Non solo fine settimana e foliage
Ho visto “Un mondo a parte” la sera di Pasqua. Per quando Madrugada arriverà nelle case, la trama del film sarà nota e non dovrei rischiare di rovinarlo a nessuno. Scritto da Riccardo Milani e Michele Astori e diretto da Riccardo Milani, “Un mondo a parte” è interpretato da Antonio Albanese, Virginia Raffaele e un nutrito gruppo di attori abruzzesi, professionisti e non professionisti.
I paesi esistono anche d’inverno
Il protagonista del film è Michele, si dirà. In realtà la protagonista è la neve. Il borgo marsicano di Rupe, in cui si svolge la trama, è vissuto quasi tutto d’inverno e spazza via nella prima parte tutta una bella serie di immaginari stereotipati. Vivere nei borghi è un’impresa, quotidiana e ardua, che chi non si ferma non coglie.
Il maestro Michele arriva per scelta nel paesino abruzzese in alta quota, ma come bagaglio ha solo le sue aspirazioni, le sue letture, i suoi vestiti da città. Tutto questo durerà pochissimo, rivelando la sua impreparazione nei fatti. La macchina si blocca nella neve, l’ululato dei lupi palesa le sue insicurezze, si bagna i piedi a causa dei mocassini, non sa accendere una stufa, non sa nulla del poeta a cui è intitolata la scuola del paese, non capisce la lingua del posto.
Così conciato, sarebbe un perfetto turista estivo, che se ne va come tutti alla fine della stagione, convinto di aver colto l’anima dell’ameno borgo e di aver compreso nel profondo le aspirazioni dei suoi caratteristici abitanti. Ne parlerà poi agli amici durante il tiepido inverno in città, mentre l’altra metà della vita dei borghi si svolge all’insaputa dei più. Invece accadono alcune cose. Innanzitutto deve restare sei mesi, perché tanto dura il trasferimento provvisorio. E subito incontra persone che lo addomesticano, portando problemi veri.
Se ci stai, il paese ti cambiaVita in paese e necessari compromessi Ben scritta la scena dei genitori di Duilio, un ex studente di Agnese (la vicepreside della piccola scuola). Sono preoccupati perché il figlio si è messo in testa di coltivare la terra. Maledetta la volta che gli ho intestato le terre abbandonate, esclama il padre. Michele parte lancia in resta con entusiasmo e citazioni bibliografiche, ma il padre di Duilio inquadra subito l’uomo.
Lei è uno di quelli che arrivano d’estate, amano i borghi, il cibo locale e che a settembre e ottobre vengono a vedere i colori dei boschi, il foliage! Poi però a novembre inizia a piovere, a Natale inizia a nevicare e diventa tutto difficile fino a giugno. Ci siamo stufati di tenere in piedi i borghi per gente come voi che ci viene a passare i fine settimana.
Degna di nota anche la scena in cui Michele raccomanda ai sette alunni della pluriclasse di fare quello che i loro genitori non hanno saputo fare: salvare il mondo, la natura. E dovete farlo prima di cena, dice Michele citando un altro libro. Un’alunna ne parlerà a casa, prima di cena, appunto. All’indomani, lo sguardo dei suoi genitori verso il maestro è eloquente e non necessita di parole.
In una terza scena, Michele va in una stalla per un colloquio con una mamma che non può recarsi a scuola. Pesta liquami coi mocassini, tiene a bada una pecora e si impregna dell’odore del gregge. Qui Michele inanella la sua terza magra figura in pochi giorni ed è ormai pronto per accettare le raccomandazioni di un suo alunno. Lascia che questi gli insegni ad avviare la stufa con la carta, le pigne e le schiopparelle e l’indomani scende a valle per comprarsi l’abbigliamento adeguato.
Da quel momento, per Michele inizia una nuova fase. Inizia a salutare col tipico suono gutturale, a camminare più disinvolto, a diventare più concreto. Si è acconciato, diranno Agnese e Nunzio, il bidello tuttofare.
Se chiude la scuola, chiude il paese
In quella che potremmo definire la seconda parte del film emerge la figura di Agnese, insegnante e vicepreside. La sua conoscenza degli alunni attuali e di quelli del passato la porta ad avere un approccio idealista e disincantato allo stesso tempo.
La scuola che ha in mente è innanzitutto cultura che apre gli orizzonti. Quando parla del gender in classe, lo fa perché vuole creare un ambiente favorevole intorno a Gemma, sua ex alunna oggi adolescente che sta soffrendo moltissimo per l’incomprensione dei suoi.
La scuola è anche incubatore d’impresa, perché inocula idee.
Quando va a parlare con Duilio, pur manifestandogli il suo interesse per l’azienda agricola che vuole creare, gli ricorda anche che a Rupe i progetti di cambiamento durano al massimo due anni e poi si sgonfiano. Per questo si fa promettere che Duilio resisterà e scavallerà il terzo anno.
La scuola è anche vicenda biografica, personale e comunitaria.
Nel film aleggia nell’aria il fantasma di Sperone, parola sussurrata a mezza voce che Michele non capisce. Finché, seguendo Agnese in un suo momento di sconforto, scopre le rovine di un paesino abbandonato a seguito della chiusura della scuola elementare. Qui Agnese si apre. Sperone è il trauma mai superato, è la fine di un mondo, un fallimento che non deve ripetersi, è la molla per il suo attuale atteggiamento di fronte al rischio che anche a Rupe la scuola possa chiudere. Qui si intravede anche qualche frammento della vita di Agnese.
Vita in paese e necessari compromessi
Da qui inizia pure un nuovo modus operandi di Michele. Se abbandona i cliché e alcune convinzioni pregresse, non abbandona i suoi ideali e la sua determinazione. Diventa però più scaltro, capace di cogliere un’opportunità inattesa per recuperare quattro nuovi bambini e scongiurare la chiusura della scuola. A partire da qui, e rapidamente, ognuno dei quattro personaggi che reggono la scuola di Rupe fa i conti con quello che sa fare. Michele si incarica di far arrivare alcuni profughi ucraini con bambini in età scolare.
Nunzio contratta letteralmente l’arrivo in paese di una famiglia marocchina da tempo presente in regione. Agnese ricorre a una falsa certificazione di disabilità. Maria Antonietta fa i conti con la nausea causata dai compromessi ideali ai quali sta prestando il fianco.
Per legittimare l’acquisizione di quattro nuovi alunni e delle loro famiglie, tutti e quattro fanno quello che va fatto, e cioè acquisiscono il consenso di chi rappresenta il paese nelle sue varie componenti. Conoscendo tutto di tutti, il gruppetto convince allora il sindaco, il maresciallo, il responsabile della protezione civile che è anche albergatore e infine il parroco che, come dice Nunzio, non conterà più come un tempo ma non si può fare quello che stanno facendo avendolo contro. È una delle scene che mi è piaciuta di più.
Dice molto sui poteri ufficiali e su quelli reali che fanno accadere le cose. È una scena che può apparire scontata, un po’ di maniera, eppure esprime l’importanza del consenso per evitare spaccature e successivi fallimenti. In città non ce ne sarebbe stato forse bisogno, ma in una piccola comunità è uno sforzo necessario che ripaga. Tuttavia, anche tutti questi sforzi possono essere precari.
Una volta visto il paese, infatti, una famiglia di profughi se ne va, non riuscendo a reggere (o convinta dal sindaco del paese a valle).
Vivere nei paesi dell’entroterra non è facile, costringe a scegliere e a rimodulare rapidamente molte delle nostre aspirazioni.
Letteratura e filmografia sui paesi
Per esperienza professionale, sono convinto che la visione di un film abbia due potenzialità. Ha innanzitutto il potere di accorciare i tempi rispetto all’assimilazione di alcuni temi, inducendone l’intuizione. Permette poi di cogliere e ricollocare in maniera ampia contenuti e spunti a volte complessi appresi altrove, ad esempio a scuola, durante una conferenza, leggendo un libro.
In questo senso, la letteratura e la produzione cinematografica di questi ultimi anni stanno contribuendo moltissimo a creare nuovi immaginari sulla vita possibile nei paesi. Questo non ha necessariamente e immediatamente risultati salvifici, non impedisce cioè che alcuni borghi di fatto muoiano. Sta però accompagnando un movimento di persone che guardano ai paesi con categorie adeguate e non mutuate da altri contesti. Sta dando legittimità a chi, come Duilio, dedica tempo a rimettere in sesto il vecchio trattore per coltivare lenticchie. A chi, come Gemma, chiede solo di stare bene nella sua terra. A chi, come Michele, è indeciso tra partire e restare. A chi, come Agnese, ha bisogno che le sue battaglie abbiano un senso. A chi, come Nunzio, è restato e ha il diritto di sapere che ha fatto bene. Che ne vale la pena.
Davide Lago docente di pedagogia generale, formatore in percorsi autobiografici, componente la redazione di madrugada
Davide Lago
docente di pedagogia generale,
formatore in percorsi autobiografici,
componente la redazione di madrugada