La guerra è una grande giostra

di Monini Francesco

La bomba è già scoppiata

Breve riassunto. La guerra è finita quasi 80 anni fa. Parlo della “guerra calda” quella che ha sconvolto e straziato l’Italia e tutta l’Europa. Poi è arrivata la “guerra fredda”, ma è finita anche quella, nel 1989, con il crollo del Muro e la disgregazione della costellazione sovietica. L’ex “impero del male” era stato vinto senza sparare un colpo, era crollato da solo; aveva ancora la bomba atomica, ma non faceva più paura a nessuno. La bomba l’avevano in tanti: Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Inghilterra, Cina, India… e per la rinomata “teoria della deterrenza” ci avevano assicurato che la bomba atomica (e l’impossibilità di farne uso senza scatenare l’apocalisse) sarebbe stata “la soluzione”, che la paura del suo utilizzo ci avrebbe preservato da guerre future. Le cose sono andate in modo affatto diverso. Se getterà la bomba chi ci salverà…, cantava il Girotondo di Fabrizio De André. E continuava: la bomba è già caduta.

La corsa alle armi

No, la bomba atomica non è (ancora) scoppiata, ma è come se lo fosse. Perché ci sono, pronte per l’uso, migliaia di testate nucleari. E le guerre continuano, a decine, sparse per il mondo. Quelle più vicine a noi (e più a rischio di escalation), in Ucraina e in Palestina.
Colpa degli uomini, di tutto il genere umano, che si porta dietro la tara atavica di Caino? È una spiegazione molto convenzionale e assolutoria; se è colpa di tutti, allora non è colpa di nessuno. Allora è colpa di governanti cinici, miopi e megalomani? Sicuramente è così, basta guardarsi intorno, ci sono leader e capi di governo che trattano la guerra come una qualsiasi evenienza da sfruttare a proprio vantaggio e per blindare il proprio potere. Ma per capire la grande giostra della guerra occorre aprire il cofano e guardare il motore. Sul nostro capo pendono migliaia di bombe, testate nucleari, droni omicidi. Una situazione spaventosa? Certo, il problema è che per alcuni non c’è niente di disastroso, anzi, «la situazione è eccellente». Per chi fabbrica, commercia e vende armi la guerra rappresenta un colossale affare, che coinvolge direttamente e indirettamente i governi degli Stati di tutto il mondo.
Le cifre fanno paura e sono in continuo aumento: la spesa militare degli Stati Nato (America ed Europa) nel 2023 ha superato la cifra astronomica di 230 miliardi di euro. Anche la spesa militare in Italia è in costante aumento (ma secondo gli Stati Uniti dovremo spendere ancora di più): negli ultimi 10 anni è cresciuta del 26%.
L’industria delle armi è l’unico settore economico che va a gonfie vele. Lo dimostrano i brillanti bilanci della Leonardo S.p.A. Nello stesso periodo il Pil italiano è cresciuto solo del 9%, l’occupazione del 4%, la spesa pubblica del 13%, la spesa per la salute dell’11% e quella per l’istruzione di un misero 3%. Il confronto è istruttivo: i denari che sono andati in armamenti sono stati sottratti alla scuola, alla sanità pubblica, alla spesa sociale in genere.

Il nemico della pace

A partire dalla storica marcia Perugia-Assisi promossa da Aldo Capitini nel 1961, i pacifisti italiani hanno continuato a battersi per la nonviolenza, la pace e la solidarietà tra i popoli. Il pacifismo, sempre in minoranza di fronte ai grandi interessi militari e geopolitici, è stato come un fiume carsico, capace a volte di portare in piazza decine di migliaia di persone. Ma poi? Nonostante questo grande impegno – e i tanti amici pacifisti scuseranno il mio pessimismo – credo sia giusto ammettere l’attuale fallimento dell’opzione pacifista e nonviolenta, che è rimasta dentro il ghetto di una minoranza virtuosa, non riuscendo però a contaminare tutta la società, l’economia, la politica. Forse servirebbe abbandonare un pacifismo lodevole ma ancorato alle storiche parole d’ordine e alla gloriosa bandiera arcobaleno. La bandiera della pace non basta. Nel mirino (in senso buono) vanno messi i produttori e i commercianti d’armi. Sono le armi che devono essere fermate, perché non servono a proteggerci ma mettono in pericolo tutta la comunità, perché alimentano gli appetiti geopolitici, perché ci rendono sempre più poveri. Occorre una grande riconversione industriale, serve che qualche partito metta al centro del suo programma la lotta contro la vocazione militare e bellicista, ma l’Italia (perché non cominciare dall’Italia?) può vivere senza armi. Può vivere meglio. Allora, alle nostre frontiere, metteremo un cartello: “Italia paese disarmato”.

francesco monini

Francesco Monini

direttore responsabile di madrugada
e del quotidiano online Periscopio,
vive e lavora a Ferrara