Simulare il contesto e smarrire la rotta

di Realdi Giovanni

Il triplo del mondo
Sulla strada del ritorno da scuola ascolto un podcast di Radio Rai, firmato da Massimo Cerofolini.
Si intitola “Il doppio del mondo” e parla di come il software sia in grado di simulare ogni aspetto della realtà, da intere città replicate nel virtuale per razionalizzare lo spostamento di uomini e merci, alle carni e verdure sintetiche, sino al gemello del nostro corpo, realizzato per testare l’effetto dei farmaci o anticipare patologie.
Mentre cerco di non farmi fagocitare dall’ansia di non avere, né trasmettere, strumenti per orientarmi in questo avvenire, alzo gli occhi dai fanali rossi dell’auto davanti a me, per guardare lo sfondo.
Sto entrando in Prato della Valle e la basilica benedettina di Santa Giustina è trasformata dalle proiezioni luminose del videomapping cittadino natalizio.
Non solo decorazioni floreali eccentriche: qui c’è la replica della struttura colonnata che, immagino, potrebbe essere quella stabilita nel progetto originario e mai realizzata.
Questa simulazione mi emoziona non solo perché rompe la bruma serale della piazza: mi porta per un istante in un luogo diverso, in un tempo parallelo, nel quale le vicende della comunità monastica e della città attorno hanno un corso alternativo, sconosciuto.

Il telefono non mi ascolta
Dunque: seguendo una trasmissione web sulla simulazione osservo una simulazione.
Poiché non si tratta di un qualche banner pubblicitario, stavolta sono certo che questa coincidenza non dipenda dall’algoritmo che sceglie cosa farmi vedere sullo schermo.
Pura serendipità? Oppure la questione della simulazione è decisamente centrale, di questi tempi? Perché questa convinzione? Dal punto di vista materiale, ascoltare un podcast è come ascoltare la radio e tuttavia i contenuti, le tempistiche, persino la velocità di ascolto sono scelti da me come se si trattasse di un prodotto realizzato appositamente per le mie esigenze.
Non diversamente, accedo quotidianamente a contenuti di tipo visivo sulle piattaforme di streaming: forme di intrattenimento, a pagamento o meno, sono predisposte come se fossi IL cliente, IL fruitore principale.
Lo schermo TV, quello dello smartphone sono come dei buchi della serratura, attraverso i quali individuo un mondo e nello stesso il tempo il mondo mi coglie, nei miei desideri di individuo.
Non diversamente, la replica dell’architettura rinascimentale della chiesa è certo pubblica, ma costruita come se fosse un pezzo di realtà destinato proprio a me, al “mio” Natale.
Forse sta qui il punto: il mercato è in grado di replicare il mondo come se esso fosse a mia disposizione.
E allora, ecco l’origine della convinzione: scorgo l’analogia non tanto perché essa esista – come dire “oggettivamente” –, ma perché sono io il centro della mia esperienza.

Io lo so che non sono solo?
«Un cartello di sei metri dice / “È tutto intorno a te” / Ma ti guardi intorno e invece non c’è niente», cantava Lorenzo Cherubini nel 2007, in una dichiarazione d’amore per il fratello scomparso e per la vita.
La strofa faceva riferimento a una campagna pubblicitaria di una nota marca di telefonia, che foderava le nostre strade al tempo.
E al tempo mi sembrò una bella critica al modello di mondo che quella azienda rappresentava, un sottile moto di rivolta in uno stile colorato molto macondino, un canto non violento contro la china individualista del sistema del capitale.
Il medesimo che sorregge oggi la realizzazione dei Beach party.
«La tele dice che le strade son pericolose / Ma l’unico pericolo che sento veramente / È quello di non riuscire più a sentire niente / Il profumo dei fiori, l’odore della città / Il suono dei motorini, il sapore della pizza / Le lacrime di una mamma, le idee di uno studente»: non era l’apologia della “vita vera” contro la simulazione dei programmi televisivi?
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La logica del telecomando
Già: mentre parliamo di repliche fedeli di organi umani elaborate al computer e stampate in 3D, il televisore sembra un reperto archeologico – una cosa da boomer.
E tuttavia, in un certo senso, poter cambiar canale rimanendo in poltrona non è altro che la versione basilare dello stesso fenomeno: la disponibilità del mondo per la mia esperienza.
Guardare un film, come andare a una festa sulla spiaggia, o mangiare una pizza – si dirà – sono esperienze possibili.
Se tuttavia il “sapore della pizza” di Jovanotti passa anche, e prima, attraverso una foto della pizza per Instagram, allora non si tratta più di una mera esperienza possibile.
Se diventa necessario commentare sul social il fatto del giorno, la notizia di quel fatto non è solo una delle esperienze possibili.
La pizza e il fatto diventano occasioni perché la mia esperienza, quell’esperienza che sono io, perché mi costituisce, diventi pubblica, venga alla luce, trovi conferma.
Non ci sono grandi conseguenze, in questi casi.
Tuttavia se, come dice un sondaggio di Atlas mentre scrivo, un brasiliano su cinque rifiuta l’elezione di Lula, qualora l’“esperienza politica” di questo quinto della popolazione, che è una convinzione fondata su menzogne, tornasse a farsi pubblica – di massa e magari armata, le conseguenze sarebbero evidenti, probabilmente drammatiche.

Contesti e contestazioni
Parlare di conseguenze significa osservare il contesto.
Il gesto di sporcare con vernice lavabile il quadro del museo o il portone dell’edificio istituzionale, da parte degli attivisti di Ultima generazione, è un richiamo urlato al Contesto per eccellenza, la madre Terra.
Come accadeva nel progetto degli zapatisti del subcomandante Marcos per le popolazioni indigene del Messico, ora all’apparenza sopito, in questi atti il singolo deve scomparire per far posto al motivo della lotta: l’esperienza individuale lascia spazio al contesto, fa un passo indietro per mettersi al servizio e farsi portavoce di istanze non rinviabili.
A Capitol Hill o a Brasilia il fenomeno è opposto: individui tramutano la propria esperienza distorta in un contesto politico virtuale.
Anche se le modalità di protesta ricordano moti e rivoluzioni passate, nella contestazione contro Biden e Lula non esiste un contesto politico, o meglio esiste perché creato da zero, su Twitter per esempio.
Allo stesso modo, in un ambito diverso, l’invasione dell’Ucraina è un contesto virtuale ideato per la sopravvivenza dell’esperienza politica personale dell’individuo-Putin e del suo sistema di potere; sul fronte opposto, l’essere stati invasi è un contesto reale, nel quale il presidente ucraino sfrutta tutto, anche la costruzione della propria immagine pubblica (l’esperienza di un capo politico in guerra viene in mente in certo senso W. Churchill), per scongiurare la fine del suo popolo.
Infine, a un livello ancora diverso, guardiamo a noi, al piano cioè di chi abbia il compito di affrontare la complessità del mondo di oggi – è in fondo uno degli obiettivi fondamentali di Macondo.
Possiamo informarci e aprire situazioni di dibattito, con gli incontri on line, nella festa di maggio, nella redazione di madrugada: la fecondità del percorso starà nel conservare l’adesione a contesti reali, nel rinunciare a fare della propria esperienza il contesto da confermare.

Giovanni Realdi

insegnante di storia e filosofia, liceo scientifico statale “G. Galilei” Selvazzano Dentro (Padova), componente la redazione di madrugada.