La gloria di Dio è l’uomo vivente
«La notte ti penso, mare.
Sporgo un poco dal bianco
dell’insonnia e tutta una voce
mia senza parole si spalanca su te
viene alla riva, entra
nella tua immaginata
figura d’acqua stesa
si ridesta l’ebbrezza
di quell’essere tu / forse immensa preghiera».
[Mariangela Gualtieri]
Mario Bertin è morto domenica 10 novembre, erano le ventidue e trenta, dopo un breve ricovero.
Ha amato la vita sua e degli altri, per questo era sereno. Quel che era e quel che aveva lo ha profuso, passato in abbondanza agli amici. Ha scelto strade di comunicazione a lui congeniali: il libro è stato il suo oggetto e il suo strumento di relazione. E così nei due passaggi di lavoro è stato fedele ai compiti che gli hanno assegnato. Nella casa editrice “Edizioni Lavoro” di Roma e in “Città aperta” di Troina ha tenuto uno sguardo attento alla cultura, alla politica, alla
spiritualità, ha sollecitato l’attenzione sulla letteratura africana, ha indagato la vita dei ragazzi di strada in Brasile che ha percorso fino ai confini della foresta assieme alla sua amata Benita, un amore che ha conosciuto solo il confine del rispetto e della vocazione cui ciascuno ha da rispondere. E ci ha lasciato con il suo ultimo dono, che era già nascosto nel suo libro per Francesco d’Assisi, ed è la strenna del prossimo Natale 2024, un gioiello di carta che contiene il libretto del teologo brasiliano Leonardo Boff: Sorella Madre Terra. Ci lascia in eredità la povertà di Francesco, l’amore per la Terra, la ricerca del senso della vita, che scoprì nel volto dell’altro, che manco si spegne nel trapasso, nella morte che è via, passaggio a uno sguardo nuovo, sconosciuto, solo intravvisto.
Nell’ultimo periodo continuava a parlarci della sua simbiosi con la natura, con le piante, con ogni essere vivente. Ci mostrava gli alberi, al telefono ci raccontava qualche giorno fa che stava fissando agli alberi che vedeva dal terrazzo del suo salone, si soffermava sulle foglie dell’autunno: guarda come sono meravigliose, tutte diverse l’una dall’altra.
Ed è forse per questo che la sua ultima riflessione che ci aveva inviato in agosto – dopo aver trascorso alcuni giorni di riposo a casa della sorella Andreina, nella sua terra natìa – citava queste parole di Paola Capriolo a proposito di Rainer Maria Rilke:
«Una volta, mentre siede [Rilke] con un libro in mano appoggiando le spalle alla biforcazione di un albero, gli accade di sentirsi attraversare da lievi, quasi impercettibili vibrazioni, come se dall’interno dell’albero qualcosa gli si comunicasse attraverso la dura corteccia, qualcosa di troppo insolito perché egli lo possa definire un piacere. Ha piuttosto l’impressione, come quella provata in alcuni sogni, di essere scivolato sull’altro versante della natura, dove il suo corpo abbia assunto la trasparenza e la permeabilità di un’anima: di non esservi rinchiuso, aggrappato come al proprio più intimo possesso, ma di abitarlo con il malinconico distacco di un revenant tornato fuggevolmente da un altrove nel quale ormai è di casa».
[Paola Capriolo, a proposito di R. M. Rilke]
Ora anche Mario vede la luce, è nella luce, quella che lo abbagliò quando si trovò davanti per la prima volta alla Canestra di frutta di Caravaggio, o che ci illustrava quando ci accompagnava ad ammirare la Conversione di san Paolo nella Cappella Cerasi nella basilica di Santa Maria del Popolo a Roma. Nello sfondo cupo si apre la luce e nell’iconografia della luce che accecava Saulo, lo sappiamo ora per sempre assieme alla sua Benita.
Mario ci ha appena lasciato e già ci manca infinitamente. Dove sei adesso, Mario?
Cosa di meglio che lasciare la parola a lui, tratta dalle sue riflessioni dopo la morte di Benita: «Molte volte, nel corso della giornata, resuscito in me mia moglie, che abita ormai una terra invisibile. La resuscito realmente perché è fatta ormai della stessa sostanza del pensiero. Lei in me si fa visibile. In me può ancora gioire per lo splendore della bouganvillea del balcone. Può ancora amare la vita, può ancora respirare la luce dell’aurora. Camminiamo ancora insieme dentro boschi d’ombra e di vento, dove il sole si rifrange tra le foglie tramutandosi in respiro e invito alla preghiera. Insieme conversiamo senza il bisogno di parole. Sentiamo allora di farci sentiero, di farci cielo, di farci mondo. Il nostro spazio interiore si dilata all’infinito, supera quel dualismo che fonda “segretamente la nostra tirannia sulle cose”, per utilizzare ancora una volta una espressione di Paola Capriolo».
Ecco,
Benita e Mario,
Mario e Benita,
finalmente camminano ancora assieme, tenendosi per mano.
Non esisteva Benita senza Mario, non era più lo stesso Mario senza Benita.
Finalmente Mario ti sei fatto cielo, ti sei fatto sentiero, ti sei fatto mondo.
Il tuo spazio interiore si è dilatato, hai accolto la vita e dentro di te la morte, hai preso la morte per mano e sei andato su una stella. Laudato si’, mi Signore, per sora nostra Morte corporale.
Laudato si’, mi Signore, per la vita di Mario che tanto ha amato, cantato, vissuto, celebrato. E donato a chiunque incontrasse sulla sua strada.
Gaetano Farinelli
con la collaborazione di Stefano Benacchio
in ricordo e memoria dell’amico Mario Bertin