Come stare nelle cose del mondo
Parmenide ed Eraclito
Interpelliamo, a mo’ di gioco e per un confronto cosmico tra ere diverse, convocandoli qui e ora, due pensatori antichi considerati dalla fretta didattica l’uno opposto dell’altro, Parmenide ed Eraclito. Teorico dell’essere il primo, del divenire il secondo, sembrerebbero destinati a una disputa infinita nei prati celesti.
Eraclito, in un frammento, afferma: «per i desti uno e unico è il mondo, mentre coloro che rimangono a dormire si avviano ciascuno verso un proprio mondo». Parmenide dal canto suo: «l’essere è, il nulla non è: queste cose ti esorto a considerare. /E dunque da questa prima via di ricerca ti tengo lontano,/ma, poi, anche da quella su cui i mortali che nulla sanno/vanno errando, uomini a due teste: infatti è l’incertezza/che nei loro petti guida una dissennata mente».
Il primo elemento straniante, per noi figlie e figli di Galilei, è che linguaggio poetico e linguaggio filosofico, logos e mithos, sono per questi due padri tremendissimi mescolati. Se la lezione di Popper suggerisce che scienza si dà dove la lingua con cui il ricercatore propone le sue tesi non ospiti dati non sperimentabili, riproducibili e verificabili, cioè dove egli o ella metta a disposizione della comunità scientifica tutti gli strumenti per falsificare la propria proposta, allora termini come “desti”, “dormienti”, “uomini a due teste” non rientrano in una proposta che possa essere detta scientifica.
Si dirà, in effetti, che gli antichi non facevano scienza, nel senso di “scienza sperimentale”. E che facevano, allora? Quando Anassimandro – come ci insegna Carlo Rovelli nel saggio a lui dedicato – propone la sua visione cosmologica (la Terra è un disco che sta sospeso), certo potrebbe farci sorridere al pensiero di quella pizza volante. Eppure, argomentando una tesi lontana dall’esperienza sensibile e separata da qualsiasi concezione precedente, non solo si avvicina alla modernità, ma mette in opera una delle caratteristiche radicali della scienza, l’audacia di spiegare il mondo diversamente da quanto ci appaia. In questo senso, Galilei è scienziato non solo per i suoi risultati, quelli pienamente valorizzati da Newton, ma per il fatto stesso di metter l’occhio nel cannocchiale, cioè di cercare qualcosa là dove nessuno pensava di poter trovare nulla di nuovo.
Praticare il dubbio
I due sapienti convocati in apertura ci osservano sornioni. Non hanno brillanti soluzioni cosmologiche da darci (almeno nei testi qui riportati), eppure descrivono esattamente l’atteggiamento appena osservato. I dormienti di Eraclito sono coloro che, come noi nel sonno e nei sogni, finiamo con lo scambiare la nostra privata realtà con LA realtà. Quante volte, al risveglio, ci par d’aver davvero parlato con quella persona apparsa in sogno? E, con un meccanismo simile, quanto spesso, dopo la lettura di un bel romanzo o la visione di un film o serie TV, ci par quasi di conoscere il o la protagonista? La stessa stoffa dei sogni e della fiction permea la nostra esistenza. Per lo più viviamo nel mondo come esso ci appare, nell’opinione. Possiamo evitarlo? No.
Possiamo prenderne atto, cioè coglierne l’essenza: la diversità del punto di vista non è un compitino per educate persone civili, è proprio la struttura del nostro pensiero. Praticare il dubbio non è uno sforzo verso l’esterno, prima di tutto, ma un esercizio interiore. Il desto non è colui che “sa tutto”, ma che si ricorda che potrebbe essere addormentato.
Parmenide, di suo, complica le cose, ma suggerisce un passo ulteriore. Saremo “uomini a due teste” se avremo la sventura di scordare che “il nulla non è”. Facile, si dirà: se non è, nemmeno possiamo caderci dentro; possiamo rilassarci nell’ingenua consapevolezza che c’è solo l’essere. Ma cosa accade quando, pieni di giustificata ira, “non vediamo ragioni”? O, in preda all’ansia, facciamo “scomparire” dalla nostra vista quel particolare essenziale, sia esso il “meno” in un compito di matematica o le chiavi, rimaste nella toppa dell’uscio? Quel che accade è che una parte di noi pensa e agisce come se il nulla sia presente, cioè nascondendo a noi stessi qualcosa.
L’opinione non va evitata, in nome del trionfo della verità scientifica. Piuttosto va custodita, perché se non ci informa su come stanno le cose, dice tantissimo su come stiamo noi nelle cose, nel mondo.
Dice dei nostri bisogni irrisolti e delle nostre ubbie, delle paure sotterranee e dei desideri nei cassetti. L’opinione è perlustrata quotidianamente dagli scientificissimi algoritmi di profilazione ogni qualvolta muoviamo un pollice o un mouse. TikTok potrebbe conoscerci meglio di nostra madre. L’opinione è corteggiata dal politicastro di turno, che rispecchia quel che pensiamo di volere. Dunque, per esplorare le nostre opinioni e non subirle, c’è bisogno della libertà filosofica che ha generato la scienza: uno spirito abbastanza ampio da ospitare sempre alternative. Come direbbe Alessandro Bergonzoni, dovremmo «far voto di vastità».
Giovanni Realdi insegnante di storia e filosofia, liceo scientifico statale “G. Galilei” Selvazzano Dentro (Padova), componente la redazione di madrugada