I bambini tornino a salire sugli alberi
Rischio climatico, rischio sanitario e piantumazione di alberi in Italia
«Sugli alberi noi trascorrevamo ore ed ore…
per il piacere di… arrivare più in alto che si poteva,
e trovare bei posti a guardare il mondo laggiù,
e fare scherzi e voci a chi passava sotto».
(Italo Calvino, Il barone rampante)
Oggi nel mondo ci sono circa 400 miliardi di alberi che consentono alla specie umana di vivere.
Se ne piantumassimo mille miliardi, il rischio climatico sarebbe annullato. È possibile? Sì, anche perché il costo è minimo e lo spazio esiste.
Per l’Italia sarebbe necessario piantumare due miliardi di alberi. Sembra un’enormità, ma se solo utilizzassimo le terre abbandonate dall’agricoltura dagli anni novanta a oggi, potremmo mettere a dimora fino a sei miliardi di alberi. Il costo è minimo (20-40 miliardi? Il 10% del PNRR) e, in ogni caso, qualunque sia la cifra, sarebbe comunque una frazione irrilevante rispetto ai danni che subiremo. La pandemia, nei confronti della quale si è agito con “stati di eccezione” e misure senza precedenti, è stata drammatica ma contingente. Non si vede quindi perché non assumere misure altrettanto drastiche nei confronti di una minaccia di gran lunga maggiore.
Paradossi di specie
Il riscaldamento globale dipende dall’anidride carbonica e si affronta in due maniere: da una parte non se ne deve produrre più (e questo lo sappiamo); dall’altro l’anidride carbonica già presente nell’atmosfera può essere sottratta attraverso le piante. Se piantassimo un numero sufficiente di alberi, potremmo riportare indietro l’anidride carbonica non a livello preindustriale, ma comunque ridurre di due terzi il surplus rispetto al periodo preindustriale.
Oggi le terre non abitabili perché fa troppo caldo sono lo 0,8% (essenzialmente il deserto del Sahara), ma nel 2070 il 19% delle terre emerse del pianeta (su cui oggi abitano due miliardi di persone) non sarà più abitabile per limiti termici (tra cui tutta l’ampia zona attorno all’equatore).
Non esiste una specie stupida come la nostra che in un tempo così breve è riuscita a distruggere l’ambiente da cui dipende la sua sopravvivenza.
Noi siamo qui da trecentomila anni, un niente se consideriamo che la vita media di una specie su questo pianeta è di cinque milioni di anni.
Tra esseri umani e animali insieme siamo lo 0,3% della biomassa; i funghi sono l’1,2%, poi ci sono i microrganismi e infine le piante, che rappresentano l’85% della biomassa. Questi numeri sono la rappresentazione quantitativa della capacità di risolvere problemi da parte degli esseri viventi, dato che dovrebbe far riflettere la specie umana e la sua presunta superiorità su ogni altro essere.
Non si risolve un problema di questa portata con soluzioni piccole e l’idea che ciascuno di noi, con il cambiamento dal basso, lo possa fare, non è realistica. Non c’è tempo sufficiente per aspettare che i cambiamenti individuali, seppur indispensabili, abbiano influenza. Il nostro pianeta si è surriscaldato di un grado e mezzo rispetto al secolo scorso e prima della fine di questo secolo, se non facciamo nulla, la temperatura aumenterà di una cifra che nei modelli più ottimistici sarà di 3 gradi in più. Pensiamo al nostro corpo, a cosa accade quando da 36,5 gradi passa a 39,5.
Questo esempio è molto vicino a quello che sta accadendo al nostro pianeta: tre gradi di differenza sono un’enormità.
Azioni possibili
Ogni comune italiano dovrebbe nominare un assessore (senza portafoglio) all’albero, con il compito di portare avanti localmente tutte quelle iniziative che contrastano l’abbattimento di alberi spesso pretestuoso (per “sicurezza”, perché costa meno abbattere che potare), che eviti il capitozzamento, che dia consigli ai privati sulle essenze da piantare…
Il Paese che è più avanzato nella forestazione è il Pakistan. Imran Khan, primo ministro eletto nel 2018 (di origini pashtun, con studi all’Aitchison College di Lahore e poi alla Royal Grammar School di Worcester, nel Regno Unito), è stato destituito nel 2022 per un golpe delle famiglie corrotte che prima governavano (appoggiate probabilmente dall’estero). Khan aveva deciso di piantumare due miliardi di alberi e, dopo i successi del progetto, l’obiettivo era salito a dieci miliardi. Erano stati messi a punto sistemi innovativi che consentivano di piantumare in zone aride o montuose, lanciando semi dagli elicotteri con un successo dell’85%, in quanto anche molte zone aride hanno comunque un minimo tasso di humus.
Riportare gli alberi in città
Secondo i dati raccolti dal satellite Copernicus ed elaborati dallo European Data Journalists Network, le città si stanno scaldando molto più velocemente del resto del pianeta. Rispetto agli anni sessanta, la temperatura di Roma è salita di 3,7 gradi, quella di Milano di 3,3, quella di Bari di 3,1. Edificazione intensiva, trasporti e impianti di climatizzazione le stanno trasformando in “isole di calore” dove le ondate di calura estiva, sempre più intense a causa del cambiamento climatico, uccidono migliaia di persone ogni anno, soprattutto tra gli anziani più fragili. Uno studio della rivista medica Lancet suggerisce che mitigare le conseguenze delle isole di calore non è impossibile: basterebbe riportare gli alberi in città. Realizzato da un’équipe di ricercatori di Spagna, Italia e Regno Unito, lo studio riguarda 93 grandi città europee con una popolazione di 58 milioni di abitanti dove, nell’anno 2015 (preso a riferimento), la mortalità dovuta all’alta temperatura estiva è stata stimata in 6.700 decessi. Analizzando il rapporto tra mortalità e temperatura e quello tra temperatura e superficie alberata, i ricercatori hanno stabilito che se le fronde coprissero il 30% della superficie cittadina – in luogo dell’attuale 15% – la temperatura delle città scenderebbe di 0,4 gradi. Il 40% dei decessi dovuti al calore sarebbero evitati, e questa sarebbe solo una delle conseguenze positive di vivere in città meno torride.
Lo studio quantifica in modo specifico il beneficio concreto di un intervento da parte delle autorità cittadine per riportare il verde in città. È sempre più urgente, perché l’Europa sta vivendo fluttuazioni di temperatura più estreme di un tempo a causa del cambiamento climatico, anche se oggi è il freddo a causare più vittime in Europa.
Uno degli obiettivi del Pnrr prevede la piantumazione di 6,6 milioni di alberi e la creazione di 6.600 ettari di “foresta urbana”, seppure solo nelle 14 città metropolitane italiane (lo 0,14% della superficie totale). Sulla carta, le città si stanno muovendo. Alla fine del 2022 è stata assegnata la prima tranche di finanziamento, che servirà a piantumare i primi 1,6 milioni di alberi pianificati dalle città. Una di queste è Roma, con un milione di alberi. Molte città hanno lanciato progetti di piantumazione, anche se spesso inadeguati e poco monitorati. Sarebbe invece bene che ci fossero obiettivi espliciti e controllati dai cittadini in ogni comune, perché spesso si lanciano progetti che poi non si realizzano e si lasciano morire gli alberi per mancanza di irrigazione.
Alberi e bambini
I bambini di oggi hanno meno muscoli perché giocano meno all’aperto e si arrampicano meno sugli alberi. Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Acta Pediatrica dimostra come in soli dieci anni la forza di mani e braccia dei bambini si sia ridotta del 25%. Lo studio mette a confronto dati del 1998 con quelli di bambini del 2008. «Ecco cosa succede ai bambini quando smettono di arrampicarsi sugli alberi, sulle funi e di giocare all’aperto», afferma Gavin Sandercock, cadiologo dell’università britannica dell’Essex, che ha condotto questi studi su bambini di 10 anni equamente divisi tra maschi e femmine. Il ricercatore avverte che «il calo della forza muscolare dei nostri bimbi è davvero impressionante; tutte le doti necessarie ad arrampicarsi sugli alberi stanno svanendo nei bambini di città. La colpa non è solo dell’obesità: anche un bambino della stessa massa corporea, peso e altezza di 10 anni fa risulta avere una massa muscolare inferiore a vantaggio di una massa grassa superiore. Gli effetti da adulti saranno metabolismo svantaggiato e salute compromessa per schiena e ossa».
Indici di salute infantile
Su questi dati sono concordi medici ed esperti.
Rapiti da computer, tv, videogiochi, i bambini spendono meno tempo muovendosi. Ma si punta anche il dito contro gli standard di sicurezza troppo rigidi delle scuole, che vietano qualunque attività lontanamente rischiosa anche perché il 50% dei genitori vieta al figlio di arrampicarsi sugli alberi per paura che si faccia male, il 17% addirittura vieta ai bimbi di giocare a inseguirsi. I genitori di oggi sono più apprensivi e il risultato è che ci sono sì meno incidenti (-41%, dati rilevati dai Pronto soccorso) di bambini che si sono fatti male cadendo dagli alberi, ma sono cresciuti tutti gli altri tipi di incidenti per bambini caduti dal letto e che si sono fatti male in casa. Stare meno all’aperto significa anche più intolleranze e malattie da sedentarietà, tra cui l’obesità, in fortissima crescita tra i bambini e che sarà ancora maggiore quando saranno adulti, senza considerare i rischi (ben maggiori) di bambini che, una volta cresciuti e diventati adolescenti, cercheranno di crearsi da soli quei “riti di passaggio” dall’infanzia all’età adulta che ci sono sempre stati nelle società del passato, basati su prove di coraggio, dimostrazione di autonomia… e che oggi si traducono in velocità in auto, bullismo, uso di droga e alcolici (bevono molto il 20% dei maschi e il 17% delle femmine sotto i 18 anni) e l’alcol è la causa di morte maggiore nei nostri giovani sotto i 24 anni.
Per questo, cari genitori, fate salire sugli alberi i vostri bambini. Non è una buona idea avere giochi sempre iperprotetti, un minimo “rischio” fa bene. O vogliamo farli crescere sotto una campana di vetro?