Nostalgia e desiderio
Nostalgia: il dolore del ritorno
L’etimologia della parola nostalgia è particolare: ci riporta al greco antico e più precisamente all’unione di due parole: νόστος (nostos) = ritorno + άλγος (algos) = dolore, letteralmente nostalgia indica il dolore del ritorno, dolore per non poter tornare indietro nel tempo e/o nello spazio.
Questo termine era però sconosciuto al mondo greco, entra infatti nel vocabolario europeo nel XVII secolo, come neologismo, grazie alla tesi Dissertazione medica sulla nostalgia, discussa da uno studente di medicina alsaziano dell’Università di Basilea, Johannes Hofer, che per lungo tempo osservò e descrisse una particolare patologia di mercenari svizzeri al servizio del re di Francia Luigi XIV, costretti a stare a lungo lontani da casa.
Questa patologia era caratterizzata da sofferenze psicologiche, gravi disturbi del sonno, improvvise palpitazioni, una sorta di forma di demenza e poteva portare perfino alla morte.
Esistevano già termini che tentavano di esprimere questo concetto di dolore per la distanza da casa: il francese «mal du pays», il tedesco «Heimweh» (dolore per la casa), che però ha anche il suo contrario Fernweh, la nostalgia della lontananza, sentimento opposto che esprime la voglia di viaggiare, di prendere il largo, di lasciare tutto per esplorare il mondo.
Il giovane laureando, probabilmente convinto della scoperta di questa nuova patologia, decise di impreziosire il suo lavoro coniando una nuova parola super partes andando a riprendersi antiche radici greche.
Anche se la parola nostalgia non appartiene all’inventario lessicale del greco antico, ed è un moderno neologismo, l’esperienza della nostalgia, come desiderio malinconico nutrito nei confronti del passato o di luoghi o di persone lontane, come narrazione di una perdita, di un non ritorno, di un esilio, di un rimpianto, è certamente antica, da sempre spunto poetico, tema generativo che ha ispirato capolavori letterari, pittorici e musicali di tutti i tempi.
Il sentimento della nostalgia ha attraversato la letteratura di tutti i secoli accomunando Ulisse a Ungaretti: l’eroe antico che piange guardando il mare e pensando a Itaca, a casa e all’amata Penelope, che sceglie la “tela” tessuta da sua moglie alla promessa di immortalità della dea Calipso, e il poeta moderno, l’antieroe, impaurito soldato al fronte, impegnato a sopravvivere in battaglia, che scrive “Nostalgia”.
La nostalgia è un sentimento profondamente umano, dato dalla coscienza del tempo che passa e dal sapersi prefigurare, già nel presente, che un’esperienza, un incontro, una presenza, presto o tardi svanirà, diventerà assenza, potrà addirittura diventare perdita se non si sarà capaci di fissare quel momento, di assaporarlo con profonda consapevolezza di ciò che è, se non lo si pone nella mente e nel cuore con cura per farlo poi rivivere oltre il tempo e lo spazio.
Pensiamo al migrante che getta un ultimo sguardo ai volti della sua famiglia, alla sua casa, al suo paese per imprimere nella mente quello che fra poco non vedrà più, quello che sta abbandonando; o al commiato con una persona amata, l’ultimo gesto, l’ultimo bacio, nel tentativo di salvare nella mente attimi che, implacabilmente, il tempo farà scorrere via, farà affievolire assieme ai giorni che passano.
Ma pensiamo anche alla nostalgia che caratterizza le discontinuità dei passaggi fondamentali della nostra vita, le perdite interiori: quando crescendo abbandoniamo per sempre il bambino che siamo stati, età inconsapevole di gioco, curiosa, magica, o il primo grande viaggio e l’eccitamento provato dalla prima esperienza di libertà, dalla prima esplorazione, o la scoperta di un mondo inedito con il primo amore, le prime responsabilità del mondo adulto, i figli…
La nostalgia non ci lascia dimenticare, può essere, a volte, un dolce rifugio, arriva dopo il dolore acuto della perdita, è un luogo caldo, accogliente perché trattiene ancora tracce di felicità vissuta, del paradiso perduto.
Questo dolore di non poter più tornare indietro, è un dolce dolore che fa compagnia senza rimpianti, se l’esperienza, la persona o il luogo lasciato per sempre è stato vissuto con intensità e in pienezza, altrimenti è un pungolo che non dà pace e diventa rimorso.
È proprio vero quello che scrive Martin Heidegger: «La nostalgia è il dolore per la vicinanza del lontano».
Desiderio: l’origine dalle stelle
Parola speciale e affascinante, dall’etimo complesso e ancora molto discusso.
Sono diverse, infatti, le possibili interpretazioni: desiderio deriva dal latino, composto dalla preposizione de- e dal termine sidus che significa, letteralmente, stella.
Quello che è certo è che questa splendida parola lega il sentire degli umani alle stelle, il cammino e il senso che si cerca arrivano dall’alto, da lontano, dal cielo.
Ma tutto dipende da che significato si intende riconoscere alla preposizione “de” che, particolarmente versatile, sostiene diversi complementi: venendo dalle stelle (argomento), proprio delle stelle (materia), a motivo delle stelle (causa), dalle stelle (moto da luogo), delle stelle (partitivo)…
Due le interpretazioni più accreditate: chi dà alla preposizione “de” un’accezione negativa, privativa che fa sì che il significato letterale di desiderio sia “mancanza di stelle”, nel senso di “avvertire l’assenza delle stelle” e quindi, per estensione e reazione, far nascere un sentimento di ricerca appassionata, reagendo, appunto, alla percezione di una mancanza.
Il desiderio nasce così come spinta “desiderante” per rispondere a un vuoto di stelle, di mete, prospettive, opportunità, di amore.
La seconda interpretazione, che preferisco, è quella che considera il prefisso “de” con valore di origine o provenienza, ma anche di moto da luogo, e quindi la parola desiderio significa “proveniente dalle stelle”, che si origina dalle stelle, che mi arriva dalle stelle.
Dando così alla parola desiderio, non la dimensione generativa della mancanza ma quella quasi metafisica del cielo, anche se sappiamo che, nell’antichità, le stelle erano un’esperienza vicina, concreta, conosciuta e salvifica per i carovanieri che riuscivano ad attraversare il deserto scrutandole o per i marinai cui indicavano la rotta.
Il desiderio che mi arriva dalle stelle è diverso dal mio bisogno, più legato a una necessità da realizzare, un impedimento da superare.
Il desiderio fa volare, proviene da lontano, dagli spazi siderali, lancia sguardo e cuore verso un oltre, proprio come quando ci viene spontaneo esprimere un desiderio guardando le stelle.
Educare al desiderio le giovani generazioni è fondamentale, va esplorata assieme la forza straordinaria che il desiderio vero genera nell’animo umano, essenza superiore del sentire e del pensare che si anima al contatto con il cielo, magari per un breve attimo: il tempo di una stella cadente o di una cometa.
Nuovi rischi
Nostalgia e desiderio hanno tra loro una stretta connessione: entrambe rinviano “ad altro” in senso temporale e spaziale.
A un passato (la nostalgia) o a un futuro (il desiderio).
Se riusciamo a integrarle nella nostra coscienza in un tempo presente, a farle dialogare, sono degli straordinari motori all’agire, dei motivatori che informano il tempo presente arricchendolo di senso: ci ricordano le esperienze fatte e gli investimenti affettivi vissuti grazie ai quali “siamo”, ma nel contempo orientano le scelte presenti in una logica di desiderio futuro.
Sono parole della coscienza, continuamente tesa tra un passato ri-evocato, che non torna se non nel ricordo e un futuro che deve ancora pro-mettere.
Rimandano a uno “spazio altro” con il quale il presente continua a misurarsi per poter essere, per garantire coscienza e consapevolezza.
Ma oggi il tempo futuro sta progressivamente sostituendo relazioni ed esperienze fisiche e concrete con uno spazio/tempo virtuale e del metaverso.
C’è un nuovo rischio: di derogare alla relazione incarnata con una relazione dal falso sé, di mettere in campo al posto dell’io un avatar, al posto del nostro vero nome un nickname, soprannome assegnato non più a una persona ma a un utente in un ambito di discussione sulla rete, nella comunità virtuale.
Un nickname senza etimo, senza storia, senza identità, senza la memoria del nome scelto e dato dal padre e dalla madre.
La relazione inevitabilmente si impoverisce, rischia di orientarsi in senso narcisistico, con una distanza, sempre più inquietante, tra il sé reale e un sé virtuale.
Il pericolo è di abituarsi a una relazione più autoreferenziale, meno faticosa perché non ammette l’altro, contempla solo sé stessa, proprio come Narciso alla fonte.
Gioco pericoloso che ammalia gli adolescenti che contemplano il loro io ideale non alla fonte, ma online, o meglio onlife, non indagano e fanno esperienza vera e continua su quanto sia impegnativo fare i conti con l’io reale, che spesso vive in attrito con la vita, ma da questa non può scappare.
Le bisettrici spazio-temporali su cui si poggia la relazione incarnata vengono destituite e sostituite dal tempo della connessione, veloce, volitiva e spesso casuale, dai codici del virtuale e del metaverso.
La “relazione incarnata”, che si nutre di sapori e odori, di tocchi e visioni (fissati nella coscienza e parte integrante dell’esperienza nostalgica), ma anche di uno spazio e di un tempo della reciprocità, lascia spazio alla “relazione ologrammatica” che diventa tanto impalpabile dal punto di vista sensoriale, quanto dal punto di vista del contesto: chiusi in camera davanti al pc? distratti con un cellulare continuamente in mano? Uno spazio-tempo che può essere gestito a proprio piacimento, del quale non si deve rendere conto a nessuno, il tempo di un clic che apre o chiude il contatto, non la relazione, senza il vincolo ineludibile di una costante ridefinizione dell’esperienza della reciprocità, che deve tenere conto della reale presenza dell’altro e del mondo.
Questo presente, e ancora di più il prossimo futuro, sempre più virtuale, effimero, così poco incarnato, sarà così potente e generativo da suscitare poi ancora nostalgia in ognuno di noi? ricordo di qualsiasi “paradiso perduto” che ognuno porta dentro di sé? ci sarà dato di assaporare quella dolce tristezza di ciò che abbiamo gustato e che non torna più, se non nel ricordo? del profumo di una persona cara, dell’odore di una casa, dei colori di un paesaggio, dell’intensità di una relazione che ci ha s-velato? Non è che un simile futuro, che ci costringe a vivere in realtà sempre più disincarnate, virtuali, rischi di portarci via la possibilità di vivere in pienezza un sentimento così affascinante, necessario e importante qual è la nostalgia?
Monica Lazzaretto
presidente di Macondo, vive a Tramonte (Pd), lavora a Mira (Ve), come responsabile del centro studi della Cooperativa Olivotti