I miei compagni non mi valutano, sono veri amici
«Quando mi dicono cose belle sono felice, quando mi dicono cose brutte sono triste». Con queste parole Mia, 9 anni, riassume un pensiero che appartiene a molti bambini e bambine dell’Istituto Comprensivo “C. Govoni” di Ferrara, interpellati dalla maestra Renata Cavallari nelle sue ore di religione per una complicità ormai consolidata con la nostra rivista.
Sull’argomento si interrogano gli alunni di una quarta e due quinte e Mia condensa la posizione della maggior parte dei compagni. Il suo testo è semplice, ma non banale. Mette in evidenza il vissuto emotivo che conosciamo quando siamo oggetto di valutazione, una condizione che sin dalla scuola primaria – e ancor prima in famiglia – ognuno di noi sperimenta. La nostra felicità, dice Mia, dipende anche da quanto ci sentiamo “sufficienti”, cioè accettati e apprezzati dagli altri. Una valutazione negativa mette in discussione il nostro posto nel mondo. L’attesa del responso, secondo i compagni, fa sentire tristi, arrabbiati, giudicati e in ansia.
La valutazione però non è sempre ugualmente importante. Lo stesso giudizio assume un penso differente a seconda di chi lo esprime. Ad esempio scrive Asia, 10 anni: «La mia famiglia mi valuta molto bene e comunque questa non è una cosa brutta, mia madre è gentilissima. Le mie sorelle hanno molto da valutare, ma non mi interessa». Questa bambina ha un’esperienza serena del voto, che considera il giusto risultato del proprio impegno: «A scuola, se prendo un bel voto, comunque mi sono impegnata; se prendo un brutto voto vuol dire che non mi sono sforzata molto». Concorda Rachele: «La valutazione scolastica è un voto che dice come ti comporti».
Torniamo ad Asia. Il passaggio più denso è dedicato ai coetanei: «I miei compagni non mi valutano perché sono veri amici». Le fa eco Giulio, 9 anni: «Quando mi valutano le maestre mi sento felice. Quando mi valutano in famiglia mi sento normale. Quando con un sorriso mi valuta il mio migliore amico mi sento sorpreso».
Per alcuni bambini i giudici più severi sono i genitori. Michele, 9 anni: «Per me la valutazione è quando i genitori mi sgridano o si arrabbiano». Francesca, 10 anni: «Quando qualcuno mi dice che sono brava sono molto contenta, ma quando mia madre dice che non riesco a fare niente è una cosa brutta». Sentirsi dire «non riesci a far niente» è per lei una sorta di condanna senza appello, una generalizzazione che le toglie speranza. Proprio il contrario di quello che gli stessi bambini si aspettano dalla valutazione.
Diversi alunni la considerano un orientamento per migliorare. Per Beatrice, 10 anni, ricevere un feedback è importante, indipendentemente dal fatto che sia positivo o negativo.
«Quando mi valutano mi sento felice, perché capisco che posso fare meglio quello che so fare». Antonia preferisce i complimenti ma non è tipo da perdersi d’animo: «Quando mi dicono che sono brava sono felice, contenta e fiera di me; quando mi dicono che non sono brava penso a cosa potrei fare per migliorare».
Diversi bambini vorrebbero che il voto non si basasse sul risultato ma sull’impegno. «Se prendo 6 a scuola e i miei genitori si arrabbiano, io penso che se mi sono impegnata è come un 10», protesta Carola. «Quando mi valutano mi sento sottovalutato – scrive Omar – perché mi dicono sempre che potevo fare di meglio, ma io mi sono impegnato al massimo per fare ciò che potevo». Carola e Omar non lo sanno, ma fior di studiosi si domandano quanto la valutazione debba rispondere a requisiti di oggettività – che assicurano trasparenza e riduzione del conflitto con alunni e famiglie – o debba tenere in considerazione il punto di partenza di ciascuno e la sua evoluzione nel tempo.
Su questi temi interviene anche Artur, 10 anni, introducendo un argomento in più: «Se m’incoraggiano o mi dicono che sono bravo mi sento felice e penso che le persone che me lo dicono mi vogliono bene. Se mi dicono che potevo fare di più mi sento arrabbiato perché io faccio sempre il massimo». Ciò che lo fa stare bene non è il complimento punto e basta, anche una correzione incoraggiante funziona perché denota affetto e attenzione; la valutazione può fargli presente che deve ancora migliorare, ma non dovrebbe farlo sentire svilito. In questo senso Matilde apprezza l’atteggiamento dei genitori: «Le maestre mi possono valutare con le verifiche, invece a casa non mi valutano ma mi dicono di impegnarmi al massimo per non prendere un brutto voto».
Per altri bambini la valutazione è più o meno rilevante a seconda dell’oggetto a cui si rivolge. Per Raffaele, ad esempio, la scuola è molto importante, molto più dell’aspetto esteriore: «Quando a scuola prendo 10 sono veramente euforico, mentre quando prendo 5 sono veramente triste; quando mi dicono che sono brutto li ignoro». Anche Leo contrappone la scuola al privato – in questo caso le relazioni familiari – e valuta sé stesso in modo differente secondo i casi: «A scuola vado abbastanza bene, invece a casa non vado molto bene perché faccio un po’ arrabbiare». Danilo si esprime in modo simile: «Quando mi valutano a scuola mi sento orgoglioso, felice di quello che ho fatto perché sono sempre molto bravo. Invece a casa potrei andare meglio: da un po’, un po’ molto, dò fastidio a mia sorella, ma sono migliorato e voglio migliorare ancora di più!».
Ma che cos’è, poi, la valutazione? Sempre secondo Danilo «è un’azione che indica se possiamo migliorarci, impegnarci di più, o se siamo già abbastanza bravi e dobbiamo continuare così». Federica invece prende le distanze dall’idea stessa che qualcuno al di fuori di noi debba o possa intervenire per misurarci. A suo modo di vedere, la verifica più importante si svolge nel rapporto con sé stessi; il voto che altri possono darci non aggiunge niente e forse non dovrebbe neppure esistere: «Per me la valutazione, anche quella scolastica o sportiva, non serve a niente, perché siamo noi che dobbiamo essere fieri e non dobbiamo essere condizionati da una valutazione altrui. Soprattutto con i voti scolastici, non dobbiamo condizionarci per un numero ma dobbiamo essere noi fieri di quello che abbiamo fatto. Oppure, se non lo siamo, dobbiamo comunque essere consapevoli del nostro sbaglio, quindi le valutazioni sono completamente inutili!».
Camilla fa a pugni con la valutazione, ma solo quando riguarda la persona nella sua interezza. Rivendica il diritto di essere sé stessa senza essere sottoposta a giudizio: «La valutazione a scuola può essere positiva perché aiuta a capire i propri errori, mentre sono un po’ contraria alla valutazione umana, perché mi fa sentire giudicata.
Vorrei essere apprezzata sia per i miei pregi sia per i miei difetti, qualunque essi siano».
Andrea, 9 anni, parla di valutazione e quasi inconsapevolmente la applica a sé stesso in modo poco generoso. Dispiace sentirlo concludere con una frase che getta un’ipoteca sul suo successivo rapporto con la scrittura e sulla sua autostima: «Non so più di cosa parlare. Io parlo tanto con la bocca ma scrivendo non sono un granché».
P.S. tutti i nomi dei bambini e delle bambine sono di fantasia.
Elena Buccoliero
sociologa, componente la redazione di madrugada, (con la collaborazione dell’insegnante Renata Cavallari e degli alunni della scuola primaria dell’Istituto Comprensivo “C. Govoni” di Ferrara)
Elena Buccoliero
sociologa, componente la redazione di madrugada, (con la collaborazione dell’insegnante Renata Cavallari e degli alunni della scuola primaria dell’Istituto Comprensivo “C. Govoni” di Ferrara)