Mario e Francesco

di Francesco Monini

Mario e Barbero

A novembre dello scorso anno ci ha lasciato il nostro Mario Bertin. Ha dato molto nella sua vita: alle persone, alla cultura, a Macondo e a questa rivista, dove è stato a lungo in redazione. Mario volava alto, era un intellettuale raffinato e un uomo dedito all’impegno e alla carità. Ha editato libri importanti, avanti con i tempi; quando dirigeva Edizioni Lavoro è stato il primo a pubblicare in Italia gli scrittori dell’altro mondo, gli autori africani fino ad allora sconosciuti. Ha scritto piccoli libri, profondi e preziosi, un breve romanzo in particolare, Francesco (Protagon Editore), così diverso dalle mille e mille biografie del frate di Assisi. Francesco (la sua complessità, i suoi dubbi, le sue scelte) erano per Mario un punto di riferimento, una domanda incessante, uno scandalo da esplorare fino in fondo.
Qualche giorno fa mi è capitato per caso di guardare su La7 una lezione su Francesco tenuta da Alessandro Barbero davanti a una vasta e adorante platea. Barbero, per chi ama la storia e la verità, è assolutamente da evitare, almeno da quando ha smesso di fare il professore ed è diventato un divo televisivo e multimediale (411.684 followers su Facebook), ma parlava di Francesco e non potevo non ascoltare. Che cosa? Una sfilza di storielle e aneddoti, più o meno apocrifi, più o meno attendibili, tratti dalle cronache e dalle agiografie medievali.
Barbero leggeva qualche riga e aggiungeva il suo commento, provocatorio o spiritoso, per il godimento degli astanti. Dunque, chi era veramente Francesco? Barbero non ha dubbi: era un ribelle, anzi, un rivoluzionario.

Mario e Zeffirelli

Al Francesco “di sinistra” del professor Barbero, mi viene da contrapporre il Francesco “di destra” di Franco Zeffirelli. In Fratello sole, sorella luna (un film del 1972 che non ha perso nulla del suo fascino), Francesco è un semplice, un visionario, un grande sognatore. Che fa pace con tutti, con il creato, ma anche con il vescovo, con il papa, con la Chiesa.
Il Francesco di Mario Bertin, che vi invito a leggere o rileggere, non è né di destra né di sinistra, non è un rivoluzionario e non è un baciapile. È un uomo che cerca la sua strada, attraversando il buio del dubbio e la luce della scoperta. Così Francesco, il giullare di dio, il frate, il santo, non è diverso da ogni uomo e da ognuno di noi. La sua vita, e anche la nostra se siamo disposti a metterci in gioco, è un enigma e una sorpresa.

Bruschi risvegli

Per 8 anni ci siamo chiesti se potesse esistere qualcosa o qualcuno peggiore di Donald Trump. Dopo le penultime elezioni, quando i suoi seguaci in costume vichingo hanno assaltato il parlamento, ci siamo dati una risposta: no, peggio di Trump non era possibile! Ma la storia è piena di bruschi risvegli. Peggio di Trump è possibile. E il peggio è già arrivato, si chiama Elon Musk. Non gli basta essere il più ricco dei ricchi, coltiva un sogno: governare il mondo.

Giro di vite

La difesa dei confini non ha portato molto bene a Matteo Salvini.
È stato assolto dall’accusa del reato di sequestro di persona per aver tenuto bloccati 135 immigrati salvati nel 2019 sulla nave Gregoretti. Un’assoluzione giusta, il suo non era un reato ma (solo) una cattiveria gratuita. Ora, complice l’ascesa della stella di Giorgia Meloni, Salvini si è dovuto accontentare del Ministero dei trasporti, ma continua ad apparire quotidianamente in video e a lanciare proclami. Questa volta nel mirino c’è il sindacato, la Cgil in particolare, ma il vero bersaglio, da colpire e affondare, è niente meno che il diritto di sciopero. Per lui gli scioperi sarebbero eminentemente politici, antigovernativi, e dovrebbero essere limitati per legge.
In realtà il diritto di sciopero, sancito dalla Costituzione, è già regolato dalle leggi che prevedono la salvaguardia dei servizi essenziali (la sanità, i trasporti pubblici…) attraverso fasce di garanzia nelle quali il servizio deve essere erogato per legge.
Che altro serve allora? Alla propaganda di Salvini si associano le parole di Piantedosi (ministro dell’Interno) e i progetti di riforma autoritaria di Valditara (ministro dell’Istruzione e del merito).
Giorgia Meloni tace, ma acconsente. Anche perché, se il governo di centrodestra è fortissimo in parlamento, si sente sempre più assediato dagli scioperi e dalle manifestazioni. Le piazze si riempiono di giovani, studenti, immigrati, operai, disoccupati, la pressione sta salendo, ma per loro si sta preparando un giro di vite.

Sinnermania

Mi piace il tennis. Da ragazzo ero anche un (pessimo) giocatore.
Ricordo le imprese di Adriano Panatta, Paolo Bertolucci e Corrado Barazzutti: ero giovane io ma era giovane anche il gioco del tennis.
La divisa la dettava ancora Wimbledon: maglietta e pantaloncini bianchi, con pochissime eccezioni.
Oggi Jannik Sinner è il numero uno, il numero uno dei numeri uno. Tutta l’Italia si inchina, e tutti gli italiani impazziscono per il nuovo idolo. Non c’è tempo da perdere, bisogna prendere in mano una racchetta e tuffarsi nel nuovo sport nazionale. Agli ultimi Internazionali di Roma, si sono presentati in 50.000 (omeni, done, sempi e dotori) per provare a qualificarsi al primo turno. In milioni ci sintonizziamo per vedere (e rivedere all’infinito) le imprese del campione con i capelli rossi.
Era già successo. Altre volte c’era stato un campione da osannare e un nuovo sport per cui tifare: con Alberto Tomba (la bomba) siamo diventati tutti sciatori, con Valentino Rossi sognavamo tutti il motociclismo. Anche la sinnermania può sembrare un fenomeno di pazzia collettiva, ma a me pare ci sia qualcosa d’altro e di più importante. Con Sinner, Tomba, Rossi e altri eroi (compresa la Nazionale di calcio al tempo delle “notti magiche”) possiamo finalmente sentirci italiani; uniti invece che divisi, vincenti invece che perdenti, felici invece che oppressi dalle ansie quotidiane.
E se questo si chiama nazionalismo, è un nazionalismo buono, che ci fa bene e fa bene all’Italia. Peccato solo che Sinner non paghi le tasse nel suo paese. Oltre a essere un bravo ragazzo, sarebbe un bravo contribuente. E ricchissimo, comunque.

In paradiso non si pagano tasse

Jannik Sinner abita a Montecarlo dove gioca, si allena e ha perfino incontrato l’amore. A Montecarlo vive esentasse. Non mi piace, ma non riesco ad arrabbiarmi; con lui, o solo con lui. Anche perché in Europa, oltre a Montecarlo ci sono altri tre paradisi fiscali: Lussemburgo, Liechtenstein, Channel Islands. Lì, in paradiso, risiedono ottomila italiani che pagano zero tasse su redditi e immobili. Non è certo, ma è probabile, che in paradiso, quello di cui si parla da duemila anni, non esistano né fisco né agenzia delle entrate. Nel regno dei cieli nessuno, nemmeno i lavoratori dipendenti, pagheranno le tasse.
Ma quaggiù siamo rimasti indietro. L’Europa e l’Italia sono lontanissime dal paradiso. Quello è riservato ai furbi che possono permetterselo.

Nostalgia di Toscani

Sinner e i suoi capelli rossi hanno colorato tutta la pubblicità. In molti spot il testimonial è lui in persona (con o senza racchetta), ma anche senza di lui; per vendere auto o formaggini, compagnie telefoniche o polizze vita, lo sfondo è sempre arancione, una citazione implicita alla capigliatura vincente dell’altoatesino. Non so se siano efficaci, se raggiungano il cuore del consumatore, ma a guardarli tutti insieme questi spot arancioni sono molto noiosi.
Insistenti ma noiosi, com’è noiosa quasi tutta la comunicazione pubblicitaria.
Non è sempre così. A volte il messaggio pubblicitario (testo e immagine) è stato un veicolo di innovazione, o una forma d’arte vera e propria. Penso ad esempio a Marcello Dudovich (La Rinascente, il vermouth Martini) o a Bruno Munari (Pirelli, Campari), e più di recente al lungo sodalizio tra Oliviero Toscani e Luciano Benetton. Oliviero Toscani, recentemente scomparso a seguito di una malattia rara incurabile, era un fotografo geniale, con il gusto della provocazione. Alcune fotografie realizzate per le campagne pubblicitarie di United Colors of Benetton hanno interpretato i nuovi costumi, dato voce a nuove sensibilità e proposto messaggi non semplicemente anticonvenzionali ma “rivoluzionari”: per la pace, per la parità di genere, contro il razzismo.
Oggi anche il linguaggio pubblicitario sembra immerso nella melassa mainstream. Nessun indizio di creatività, solo una spolverata di rosso arancione.

francesco monini

Francesco Monini

Direttore responsabile di madrugada e del quotidiano online Periscopio,
vive e lavora a Ferrara.