Gibuti

di Alfier Cecilia

Alla ricerca di una nuova indipendenza
Gibuti è un piccolo Stato dell’Africa Settentrionale (23.000 kmq., un fazzoletto di terra grande all’incirca come la Toscana), posto sul finire della costa sul Mar Rosso. Ma è importante: potrebbe essere il nucleo pulsante di un collegamento fra Africa e Cina. Lì, infatti, si trova la prima base militare cinese all’estero: Pechino ha investito 15 miliardi sul porto di Doraleh e detiene l’82% del debito estero di Gibuti. Mentre gli americani, stando ai dati di tre anni fa, sono presenti a Gibuti con il comando Africom. Lievemente minore la presenza delle truppe europee, rappresentate in maggioranza dai francesi (i colonizzatori fino al 1977), poi tedeschi e spagnoli (dal libro Mal d’Africa di Angelo Ferrari e Raffaele Masto, 2020). Nel 2011 anche i giapponesi vi hanno aperto una base. Questo affollamento militare (settemila unità stimate in totale) non ha precedenti nella storia africana e il Corno d’Africa, la cui posizione all’ingresso del Mar Rosso è un’arma a doppio taglio: si sta trasformando nel teatro di una nuova Guerra Fredda. Anche la Russia, infatti, si sta concentrando molto sul “controllo” dell’Africa, come fosse una nuova forma di colonialismo. A differenza di Pechino, Mosca non può offrire beni di consumo, tutto ciò che può immettere nel mercato africano sono armi e lo sta facendo a volontà. Mentre gli Stati Uniti considerano Gibuti un importante punto africano di lotta al terrorismo dell’ISIS, in virtù della sua posizione di neutralità nella regione del Corno d’Africa.

Pericoli e opportunità nel rapporto con la Cina
Attualmente Gibuti sta continuando una politica di investimenti con la Cina, da cui non può economicamente staccarsi, a causa dell’enorme debito cui accennavo prima. Quindi, all’inizio di questo 2023 il presidente Ismaïl Omar Guelleh ha rivelato su Twitter un progetto per costruire una base di lancio spaziale, in collaborazione con la società cinese Hong Kong Aerospace Technology. Come poteva la Cina farsi sfuggire l’opportunità di entrare nel settore spaziale, che in Africa è fortemente in crescita? Il mondo è stato colto di sorpresa da questo imminente investimento da un miliardo di dollari. Da realizzarsi in cinque anni, la base sarebbe il solo sito di lancio in Africa. La grande potenza asiatica e il piccolo (ma altrettanto problematico) Gibuti stanno stringendo sempre più le maglie della loro alleanza internazionale, pur trattandosi di un rapporto di potere squilibrato. Sempre più giovani a Gibuti si stanno rendendo conto dell’importanza del rapporto fra i due Paesi. Stando ad “Africa – la rivista del continente vero”, l’Istituto Confucio, specializzato nell’apprendimento della lingua e della cultura cinese, inaugurato da pochi mesi, lo scorso aprile contava già 600 alunni. La cooperazione internazionale è un bene, l’associazione fra Stati non proprio democratici è un altro conto. Poi nella popolazione è diffuso il timore di default a causa dei debiti con il governo cinese o anche a istituzioni di proprietà cinese. Senza contare che Pechino ha finanziato l’oleodotto verso l’Etiopia. La siccità, l’inflazione, l’effetto della pandemia da Covid-19, oltre all’invasione russa in Ucraina, hanno avuto pesanti ripercussioni sulle finanze già fragili di Gibuti, che ha momentaneamente smesso di pagare le rate del debito. L’unica salvezza è rimanere importanti per la Cina.

Le elezioni, la guerra civile, i gruppi etnici
Ismaïl Omar Guelleh è presidente dal 1999, quando è succeduto allo zio; è anche a capo del Raggruppamento Popolare per il Progresso, che era l’unico partito legale a Gibuti prima del referendum sul multipartitismo del 1992. Viene legittimamente da chiedersi se il multipartitismo sia reale o sia rimasto sulla carta.
Infatti, nel 2021 i sostenitori del presidente hanno preso il 97% dei voti, con molti partiti d’opposizione che non hanno neanche presentato candidati, in protesta contro le decisioni dittatoriali del presidente e dei suoi uomini. Non è andata molto meglio per la democrazia nemmeno alle ultime elezioni, lo scorso febbraio, quando il presidente è stato riconfermato con oltre il 90% dei voti (89% nella capitale, Gibuti-città).
Sebbene vi sia ormai quasi un milione di abitanti nel Paese, con molte città sedentarie, rimane ancora un retaggio nomade nelle abitudini della popolazione, di etnia Issa per il 60% (prevalentemente a sud) e Afar per il 35% (nel nord), mentre il restante gruppo è costituito da europei e arabi. Dopo il referendum del 1992, gli Afar pretesero, non senza ragione, di essere inclusi nella maggioranza di governo. E questo portò a una guerra civile che si concluse due anni dopo, quando le richieste degli Afar vennero accolte. Ora dal punto di vista della guerra civile tutto sembra più tranquillo, pur non essendosi risolti i conflitti etnici. Sia Issa che Afar, in particolare i maschi, fanno uso di una droga leggera da masticare, detta chat. Molti dei consumatori sembrano non aspettare altro che la fine della giornata per andare a fumare nei loro covi, i mabraz, mentre le donne sono escluse da questo “rito” ed esprimono i momenti di gioia con la danza, considerata una delle più grandi forme d’arte di Gibuti.

Cecilia Alfier

laureata in scienze storiche, aspirante giornalista, giocatrice di scacchi da 18 anni e di bocce paralimpiche da 4, vive a Settimo Torinese (To)