La paura degli animali

di Farinelli Gaetano

Ho avuto tra le mani i pensieri dei bambini e delle bambine di una scuola elementare che hanno paura degli animali. In genere sono cani, ragni, insetti, rettili, mostri. Alcuni hanno paura degli uccelli rapaci. Alcuni trovano sollievo tra le braccia del papà, della mamma e della nonna.
Altri scappano, altre si nascondono in una sala a parte. Altri si rifugiano nel loro silenzio.
Così la lettura dei loro biglietti mi ha spinto a ricordare alcuni episodi della mia vita e del perché di paure che sono rimaste nel mio animo.
Io ho paura degli asinelli e dei cani.
Quel giorno ero rimasto solo con l’asina e il suo puledro. Ero piccolo, avevo forse sette anni. Mi ero messo dietro il puledro e con una corda lo stimolavo a camminare. D’improvviso il puledro, stanco e annoiato da questo mio gioco, mi colpì con le zampe posteriori. Colpito, atterrito corsi dallo zio che distava più di cento metri. Correvo e cadevo, cadevo e perdevo sangue dal naso. Ma riuscii a raggiungere lo zio che mi portò in ospedale. Da allora quando salivo sul carro trainato da sua madre la Somarina, il puledro si metteva dietro il carro e mi guardava con un occhio cattivo e io temevo che salisse sul carro per battermi.
Non so se vale la pena capire da dove nascono le paure, se sono solo fantasmi, o distorsioni.
Però la mia era la reazione di un bimbo di sette anni, che ancora crede nelle favole e che fa esperienza delle relazioni esterne, in cui scopre il mondo. E si accorge che gli altri hanno gusti diversi dai suoi.
Eppure salivo in groppa alla Somarina, mi piaceva andare sul carretto trainato dagli asinelli. Ed era un gioco per me tutto questo. Fino a quando arriva l’azzardo: frustare i somarelli con la corda.
Il gioco si trasforma in fastidio. E la bestia reagisce. Dice no. E allora il primo spavento è l’azzardo della vita. Il gioco ha messo a repentaglio la vita e quindi fermo! attento che le cose non vanno come vorresti. Nel bambino questo ancora non avviene, non riesce a cercare la ragione che faccia intendere. Anche se la ragione non è sufficiente.
Ma darebbe un contributo.
La paura, quindi, è un segnale di pericolo. Serve per controllare i nostri gesti. E quando si è bambini siamo alla scoperta del mondo; anche se non ne siamo coscienti. Ma lo facciamo. E la coscienza del pericolo crea la paura e allontana l’occasione.
In merito ricordo che nel cortile dell’asilo tenuto dalle suore, c’era una piccola giostra che veniva attivata dai bambini e bambine che la cavalcavano. La giostra girava su sé stessa sferragliando sopra la rotaia in ferro. C’è chi spinge e c’è chi sta in sella, attenti a non scivolar sulla rotaia, che potrebbe danneggiare i piedi, le mani.
Così io con altri si spingeva la giostra, una bimba scivola giù dal sedile della giostra e la gamba poggia sulla rotaia mentre viene raggiunta dalla ruota in moto. Nella furia scomposta del traino, vedo la gamba e la ruota che sta sopra, un istante che pare lunghissimo, ma è solo un attimo e la bimba riesce non so come a sottrarre la gamba.
Questo non mi ha impedito di correre sul passo volante, o sulle montagne russe, ma sempre con un timore di fondo. Che la vita è un gioco ma ci sono le regole. Beh! Questo non c’entra molto con la paura degli animali. È solo una concatenazione.
Ma le regole sono la razionalità, che subentra poi, ma intanto la reazione di fronte al pericolo, la paura, mi trattiene dal mettermi a rischio. A volte però la reazione di fronte al pericolo non si trasforma in prudenza, resta solo la paura o timidezza controllata, ma non troppo.
Abitavo in un vecchio caseggiato, che iniziava con un corridoio buio cui si accedeva dalla strada tramite un uscio senza porta e che introduceva in un cortile dal pavimento in pietra rossa, lungo e stretto e che finiva sul fronte di alcune case basse.
Alla sinistra di queste case basse c’era un viottolo stretto che portava nel campo che confinava con il canale. Il canale era lo spazio dei giochi di noi maschi. Quel giorno la squadra di cui facevo parte rientrava come un uragano dal canale e attraversava rumorosa il cortile. Tra spintoni e fughe tattiche. Arrivato a metà cortile il cane Fido, un cane fulvo e piccoletto, mi ha morso un gamba.
È stato solo un mordi e fuggi, perché Fido mi ha mollato subito. È bastato quel piccolo assalto furioso per mettermi in guardia dai cani: anche se sono miti, non mi azzardo a toccarli. È rimasta la paura, come reazione atavica. Che atavica non è. Anche se qualcosa di simile contiene ed è la sensazione che i cani non hanno paura di essere feriti e quando aggrediscono rispondono solo a un meccanismo istintivo. Lo fanno anche se sono a rischio di essere feriti a loro volta.

Gaetano Farinelli

componente della redazione di madrugada