Emozioni
«Non dimentichiamo che le piccole emozioni
sono i grandi capitani della nostra vita
e che obbediamo a loro senza saperlo».
(Vincent Van Gogh)
Emozioni per grandi e piccini
Mai come ora è urgente riflettere in quanto comunità educante sul ruolo delle emozioni, sull’importanza di un’educazione consapevole e competente in grado di far sperimentare il riconoscimento e la gestione, in modo socialmente utile, delle emozioni che i piccoli e gli adolescenti, ma anche gli adulti, provano, compito fondamentale che dovrebbe essere condiviso tra genitori, insegnanti ed educatori.
Si osserva sempre più spesso che l’incapacità di gestire, per esempio, due importanti emozioni come la paura e la rabbia porta a gesti di inaudita ferocia a volte nei confronti di sé stessi, spesso nei confronti degli altri, in particolare delle donne.
L’origine della parola emozione è da ricondurre al latino emovère: ex = fuori + movère = muovere che significa «portare da dentro a fuori». Il verbo latino movère, deriva, a sua volta, da una radice proto-indoeuropea ricostruita come meuh- e in senso più lato può significare: «scuotere, smuovere, agitare».
Un’emozione è quindi una reazione che altera l’equilibrio interiore di una persona, un’agitazione, uno scuotimento, una vibrazione dell’animo…
Questa reazione affettiva complessa e intensa, piacevole o spiacevole che sia, spesso si accompagna a una reazione anche di tipo fisico (rossore, pallore, cambiamento di espressione, tachicardia, sudorazione, brividi, alterazione del respiro, aumento della circolazione sulle estremità corporee, gambe e braccia, per favorire l’attacco o la fuga…).
Il funzionamento delle emozioni comporta negli esseri umani l’attivazione di una componente cognitiva, che consente di valutare lo stimolo, di un’attivazione fisiologica, che predispone l’organismo ad affrontare la situazione, di una componente espressiva, che modula l’esibizione esterna dei vissuti emotivi e di un conseguente comportamento che induce la persona a re-agire.
Crescendo si dovrebbe essere aiutati a riconoscere le proprie emozioni, a sapere quali sono, che nome hanno, che reazioni provocano dentro di noi e, soprattutto, a come modularne l’espressione in modo “socialmente” se non utile, almeno accettabile. Purtroppo, però, ci accorgiamo, vivendo o attraversando diversi contesti educativi, da quello famigliare, a quello scolastico a quello sportivo o animativo, che c’è spesso una disregolazione degli impulsi e delle emozioni e le relazioni sono caratterizzate da un alto tasso di emotività espressa. Tradotto: si urla, ci si impone, non si ascolta, non si coltiva abbastanza la relazione, non si concede lo spazio emotivo ed espressivo dell’altro che sta di fronte a noi. Saperle riconoscere e gestirne l’intensità, acquisendo capacità di autoregolazione, è fondamentale per non esserne travolti o dominati, per essere in grado di affrontare lo stress, risolvere meglio i conflitti, coltivare relazioni sane e appaganti che permettano il raggiungimento di un benessere personale, fisico, relazionale e spirituale.
Il girotondo delle emozioni
Le emozioni sono tante, infinite sfumature di un vibrare dell’essere, lo sanno bene gli artisti che associano note e colori, forme e sfumature per renderne l’infinito ventaglio; le principali emozioni, che appartengono al gruppo delle “primarie” come la rabbia, la paura, la tristezza, la gioia, il disgusto e la sorpresa, sono considerate innate e universali, cioè sono riscontrabili in qualsiasi popolazione. Le emozioni “secondarie”, che nascono dal “mescolamento” delle primarie, sono invece apprese e si sviluppano con la crescita dell’individuo e con l’interazione del proprio contesto sociale e sono: la vergogna, la gelosia, la gratitudine, il rimorso, l’orgoglio e l’imbarazzo. Queste emozioni “di base” interagiscono e questa interazione può modulare la nostra esperienza emotiva, il nostro comportamento e influenzare le nostre decisioni quotidiane. Possono diventare a volte travolgenti e destabilizzanti se non sono comprese, se restano trattenute dentro e non espresse, possono essere gestite in modo sano ed efficace, essere godute come un dolce rifugio per far riposare il cuore, per migliorare la propria empatia con il mondo, per diventare più consapevoli e capaci di connetterci in modo più profondo con noi stessi.
Paura, emozione salvavita
Tra tutte le emozioni, quella che ha sicuramente un impatto forte e, a volte, decisivo sulla nostra vita individuale e collettiva, è la paura.
L’attraversiamo tutti, in tanti momenti della vita, è sicuramente un’emozione salvavita perché ci segnala che siamo in pericolo, perciò è fondamentale riconoscerla, abitarla, gestirla perché ci aiuta a sopravvivere, a volte, a salvarci.
Il dizionario etimologico suggerisce che la parola paura è da ricondursi alla radice indoeuropea pat- che significa letteralmente percuotere e in senso figurato incutere timore, atterrire.
Da questa radice derivano poi il greco παίω (paio) = io percuoto e poi il latino pavor = paura, timore dal verbo paveo (prima ancora patveo) = sono percosso, sono abbattuto e in senso lato, io temo, io ho paura.
Parola antica e generativa, che dice di un’emozione che ci accompagna dai nostri primi passi sulla Terra, che non deve essere sottovalutata, che deve essere rispettata e ripulita da tanti stereotipi.
Aver paura non significa essere deboli, aver paura non significa non essere uomini coraggiosi, l’uomo forte non è quello che non ha mai paura, l’essere umano deve fare a patti con questa emozione, darle il giusto valore e, ribadisco, rispettarla.
Da molti anni gestisco progetti che hanno per obiettivo lo sviluppo dell’intelligenza emotiva a scuola, specie con bambini e pre-adolescenti, che punta sullo sviluppo delle competenze che permettono loro di riconoscere, modulare ed esprimere le proprie emozioni, modificando i propri pensieri negativi. Si accompagnano i ragazzi a scoprire e descrivere come fisicamente si manifesta la paura, che parti del corpo prende, che funzioni altera e perché, come rappresentarla, raccontarla, elaborarla in gruppo.
Ecco cosa dicono giocando con le emozioni i bambini in classe: «La paura è un’emozione che ci fa scappare, ci toglie il fiato, fa battere forte il cuore, ci fa sudare e tremare»… «Però la paura è l’unica che ci fa tirare fuori il coraggio, altrimenti non sappiamo di essere anche coraggiosi»… «La paura la provano anche gli animali e nasce da ciò che trovano nel loro ambiente naturale: animali più feroci, lampi, tempeste, i cacciatori, il fuoco»… «Gli uomini invece possono provare non solo paure causate da eventi reali (guerre, covid, morti, inquinamento…) ma anche da pensieri che sono dentro di noi». I bambini descrivono paure importanti: quella di essere abbandonati, di perdere il papà e la mamma, i nonni, il cane, gli amici. Raccontano la paura di non farcela, di non essere all’altezza e magari perdere così l’amore e la stima che serve loro per vivere. Hanno paura del buio, di non vedere più, di non riuscire a muoversi, a parlare, a chiedere aiuto. Lavorare con loro aiuta a fare chiarezza anche a noi, a riprendere in braccio il bambino impaurito che ancora si nasconde nella nostra storia, lavorare con loro ci aiuta a comprenderci meglio.
Si scopre con loro che la paura ha diversi gradi di intensità a cui corrisponde una parola precisa: per esempio c’è il timore che è la forma meno intensa della paura, e si prova quando affrontiamo qualcosa che può essere piacevole ma impegnativo: le montagne russe? un film horror? un videogioco? C’è l’ansia o l’angoscia che si prova quando la minaccia del dolore e la promessa di piacere sono uguali e si vive nell’attesa di capire quali delle due vincerà, questo capita per esempio quando si affronta una gara o un’interrogazione perché si affronta il rischio di superare la prova o di dover subire una sconfitta.
C’è poi lo spavento, quando ci si trova di fronte a un pericolo senza preavviso, improvvisamente, dove gioca un ruolo fondamentale l’effetto sorpresa; va via la luce? Sentiamo un rumore improvviso e sconosciuto? I ragazzi faticano a comprendere la fobia, anche se la parola è molto usata, ma intuiscono la portata e la differenza quando si raccontano la grandissima paura dei ragni, dei posti troppo affollati, del sangue, degli aghi, dell’altezza, dei buchi… È sicuramente diversa dal timore e anche dall’ansia, si fa fatica a controllarla e a ragionarci su perché provoca reazioni spropositate che magari fanno ridere gli altri.
C’è il panico, quando la paura è massima, e magari non è causato da cose reali, ma da uno stato di profonda inquietudine che a volte sembra toglierci il fiato e la parola e ci può fare irrigidire il corpo. E c’è il terrore che è la forma estrema della paura dove spesso la persona invece che rispondere con l’impulso a scappare come è naturale, resta bloccata e non trova soluzioni, può solo fuggire dentro sé stesso restando “pietrificata”. Per fortuna questa è un’emozione che nella vita si proverà raramente, i più fortunati non la provano mai. È sul terrore che la domanda sorge inevitabile: «È quello che provano i bambini che vivono nei paesi in guerra?». Onestamente non si può che rispondere: «Sì, certo, credo sia proprio terrore».
Infine c’è l’orrore: un’emozione di forte paura legata però al ribrezzo per ciò che appare crudele e ripugnante sia in senso fisico che morale (spietate immagini di guerra? narrazioni di feroce violenza magari all’ora di pranzo? animali uccisi?).
Questa in sintesi una carrellata giocosa e rapida di come si può lavorare e sperimentare con i bambini, ma che serve anche agli adulti, per scoprire i diversi gradi e forme di paura che hanno oggetti e intensità diverse ma, soprattutto, nomi diversi. E dare un corretto nome alle proprie emozioni permette di fare differenze e comunicare in modo più efficace cosa ci succede. Un po’ alla volta si impara che la paura è un’emozione utile, ci permette di evolvere, di diventare più adattivi; senza metteremmo continuamente a rischio la nostra incolumità, allena allo sviluppo di abilità di autocontrollo, di resilienza emotiva. Ecco perché non ha senso eliminare la paura. È più vantaggioso invece cercare di viverla in maniera consapevole e appropriata.
Monica Lazzaretto
presidente di Macondo,
vive a Tramonte (Pd), lavora a Mira (Ve), come responsabile del centro studi della Cooperativa Olivotti scs