Vergogna e perdono
Un cammino di fratellanza
Ci siamo abituati negli anni a un particolare lessico di vita e di fede di papa Francesco, un vocabolario il cui repertorio attinge a una visione del mondo molto precisa, mai statuaria, scevra da registri formali “alti”, perché ispirata da un’esperienza pastorale concreta, vissuta vicina al popolo che gli ha permesso di elaborare una capacità comunicativa semplice, mite, amorevole, capace di toccare le persone in modo immediato, diretto, intuitivo.Basti solo ricordare l’esordio e la chiusura del suo primo discorso dopo la proclamazione a papa di quest’uomo «venuto quasi dai confini del mondo». In piazza San Pietro, di fronte a una folla in trepida attesa, ha esordito con un «buonasera!», un saluto normale, quotidiano, familiare. E la sua richiesta, al termine dell’incontro, che da subito stabilisce la cifra della relazione caratterizzata da un suo invito esplicito a una reciprocità, una custodia e un affidamento fraterno: «Prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo chiedendo la benedizione per il suo vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me».Un nuovo libro Il vocabolario di papa Francesco, pubblicato di recente da Elledici, curato da Antonio Carriero con il contributo di importanti giornalisti, esperti e vaticanisti, analizza il vocabolario utilizzato dal Santo Padre per «entrare in profondità nelle parole che declinano l’opera di guida e di pastore della Chiesa di Roma e del mondo».Sono state selezionate 50 parole o concetti chiave del linguaggio di Francesco, le più ricorrenti parole a cui il papa affida la sua lettura dei segni dei tempi, la sua risposta alla storia, alle emergenze, contraddizioni, possibilità, occasioni che mettono alla prova il mondo, la Chiesa e tutti noi. Parole che vanno dalla “a” di “abbraccio” alla “v” di vergogna.Due parole: vergogna e perdono, inserite nel vocabolario possono essere lo spunto per un minimo approfondimento, che non darà certo ragione della complessità dei significati che presuppongono ma almeno qualche pista di riflessione.
Vergogna
Etimologicamente la parola vergogna deriva dal latino vĕrĕor. che significa rispetto, timore rispettoso, ribadito anche nel termine verecundia, da vereri che significa riverire, aver rispetto, mentre il corrispettivo inglese shame si collega alla radice indoeuropea kam/kem che significa coprire, velare, nascondere. Pur avendo la medesima radice “ver” il significato semantico è opposto: la vergogna è infatti la perdita di rispetto, è un sentimento di profondo disagio nei confronti di una condanna sociale presunta o reale, indica un sentire doloroso e imbarazzante, un senso di disonore, di fallimento, di inadeguatezza del proprio ruolo e del proprio essere.La vergogna è un’emozione secondaria molto complessa e multiforme, un’emozione sociale correlata alla percezione che si ha di sé stessi e dei personali processi di autoconsapevolezza. Si presenta come un senso sgradevole di nudità, di trasparenza: quando si prova vergogna, infatti, si ha la percezione di essere stati scoperti e di essere messi a nudo nella propria inadeguatezza e, di conseguenza, si vorrebbe diventare invisibili, sprofondare, sparendo allo sguardo degli altri.In quanto emozione “sociale” l’asticella della vergogna sale o scende a seconda della sensibilità personale, dell’età, ma anche rispetto ai riferimenti valoriali, alle norme sessuali, morali che ogni civiltà e cultura affermano o modificano nel tempo. Il senso di vergogna provato dalle generazioni degli avi appartiene poco ai giovani d’oggi che spesso ci sembrano svergognati, sembrano vivere in una società che in qualche modo li ha “educati” a non provare vergogna. Ma a ben guardare forse non è così, forse i contenuti, il senso della vergogna sono semplicemente altri, non immediatamente concepibili dalla generazione degli adulti.La vergogna normalmente assale quando il sé reale si discosta troppo dal sé ideale e si temono molto una squalifica e un giudizio negativo da parte degli altri e ci si vergogna, appunto, per essere diversi da come si vorrebbe o si dovrebbe essere. La vergogna, anche se emozione complessa da gestire, svolge anche una funzione fondamentale per la costituzione del sé, per il mantenimento dell’integrità personale e del valore, perché può generare la capacità di nutrire dubbi costruttivi su noi stessi. Se ci soffermiamo su di essa, se non la “cestiniamo” subito, ci consente di capire cosa è successo, di riconoscere il contesto, di riflettere su cosa abbiamo sbagliato, dove sta l’errore, dà l’occasione di trovare alternative a una situazione che non vogliamo più rivivere, con comportamenti che possono cambiare. Riconoscere il sentimento di vergogna, non rimuoverlo, ci consente di crescere, di evolvere. Papa Francesco per primo prende di petto la vergogna, non la tace, non la nasconde, non fa il suo gioco. A una meditazione mattutina del 21 marzo 2017nella cappella di Santa Marta, papa Francesco dice che bisogna chiedere a Dio «la grazia della vergogna», perché «è una grande grazia vergognarsi dei propri peccati e così ricevere il perdono e la generosità di darlo agli altri», introducendo un tema difficile e molto delicato che sarà ripreso con grande forza a una pubblica udienza del 6/10/2021. Di fronte alla tremenda verità resa nota a tutto il mondo dal dossier sulla pedofilia nella Chiesa francese, il papa dichiara: «Desidero esprimere alle vittime la mia tristezza e dolore per i traumi che hanno subìto. E anche la mia vergogna, la nostra vergogna, la mia vergogna per la troppo lunga incapacità della Chiesa di metterle al centro delle sue preoccupazioni assicurando loro la mia preghiera. Prego e preghiamo insieme tutti: a te, Signore, la gloria, a noi la vergogna. Questo è il momento della vergogna. Incoraggio i vescovi e voi cari fratelli che siete venuti qui a condividere questo momento […]». Per ben cinque volte il papa ripete la stessa tremenda parola: «vergogna», un fendente diretto, più volte portato alla bocca dello stomaco della Chiesa, una denuncia esplicita e insieme un atto di contrizione e di espiazione pubblicamente reso. Grazie e vergogna, sono due termini antitetici tra loro: l’altezza e lo stato di armonia della grazia cozza con il senso di sprofondamento e inadeguatezza della vergogna, sembra quasi un corto circuito semantico paradossale: la grazia della vergona. Papa Francesco è convinto si debba ripartire da qui: dal riconoscere e fare pubblica ammissione di ciò che è stato e mai avrebbe mai dovuto essere. Provare vergogna per papa Francesco può essere un’occasione di grazia, un’occasione per la Chiesa, un’occasione per tutti. Se ci si apre, nonostante le comprensibili resistenze a un discernimento e a un’ammissione di errore, ci si rimette nella strada della libertà, della verità e della misericordia. Anche se, intanto, fa molto male.
Perdono
Dal latino perdonare composto dal prefisso per con funzione intensiva, rafforzativa o indicante compimento e donare: concedere, condonare, rimettere una colpa, un’offesa, assolvere, restituire a uno stato di grazia.Il perdono è la cessazione del sentimento di risentimento nei confronti di un’altra persona; è quindi un gesto con cui, vincendo il rancore, si rinuncia a ogni forma di rivalsa di punizione o proposito di vendetta nei confronti di un offensore. Per estensione ha il valore d’indulgenza verso le debolezze o le difficoltà altrui, oppure di commiserazione o di benevolenza.Si riflette spesso sulla dimensione del “dover” perdonare e poco sulla dimensione del dono nel perdono. Dono difficile da concedere, tanto da chiedere un rafforzativo: “per”, affinché tutto ciò che avviene sia attraverso un atto di gratuità, un perdono, appunto.Nella Bibbia il termine greco da cui deriva “perdonare” significa letteralmente “lasciar andare”, lasciare andare il male subìto, ma anche lasciare andare sentimenti di ira, rancore che continuerebbero ad alimentare il male dentro di noi, permettendogli così di continuare ad affaticare e indebolire la nostra vita, a inquinare e turbare le emozioni e i sentimenti provati, a confondere la nostra ragione. Perdonare non significa giustificare un’azione sbagliata e nemmeno rimuovere l’offesa come se nulla sia successo. È tentare di lasciarci alle spalle l’accaduto, non permettere all’offesa di continuare ad avere potere sulla nostra vita, prenderne le distanze per non restare intrappolati nella rabbia, nella delusione, nel desiderio di vendetta che bene non fa, per recuperare qualità di vita, di salute e tentare di essere più felici. Il perdono è un processo spesso lento, un percorso faticoso, un cammino di maturazione che richiede tempo, non è una reazione immediata, una risposta spontanea. È un cosciente alleggerimento del bagaglio di spiacevolezze che affatica il cammino per fare spazio nuovo al futuro, con questa consapevolezza ci si assume, ogni giorno, la responsabilità della propria vita e della propria felicità.Papa Francesco rilancia una nuova provocazione sul perdono. In occasione del collegamento con la trasmissione Che tempo che fa di Fabio Fazio su RaiTre dialoga con il conduttore che lo interroga su diversi temi di attualità e a proposito del concetto del male, Fazio chiede: «C’è qualcuno che non merita il perdono e la misericordia di Dio o il perdono degli uomini?», il papa risponde: «La capacità di essere perdonato è un diritto umano, …è una cosa che forse farà scandalizzare qualcuno. Tutti noi abbiamo il diritto di essere perdonati se chiediamo perdono. È un diritto che nasce proprio dalla natura di Dio ed è stato dato in eredità agli uomini. Noi abbiamo dimenticato che qualcuno che chiede perdono ha il diritto di essere perdonato. Tu hai fatto qualcosa, lo paghi. No! Hai il diritto di essere perdonato, e se poi tu hai qualche debito con la società arrangiati per pagarlo, ma con il perdono».La certezza della fede di Francesco è questa: «Dio sempre perdona. Ma chiede che io perdoni. Se io non perdono, in un certo senso chiudo la porta al perdono di Dio». E i cristiani lo recitano: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Farlo è un’altra cosa.
Monica Lazzaretto
presidente di Macondo
vive a Tramonte (Pd),
lavora a Mira (Ve),come responsabile del centro studi della Cooperativa Olivotti scs