L’epoca dell’intranquillità

di Chiara Cucchini

Miguel Benasayag, Teodoro Cohen
L’epoca dell’intranquillità.
Lettera alle nuove generazioni

Vita e Pensiero, Milano, 2023

In questo preciso momento storico, in cui il contesto è caotico e in continuo radicale cambiamento, la complessità che ne deriva non ha alcun riferimento con la modernità occidentale (e quale sarebbe il riferimento della modernità? la razionalità, il libero mercato, la produzione?) che fino al XX secolo ha dettato l’interpretazione del pensare e dell’agire, né sembra fornire indicazioni per riuscire a riorientarsi in questi anni la cui cifra sembra essere la distruzione. Distruzione sociale, distruzione economica, distruzione relazionale, distruzione ecologica. A soffrire più di tutti per questa precarietà senza prospettive sono i giovani perché sembrano non trovare alternative né modi differenti di vivere, e non riescono a creare niente di nuovo. Perciò sono proprio loro, i giovani, i destinatari de L’epoca dell’intranquillità. Lettera alle nuove generazioni, l’ultimo libro che Miguel Benasayag e Teodoro Cohen hanno pensato e scritto con il preciso obiettivo di definire le caratteristiche generali di questa nuova epoca oscura, al fine di individuare la modalità con cui ripartire insieme in un cammino completamente nuovo, portatore innanzitutto di gioia che allontana quella tristezza e quella paura che alienano e abbattono.
Si parte dall’assunto che il problema non siano i giovani ma gli adulti che rifiutano di vedere il caos del tempo presente, nell’illusione di evitare il malessere e il disagio: nel loro dogma produttivista la vita serve solo a raggiungere un obiettivo prefissato dal sistema socio-economico, invece la vita non è successo né fallimento, è semplicemente vita. Va, pertanto, scardinato il mito del lavoro e della produzione perché questo tipo di lavoro uccide le passioni.
Ad aggravare il disagio dei giovani sono gli onnipresenti dispositivi tecnologici e digitali che pongono i giovani sempre in vetrina quando c’è l’atto volontario della pubblicazione delle proprie attività, e li seguono perché li rendono sempre tracciabili. La conseguenza è un effetto devastante sulla struttura psichica dei giovani perché sono obbligati a vivere nell’esteriorità, appiattendo la loro interiorità complessa. Ne deriva un senso perenne di separazione che è il perfetto contrario dell’appartenenza, cioè di quel sentire di essere parte di un ordine armonioso a cui non è possibile sottrarsi e che vede l’uomo pienamente inserito nel cosmo. Inoltre, la separazione del giovane da una realtà irraggiungibile prevede necessariamente l’esigenza di accumulare: l’individuo soggetto vuole gli oggetti, quanti più possibile, per dominarli, in una positività assoluta che non conosce perdita. Invece a furia di possedere oggetti si diventa posseduti, così l’uomo perde il suo ruolo di soggetto e diventa oggetto. Questo accade perché l’individuo moderno è segnato dalla mancanza e tutto ciò diventa una condanna che toglie al presente il suo significato.
Come uscire da questo tunnel senza luce? Gli autori affermano che è necessario passare dal ser (mondo dell’individuo che vuole possedere qualcosa e diventare qualcuno sempre caratterizzato da una certa mancanza) all’estar siendo, dove le persone vivono in un insieme organico che li include e senza il quale non si potrebbe esistere.
È, dunque, indispensabile chiedersi: come è possibile favorire il crollo del ser per entrare nel estar siendo? Cosa deve sperimentare la persona? Gli autori forniscono alcune indicazioni; la persona deve:

  1. vivere la sua sofferenza, mancanza, disagio, disorientamento perché sono normali;
  2. togliere, superare la sensazione di sentirsi sbagliati in quanto mancanti;
  3. togliere il modello della gerarchia;
  4. pensare che ogni modo dell’essere è perfetto: niente manca di niente; piuttosto la sfida è con sé stessi: dove voglio arrivare?

È necessario dare alla persona la possibilità di iniziare un percorso complesso di scoperta della propria geografia interiore, del proprio funzionamento, della propria potenza e di ciò che lo ostacola: l’obiettivo è di diminuire la sofferenza e ridurre i comportamenti autodistruttivi e patologici.
Per tentare una liberazione si prova a partire da qui: dall’assunzione con gioia della fragilità dell’esistenza e della volontà di impegno. La vita che viene proposta ai giovani è intrappolata in un funzionamento mortifero, che li incita a essere performanti e utili; molte volte, purtroppo, la ribellione non prende le forme di un agire creativo e gioioso ma diventa patimento, sofferenza, che si traducono nel disagio psichico. È un grado di rifiuto. I giovani sentono il mondo, sono toccati dall’epoca e dalle sue sfide ma non riescono a sopportarne il peso.
All’ingiunzione di stare tranquilli i giovani risponderanno con l’elogio dell’intranquillità e con la necessità di rendersi presenti al presente, di capire quali siano le lotte centrali da affrontare, oggi, per difendere la vita a cui partecipano. L’angoscia e l’intranquillità devono diventare momenti di possibilità creativa, ciò che li mette in moto, che li spinge a non essere soddisfatti una volta per tutte.
Perché la sicurezza non esiste. Per questo i giovani devono seguire e sostenere il desiderio che li attraversa, desiderio di vita, di gioia, di solidarietà. Il caos e la distruzione resteranno nel mondo, ma non saranno più l’orizzonte minaccioso che tarpa le ali ma la condizione in cui cominciare a sviluppare un nuovo agire.

Chiara Cucchini

Chiara Cucchini

Docente di materie letterarie, istituto professionale agrario Parolini, Bassano del Grappa,
componente la Segreteria nazionale di Macondo.