoltre riversavo sul gioco amori sbagliati, incapacità di accettare la mia disabilità, di ben volerla come adesso, e altri sentimenti spiacevoli. Ho dovuto affrontare tutto questo, solo per sapere che dovevo giocare a scacchi con gioia, e non per dover vincere, nella speranza di essere felice, come risultato di una grande fatica.
Ecco tutto. A volte il cambiamento è tornare indietro a qualcosa di vecchio e renderlo nuovo, in una rilettura leggera de Il Gattopardo. E a volte, nel cambiamento, ci aggrappiamo a quello che rimane: è una cosa su cui sto riflettendo…

Cecilia Alfier
aureata in scienze storiche, aspirante giornalista,
giocatrice di scacchi dal 2005 e di bocce paralimpiche dal 2019,
vive e lavora a Settimo Torinese (To),
componente la redazione di madrugada.