Il tempo dell’evanescenza

di Egidio Cardini

Se c’è qualcosa in questo tempo così confuso, ansioso, rabbioso, pauroso, ansimante e digrignante, qualcosa che mi indispettisce e che mi indispone è la predisposizione all’”outing”, là dove con questo termine si sottende un’azione di liberazione interiore da un peso e da ciò che si tiene nascosto da tempo perché apparentemente proibito in passato e perché generatore di un senso inaudito, vale a dire mai “udito” prima, di colpa, quasi silenzioso e soprattutto tanto scarnificante.
Ecco, a dispetto di questo senso di umanità improvvisata e da quattro palanche, io mi sento estraneo a tutti questi meccanismi per una ragione semplicissima: non ho nessun “outing” da fare e trovo umiliante farlo.
Non devo dichiarare orientamenti sessuali, non devo dichiarare nefandezze passate e presenti, non devo rivelare proprio niente. Mi infastidisce tutta questa recitazione di umanità a basso prezzo, che improvvisamente emerge da un sottobosco oscuro che avvolgerebbe molti di noi.
Perché un omosessuale dovrebbe dichiararsi tale? Perché mostrare la propria interiorità? Perché inorgoglirsi o deprimersi per la propria condizione psicoaffettiva? E quindi, per converso, perché rivelare scioccamente e rozzamente la propria condizione eterosessuale? Perché mostrare a ogni costo una diversità dalla diversità? Io sono eterosessuale, ma, se volessi raccontare il taglio sanguinoso che ho subìto nell’educazione ecclesiastica (e non ecclesiale), direi che anche nella condizione eterosessuale ci sono violenze intime o stati di sofferenza umilianti, ma l’”outing” non dev’essere mio, bensì tutt’al più di chi queste sofferenze ha provocato.
Il tempo ha maturato in me un senso dell’essenzialità che mi sta conducendo alla fase finale della mia esistenza terrena con la consapevolezza dei significati autentici e profondi dell’umanità e della sua relazione con il Trascendente personale, che ho identificato distintamente con il mio Dio di Gesù Cristo e quindi, proprio per questo, non ho bisogno di dichiarare alcunché né di svelare o di cercare appartenenze né ho più bisogno di fare il cattolico praticante e militante, praticando già la fatica per la mia possibile e desiderata Redenzione. Sto perdendo la paura. Ecco, in questi tempi così irrequieti e soffocanti, sto perdendo l’inquietudine che molti invece scoperchiano e dimostrano.
L’epidemia ha aperto una frattura profonda nelle coscienze, la guerra in Europa ha sconvolto sicurezze, il cambiamento climatico sta aprendo a sofferenze nuove, la moltiplicazione dei conflitti ha diffuso uno spavento silenzioso e logorante. Camminando per il mondo, ho imparato a osservare gli esseri umani, a scrutarli, ad ascoltarne i respiri privi del senso più radicale di unione del Cielo con la Terra. Per questo motivo vi dico che faccio una grandissima fatica a capire che cosa la gente oggi dice o vorrebbe dire. Nella facondia espressiva di moltissimi avverto un grido sconclusionato e un ardore interiormente violento, privo di contemplazione e privo di soddisfazione per la bellezza del Mistero della vita, come se nulla bastasse e tutto mancasse.

“Nada te turbe, nada te espante. Quien a Dios tiene, nada le falta. Solo Dios basta”
(Santa Teresa d’Ávila)

Credetemi. A me non basta Dio. Vorrei molto altro e mi manca molto altro. Però è importante distaccare il proprio desiderio dalla sofferenza per la sua inesorabile incompiutezza, associandolo alla bellezza del Mistero della vita.
Si sa che amo la libertà, che difendo la giustizia sociale, che cerco la pace, che appartengo alla democrazia. Questi sono tempi di sconfitte per noi che crediamo in tutto questo.
Io lo faccio con un senso religiosamente laico e so che alcuni potrebbero cogliere questo mio passaggio come un ossimoro, ma non è così.
Si crede nella libertà, nella giustizia, nella pace e nella democrazia perché in esse si sperimenta la sintesi più laica e meno istituzionalmente religiosa di un valore che paradossalmente non soltanto è pienamente religioso, ma è addirittura visceralmente abbracciato al Dio vivente. È spiritualmente cristallino perché unito a Dio.

“La gloria di Dio è l’uomo vivente”
(Sant’Ireneo)

E l’uomo vivente non ha bisogno di indossare abiti istituzionalmente religiosi perché, nella sua vita bellissima, è già andato oltre la religione, nelle sue forme storiche e convenzionali, per arrivare alla porta del Regno di Dio, che altro non è che un mondo secondo un criterio di dignità e di giustizia che viene da Dio.
Ecco perché siamo liberi, siamo dalla parte della giustizia e della pace, siamo vincolati a un modello sociale secondo le forme della democrazia. Il sapere di Dio diventa una proiezione di umanità vera, un progetto finanche politico, una prassi di liberazione, un respiro di vita. Il resto è clericalismo o parodia del potere.
Sono giorni in cui vorrei dire a chiunque che purtroppo ci aspettano tempi durissimi, fatiche improbe, sconfitte dolorose. Ho l’impressione che molti temano sconsideratamente per la propria sorte, ma contestualmente non intravedano i pericoli reali e non sappiano pesare i fatti e i processi presenti per quelli che sono.
A titolo di esempio, la guerra russo-ucraina è il risultato di un processo storico chiarissimo di allontanamento dell’umanità da un quadro sociale, politico, economico e culturale di libertà e di giustizia. In questo caso i meccanismi di aggressione sono trasparenti e le dinamiche della violenza sono quasi perfette. Eppure molti sembrano giocare ancora carte ormai sdrucite e vecchie, non più credibili, volendo spiegare processi che non esistono più e cercare responsabilità che appartengono al passato secondo schemi di giudizio legati al passato.
Con tutta la franchezza di questo mondo dobbiamo dire che l’uomo contemporaneo si sta dimostrando stanco e sfiduciato davanti alla prospettiva della libertà che, per dirla come il detestabile Carlo Calenda (che non voto), alla fine non libera.
La debolezza intellettuale, la scarsa volontà di elaborare analisi e riflessioni e l’irrilevanza dei processi educativi e formativi stanno producendo generazioni di soggetti effimeri, vuoti, evanescenti, incapaci di capire, di vedere, di leggere, di avere occhi e cuore per penetrare il Mistero della vita, quella più immediata e concreta.
In quest’evanescenza vedo battaglie secondarie diventare fondamentali e non ho vergogna di provocare scandalo quando dico che molte priorità della mia sinistra mi paiono davvero una distorsione e un allontanamento dall’essenziale.
Perché intestardirsi sulle questioni, pur importanti, della gestione del fine-vita? O diventare finanche ridicoli sulle contorsioni delle svariate, e ormai nemmeno più conteggiabili, identità sessuali? Per non dire poi della totale irresponsabilità nella de-costruzione di sistemi educativi davvero autorevoli, come se la semplice liberalizzazione di ogni relazione costituisca l’unico metodo auspicabile davanti alle giovani generazioni.
Anche se i problemi sopra individuati meritano una soluzione, le priorità sono altre.
Educare alla profondità del pensiero è fondamentale. Io provo vergogna per avere trascorso un’adolescenza e una gioventù dentro una debolezza di analisi e di studio, forse perché ero costantemente distratto da altre priorità, oserei dire “istituzionalmente religiose”. Ho studiato poco e male, faticando oltre misura quando avrei potuto invece mettere a frutto ogni occasione di maturazione intellettuale e culturale.
Poi, in età adulta, mi sono adoperato per recuperare una distanza comunque difficilmente recuperabile, conservando quel filo di recriminazione che non andrà mai via. Oggi viviamo un’epoca di evanescenza interiore, che si ripercuote nell’incapacità di dare un senso allo studio, e quindi restiamo privi di ogni capacità di comprensione della realtà e di scelte idealmente forti e storicamente indirizzate. Quest’enorme confusione genera nevrosi, aggressività, supponenza, arroganza, tracotanza e soprattutto disprezzo dell’altro, snaturando l’interlocuzione e il dialogo come metodo di relazione, esaltando l’individualismo e facendo perdere il senso del rispetto.
I radicalismi politici sono il marchio indelebile della perdita del senso della dignità e della vita piena. Oggi essi si affermano perché entrano come una lama affilata nel burro o comunque in un universo che si sta squagliando.
In fin dei conti non è impossibile costruire un mondo libero, giusto, pacifico e democratico. Anzi, è semplicissimo. Basta volerlo, basta proporre modelli di umanità integrale, basta trascendere la fatica e il dolore di ogni giorno con la primogenitura del senso e dei significati. Purtroppo invece si lasciano sempre emergere le spinte verso un totalitarismo autoreferenziale, che non sopporta fatiche e dolori in vista del riconoscimento del senso e dei significati. E si partorisce l’illusione del potere, con tutto quello che ne consegue.
Io penso che la tragedia del tempo presente risieda tutta qui, ovverosia nell’incapacità di contemplazione della bellezza della vita, di affermazione della dignità umana, di elaborazione di progetti politici, economici e sociali di equità e di giustizia, di affermazione di un quadro equilibrato di diritti e di doveri, di lotta contro ogni modello di totalitarismo.
E basta, davvero basta, con le ideologie che annientano la libertà e il pensiero, siano esse politiche o economico-sociali o religiose. Abbiamo bisogno di idealità mature e forti e di umanità profonde. Dopodiché io resto qui, nel mio angolo, con il mio sguardo verso il mio Dio da lontano, ma senza il bisogno di nessun “outing” perché degli “outing” di ognuno non abbiamo davvero bisogno. Io non ho rivelazioni da fare su me stesso.
Ci aspetta il fuoco della lotta per la libertà, la giustizia, la pace e la democrazia. Lotta che porta il Cielo sulla Terra, che porta Dio nella grandezza dell’essere umano. Il resto non conta niente.

foto sport in Karlovice-Czechia di Petr Slováček da unsplash.com

Egidio Cardini

insegnante