Accogliere la luce, vincere le tenebre
«È la tenerezza che ci fa paura».
Un verso di una canzone può dire molto e non di rado trovo tanta saggezza in quelle che qualcuno diceva essere solo canzonette. La verità è poliedrica, ha molte sfumature e tracce di essa si possono scorgere ovunque, basta essere attenti e aperti.
La tenerezza in fondo fa paura a chi teme di perdere il proprio dominio. Spesso è associata ai sintomi della debolezza, e non è conveniente a un maschio. Gli ultimi gravi episodi di violenza contro le donne, e non solo, mi hanno lasciato l’amaro in bocca proprio per il loro retrogusto di una società intossicata da violenza in tutti i suoi derivati. Violenza culturale, verbale, politica. La realtà del nostro tempo sembra ribollire come una pentola a pressione.
Lo scoppio è imminente. Si è come atomizzata in milioni di diversi individui, che cercano un senso e una meta, e nella polarizzazione spesso violenta provano a cercare un’identità e una sicurezza ormai perdute. Eppure quanta tenerezza sui volti di chi non morde la vita ma la accoglie. Tenerezza e accoglienza come in quel Natale tanto “consumato” e poco vissuto di un Dio che come madre stringe a sé le proprie creature.
Anche Dio sarà stanco di tanta violenza che da subito fece comparsa sulla Terra. Quella domanda a Caino risuona ancora oggi. Non si può ripartire che da una domanda. Dove andiamo? Che contorni ha oggi il sogno dell’umanità? Non può essere la guerra a ristabilire un ordine o a dare senso al futuro che si genera.
Quale futuro stiamo generando? Si dice sempre che il futuro sono i giovani, i bambini. Eppure il deserto demografico che stiamo attraversando non lascia ben sperare.
Mi hanno colpito lo sguardo e la domanda di don Philiph, prete ugandese in visita nella mia comunità che mi ha chiesto: ma dove sono i bambini? Nel suo Paese, l’Africa, troppi che muoiono senza neppure affacciarsi al loro domani, qui da noi troppo pochi, quasi per paura di quel domani. Ho ancora impressi nel cuore gli occhioni neri di Alejandra. Neri come le notti d’Africa che ha visto nascendo a Sfax, in Tunisia, luogo di passaggio delle rotte di migranti verso l’Europa. I suoi occhi sono grandi e, se ti fissano, non puoi staccarti da lei. Ha pochi mesi, per vie che solo Dio può conoscere, arriva a casa mia con i suoi giovanissimi genitori. Non ho saputo dire di no. Sentivo dentro l’appello, la chiamata umana etica e morale a dare posto a questa famiglia, fragile e imperfetta che mi ricordava quella di Nazareth. Famiglia? Cos’è? È il luogo dove le relazioni sono di tenerezza e cura, dove sei perché sei e non come devi essere.
Famiglia è stata per me il vivere la quotidianità che all’improvviso mi accorgevo essere diversa dal solito perché avevo qualcuno a casa di cui prendermi cura, di cui conoscere la storia. Il pianto di Alejandra quando lo sguardo della mamma non era più alla sua portata. Una storia non è tutto, non è assoluto, eppure le storie, ogni storia, anche quella più marginale, ha un senso nel grande universo di cui siamo solo come piccole briciole di pane. Ho imparato che non c’è bisogno di cercare e di voler a tutti i costi che le cose vadano come vogliamo. Basta saper lasciare che le cose accadano e maturino. Il loro compimento non dipende da noi.
L’incontro con Alejandra e la sua giovane mamma mi ha riportato al cuore le scene che abbiamo visto spesso alla tv. Ma in questo caso non erano numeri, ma volti concreti. Con tutta la bellezza e la difficoltà di fare spazio a qualcuno che da straniero mette in luce anche le nostre zone d’ombra, quelle che non conosciamo.
Solo accogliendo la luce possiamo vincere le tenebre. Serve un nuovo sogno condiviso di futuro, che già è in potenza nel nostro presente, ma che non riusciamo a liberare, avendolo costretto nei nostri sogni individuali. Che bello ascoltare i ragazzi al campo giovani e giovanissimi di Macondo. Le loro paure, ma anche tutte le loro speranze. Sogni imperfetti, perché solo dall’imperfezione si avvia il cammino verso il compimento. Servono tenerezza e cura, uno sguardo nuovo e contemplativo sulla vita e sul mondo.
Non contrapposizioni dottrinarie, ma ascolti fecondi e incroci di storie che dicono molto di più. Il sogno condiviso nasce solo se non soffocato sul nascere da tanta violenza che, prepotente, costringe ogni cosa a un bieco destino. Le donne di ogni latitudine, i bambini di Gaza chiusi come in una trappola per topi, i giovani iraniani, quelli che lottano per l’ambiente, quelli che stanno ai margini semplicemente perché al centro hanno messo la vita e gli altri, quelli che sorridono ancora e sanno fare gesti di gentilezza anche quando non sono visti, gli uomini che donano carezze alle loro donne, l’amore che sboccia anche nelle forme che non consideriamo normali, gli imprenditori che non hanno davanti a sé solo profitti ma conservano il gusto della gratuità e tanti altri segnali mi fanno intravedere quella primavera che forse tarda ad arrivare ma è già presente in questo inverno che viviamo.
Adriano Cifelli
componente la Segreteria Generale di Macondo,
prete, svolge il suo ministero a san Giuliano nel Sannio (CB), dove si confonde con il mondo nell’accoglienza dell’altro e nel dono di sé