La storia dell’orso
Una vicenda tragica e una questione complessa
All’inizio del mese di aprile di quest’anno Andrea Papi, un giovane di Caldes, paese che si trova in Trentino, all’inizio della Val di Sole, è morto per l’aggressione di un’orsa. La notizia è assai nota. È rimbalzata in più sedi, è diventata un caso mediatico vero e proprio, e ha suscitato reazioni di vario genere: della comunità locale, stretta attorno alla famiglia del ragazzo e preoccupata per il potenziale ripetersi dell’accaduto, oltre che per gli avvistamenti sempre più frequenti degli orsi; dell’amministrazione competente ad adottare ogni opportuna misura, che ha subito ordinato la cattura e l’abbattimento dell’esemplare autore del fatto; delle associazioni ambientaliste e animaliste, che hanno reagito con pari immediatezza, organizzando proteste di vario genere e ricorrendo di fronte al giudice per cercare di bloccare la caccia all’animale; dell’opinione pubblica, che, come accade sempre più spesso, si è divisa in opposte, irrazionali tifoserie, a favore o contro gli orsi e/o le possibili decisioni delle istituzioni.
Anche le prime pronunce del Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento – che, pur sospendendo l’efficacia delle decisioni del presidente della provincia di Trento, hanno riconosciuto la sostanziale correttezza delle valutazioni amministrative fino a quel momento svolte – non hanno placato gli animi; anzi, sono state largamente travisate.
Tanto che si è innescata una reazione a catena, con nuovi ricorsi al giudice, dichiarazioni e manifestazioni di ogni tipo, polemiche disinformate, generaliste e approssimative (e quasi mai pertinenti) sull’interazione tra uomo e natura.
Il più delle volte, peraltro, il discorso pubblico ha ignorato fondamentali elementi di contesto (la crescente numerosità degli orsi in provincia di Trento; l’esistenza pregressa di una politica pubblica volta alla loro re-introduzione; il carattere fortemente antropizzato della montagna trentina etc.), preoccupandosi soltanto della ricerca di grandi colpevoli (la classe politica, gli orsi stessi – quasi fossero “uomini” e dunque “imputabili” di qualcosa – o addirittura le popolazioni più direttamente interessate, come se fossero “incoscienti” o “inconsapevoli” rispetto alle dinamiche del rapporto con tutto ciò che è selvatico).
Il fatto è che la tragica vicenda di Caldes ha fatto emergere una questione complessa, insuscettibile di essere trattata in maniera grossolana e capace, viceversa, di fungere da apripista per riflessioni e iniziative che, nel prossimo futuro, ci si troverà costretti a percorrere a più riprese. E la prima cosa da fare, dunque, è richiamare l’attenzione su alcune essenziali, ineludibili coordinate giuridiche.
Quali sono i principi che governano la materia?
La conservazione della fauna selvatica è oggetto di un’importante direttiva europea (cd. “direttiva Habitat”: 92/43/CEE). Gli orsi costituiscono una delle specie che vi sono contemplate come di interesse prioritario.
Se da un lato (art. 12) questa disciplina vieta catture o uccisioni deliberate di simili specie animali all’interno del loro contesto naturale, dall’altro (art. 16) ammette che gli Stati possano prevedere delle deroghe a questo divieto: a) a condizione che non vi sia “un’altra soluzione valida” e la deroga non pregiudichi il mantenimento delle “popolazioni della specie”; b) al fine di tutelare altri, molteplici interessi (tra i quali, ad esempio, figurano non solo la protezione stessa della fauna o della flora, e anche la prevenzione di “gravi danni” alle colture o all’allevamento o ai boschi o al patrimonio ittico o ad altre forme di proprietà; ma anche la “sanità”, la “sicurezza pubblica”, e pure altri motivi di rilevante interesse pubblico, come quelli “di natura sociale o economica”).
Il diritto italiano ha recepito integralmente questo assetto (v. il d.p.r. n. 357/1997) e dispone che l’amministrazione statale, oggi il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, possa intervenire per autorizzare in deroga (nel senso ora ricordato) catture o abbattimenti, sentito l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, che attualmente è riassorbito nell’ISPRA-Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale).
Anche la provincia di Trento – con una legge del 2018 (n. 9), dichiarata legittima dalla Corte costituzionale (sent. n. 215/2019) – ha regolato queste ipotesi, fissando una procedura che è in tutto e per tutto identica a quella statale: si prevede sempre, infatti, un previo parere di ISPRA, ma la competenza a decidere non è del ministro, bensì del presidente della provincia.
Nel compiere le valutazioni che loro spettano, le amministrazioni così coinvolte non agiscono in modo arbitrario.
Con particolare riguardo agli orsi, la circostanza che la rispettiva popolazione è cresciuta negli ultimi anni (anche per effetto di iniziative finalizzate al ri-popolamento: così è per il cd. Progetto Life Ursus in Trentino, avviato nel 1996 all’interno del Parco Naturale Adamello Brenta) ha portato tutti gli enti coinvolti ad adottare in modo concertato il Piano d’Azione interregionale per la conservazione dell’Orso bruno sulle Alpi centro-orientali (cd. PACOBACE; è del 2008 ed è stato modificato nel 2015). È questo piano che definisce con estremo dettaglio sia tutti i comportamenti che rendono un orso “problematico”, sia le azioni che di conseguenza si possono intraprendere (ivi compresi la captivazione e/o l’abbattimento).
Sicché, in presenza di situazioni delicate, si ha la compresenza necessaria di valutazioni differenti: quella più tecnica dell’organismo deputato a verificare che nei rispetti dell’azione da intraprendere non vi siano alternative e non si produca danno alla “specie”; e quella più politica degli organi di governo chiamati a prendere in esame l’incidenza di altri interessi (l’allevamento, le colture, l’economia, la salute e la sicurezza delle persone etc.).
Con l’effetto che se la prima contribuisce a vincolare la seconda, quest’ultima non è del tutto predeterminata, ma mantiene uno spazio di manovra e di responsabilità comunque ampio, che si deve esprimere in una scelta motivata, il più possibile pertinente e proporzionata, logica e ragionevole.
C’è anche dell’altro (e non è poco). Al cospetto di casi urgenti, altrimenti non fronteggiabili, residuano sempre e comunque anche i poteri di ordinanza contingibile di cui le autorità territoriali sono titolari a tutela dell’incolumità pubblica e che permettono interventi rapidissimi, al di fuori delle scansioni procedurali così indicate.
Alcune traiettorie paradigmatiche
Al di là di una serie di dettagli che rendono il quadro ancor più articolato – si potrebbe discutere, ad esempio, del ruolo esplicitamente dialogico, e di accompagnamento, che in ipotesi controverse tende ad assumere la funzione del giudice – ci si può avvedere facilmente che ci troviamo di fronte a un’ipotesi di quella che è, a tutti gli effetti, l’amministrazione del rischio. Un tipo di amministrazione, cioè, che dev’essere capace, in condizioni soggette a costanti e imprevedibili mutazioni, a mantenere in razionale equilibrio tutti i fattori oggetto di regolazione; prendendo in esame, quindi, gli ineludibili apporti della scienza, ma senza smettere mai di assumersi il ruolo di definire il problema.
È uno scenario al quale dobbiamo abituarci, e non solo perché il rapporto tra ciò che è umano e ciò che è selvatico è destinato a complicarsi sempre di più e a conoscere momenti di contatto inatteso, se non di reciproca, sistemica integrazione.
In questa prospettiva, la storia dell’orso non può – non deve – risolversi in ciò che questa espressione comunemente indica, ossia in una storia strana e stupefacente, confinata in un luogo lontano o poco accessibile. Ci riguarda molto. E ci riguarda per le traiettorie paradigmatiche che ci insegna a isolare. Innanzitutto, ammonendoci sul fatto che il ruolo dell’amministrazione è proprio quello di gestire fenomeni complessi come questo, e che, lungi dal restare attratti nelle semplificazioni della dialettica bianco-nero, chi ha funzioni di governo dispone di uno strumentario ricco e procedimentalizzato, a garanzia di tutti gli interessi potenzialmente rilevanti.
Ma la storia in questione ci dice anche altro. Ci dice che al cospetto di problemi che non hanno un confine specifico (e questi sono i problemi della montagna, del bosco, delle specie animali… sono tutti elementi che superano per definizione le delimitazioni delle competenze istituzionali più classiche) occorre cooperazione, condivisione di dati e metodi, e razionalizzazione. Ma anche che in questi frangenti specifici la valenza della relazione tradizionale tra politica e amministrazione è vocata ad amplificarsi secondo modalità innovative, nelle quali, non a caso, diventano via via più importanti anche le azioni di comunicazione pubblica, di informazione e formazione, di monitoraggio e presenza costanti. Anche perché, oggi più che mai, a tutela di determinati interessi è assai attiva anche la società civile organizzata, che funge da interlocutore e da stimolo onnipresente.