A chi appartiene la bellezza?
Un incontro straordinario
A Monterchi, vicino ad Arezzo, ma a pochi passi dal confine umbro e a una manciata di chilometri da Città di Castello, chi volesse fare una sosta avrebbe la possibilità di avvertire una presenza particolare, la Madonna del Parto di Piero della Francesca. Si tratta di uno degli affreschi più celebri del Rinascimento, databile attorno alla metà del Quattrocento, e vale davvero la fermata.
Lo aveva capito anche Piero Calamandrei, il grande giurista, noto come autorevole studioso del processo civile, celebre avvocato, membro di spicco del Partito d’Azione, padre costituente.
Egli ricorda di aver rivolto spesso il proprio animo alla preziosa opera di Monterchi e di averlo fatto nelle fasi più acute della guerra e dell’occupazione nazifascista. Lo rammenta, in particolare, nel discorso di riapertura dell’Università di Firenze, pronunciato, da Rettore, il 15 settembre 1944: «Non è passato un giorno che io non abbia pensato, come pensavo ai miei parenti e ai miei amici in pericolo, a quel quadro abbandonato ai tedeschi».
Del forte, straordinario impatto che l’affresco di Piero ha avuto sulla sua sensibilità, Calamandrei scrive anche in un articolo pubblicato nel 1954 nella rivista che ha fondato e diretto a lungo, Il Ponte (e oggi riproposto in un raffinato libretto, Incontro con Piero della Francesca, pubblicato dalle Edizioni Henry Beyle). Calamandrei era giunto a Monterchi durante una delle scampagnate con cui, tra il 1935 e il 1941, aveva girato assieme ad alcuni amici tra i borghi della Toscana e del centro Italia, scattando personalmente diverse foto.
In quell’articolo, peraltro, si narra di una storia quasi comica, eppure molto interessante.
Nell’estate del 1944 alcuni storici dell’arte erano arrivati a Monterchi da Firenze, per esaminare l’affresco e valutarne le modalità di conservazione, al fine di metterlo in sicurezza. Dapprima assecondati, in un secondo momento sono stati aggrediti dalla popolazione locale, che temeva che fossero tedeschi travestiti, giunti sul posto per sottrarre la Madonna alla sua comunità, che ne aveva sempre fatto oggetto di una spontanea devozione. Convinti che la Madonna fosse in pericolo, i locali hanno addirittura gridato all’insurrezione contro gli sconosciuti. Soltanto l’intervento dei carabinieri ha permesso che i due studiosi potessero rientrare a Firenze in sicurezza.
Ebbene, il mistero di tanto attaccamento è spiegato, da Calamandrei, con l’energia empatica dell’opera d’arte. Giacché gli abitanti di Monterchi si sono sempre specchiati in quella figura di donna, «una donna del contado, sorella di tutte le donne del contado, che quando sono incinte non hanno da mettersi nuove vesti più larghe, e quando il giorno s’approssima, si trovano a doverle lasciare slacciate così».
Sapevano, i monterchiesi, che, se avessero perso quell’immagine, anche una parte di loro stessi se ne sarebbe andata.
Una storia che si ripete
La vicenda merita qualche osservazione, perché chiama in gioco il tema delicatissimo del bene culturale e del suo regime giuridico, visto nel rapporto che esso deve necessariamente avere con i suoi fruitori, con quella «Nazione» il cui «patrimonio storico e artistico», assieme al «paesaggio», dev’essere tutelato dalla Repubblica, così come recita l’art. 9, comma 2, della Costituzione.
Che non si tratti di un rapporto semplice è testimoniato dalla circostanza che i fatti raccontati da Calamandrei si sono sostanzialmente ripetuti, trovandosi a lungo opposti, in una complessa e combattuta avventura giudiziaria, il Comune di Monterchi e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (ora Ministero della Cultura). Questa volta i tedeschi c’entrano poco.
Giova sottolineare che, già nel 1944, l’affresco di Piero della Francesca non si trovava più nel luogo in cui era stato originariamente concepito e dipinto. Dapprima, alla fine del Settecento, l’opera era stata riadattata al nuovo complesso di culto che era stato costruito in occasione della realizzazione del cimitero. Quindi, nel 1911, è stata staccata e restaurata, ed è ritornata alla Chiesa di Momentana nel 1922, dove l’ha vista Calamandrei e dove è rimasta fino al 1992, anno in cui l’affresco è stato nuovamente staccato per consentire il restauro dell’altare, in cui si trovava inserito.
Da quel momento in poi, la Madonna del Parto è stata oggetto di rivendicazioni di vario genere: il Comune di Monterchi, infatti, aveva colto l’occasione del restauro per collocare l’affresco in un altro complesso, realizzare una mostra e renderlo in generale più fruibile anche dai turisti (questa è tuttora la situazione); l’amministrazione per i beni culturali, invece, aveva insistito per un progetto di ricollocazione dell’opera nella chiesa di Momentana; la locale diocesi, da parte sua, aveva pure avanzato pretese sulla proprietà del bene – affermata, del resto, anche dal Comune – insistendo anch’essa per la ricollocazione, ma arrestandosi allorché, nel 2002 si era mobilitato (non c’è di che sorprendersi, stando alla storia riferita da Calamandrei) un comitato di cittadini, denominato La Madonna dei monterchiesi.
Nel 2022, a ogni modo, al termine di una serie di contenziosi tra loro intrecciati, il Consiglio di Stato ha accolto le tesi del Ministero della Cultura: ha ricordato (correttamente) che il tema proprietario è indifferente; che sono in gioco i poteri amministrativi posti a tutela del bene, dunque valutazioni tecniche sul cui contenuto il giudice nulla può dire, se non in casi di irragionevolezza o illogicità; che bene ha fatto l’amministrazione titolare di quei poteri a intervenire, per garantire la conservazione e la valorizzazione del dipinto, concetti che di per sé non coincidono con il suo sfruttamento in direzione economico-commerciale; che, comunque, il Ministero ha accertato «il forte legame dell’affresco con il sito di Momentana, legato al culto delle acque e alla devozione della Vergine preesistenti all’affresco» (più precisamente: «al culto delle acque si era sostituita la devozione alla maternità di Maria, già testimoniata dall’immagine trecentesca della Madonna del Latte (tuttora esistente e rinvenuta nel 1911 in occasione dello stacco della Madonna del Parto), al di sopra della quale Piero della Francesca eseguì, apponendo un nuovo strato di intonaco, la Madonna del Parto.
Pertanto, la funzione identitaria del contesto e la memoria storica ad esso legata giustificano la contestata dichiarazione di interesse storico/artistico, benché le intercorse modifiche dello stato dei luoghi abbiano soppresso il legame materiale dell’affresco con l’originaria chiesa»).
La morale della favola
La pronuncia ora brevemente sintetizzata ci aiuta a ragionare.
Un po’ perché pone senz’altro ordine in alcuni concetti basilari.
Il proprietario, anche se pubblico, di un bene culturale non può goderne secondo un interesse egoistico: dovrà utilizzare il bene in armonia con l’esigenza che esso sia conservato e valorizzato, nel modo evidentemente più consono alla sua storia, specie se questa si può ancora ricostituire e non comporta (come nel caso di specie) una frattura reale con la comunità che con essa ha costruito un legame duraturo.
La bellezza dell’arte, dunque, non appartiene a qualcuno; è patrimonio di tutti, ed è a presidio di ciò che esiste un’amministrazione che se ne cura.
Ma la morale della favola deve proseguire, almeno per un ulteriore, piccola precisazione.
Perché se è del tutto vero che la visione descritta corrisponde all’istanza che la conservazione di un bene culturale sia garantita, è altrettanto vero che lo dev’essere anche la sua valorizzazione.
Pur risultando incontestabile che quest’ultima non può coincidere con lo sfruttamento turistico, è altrettanto vero che essa non può neanche coincidere con la ricostituzione della sola funzione devozionale, anche laddove restituita nel più filologico dei ricollocamenti.
Né può esprimersi a favore di una comunità solo confinata e presunta, poiché il riferimento dell’art. 9 della Costituzione alla Nazione altro non è che il rinvio a un interesse generale, che andrebbe verificato e adeguato sul campo, e mediato con tutte le iniziative che lo possano ottimizzare.
Anche il Ministero della Cultura, in definitiva, deve aprirsi ai contributi altrui.
La speranza, paradossale se si vuole, è che la storia della Madonna del Parto continui, e che la vicenda giudiziaria altro non sia che l’opportunità illuminante affinché le parti ricordino quanto sia essenziale condividere la gestione di tesori così strabilianti.
Fulvio Cortese
professore ordinario di diritto amministrativo, preside della facoltà di giurisprudenza, università degli studi di Trento