Scricchiola

di (ps-ap)

Prima, la pandemia. Improvvisa, inattesa, sconvolgente.
Divisiva: // zone rosse // green pass // Poi, i primi segnali: il costo impazzito del gas, le minacce russe, le bollette impossibili nella cassetta delle lettere. Infine: l’invasione.
[le prossime tre righe, leggetele piano; lasciate che, talmente amare, si allarghino dentro di voi, dentro di noi]
Le città bombardate
gli assalti alle centrali nucleari
i milioni di profughi.
Si torna a parlare dei codici di lancio dei missili a testate nucleari; riparte il mercato dei bunker anti-atomici. Gli incubi della guerra fredda ritornano: tutti, insieme, più vicini che mai. Ai primi spiragli di sole, dopo il grigio di due anni di virusdentro, di virustra, arriva invece la più cupa tempesta, nubi nereviolente cavalcano il cielo, venti gelidisferzanti urlano da est. Si riaccendono le centrali a carbone: milioni di metri cubi di anidride carbonica si gettano gridando nell’atmosfera già ardente.
Eppure, sta arrivando la primavera. Strana primavera. Strani giorni. È f iorita la mimosa, sta f iorendo il pesco. Trovo cespugli di pirus che si preparano a versare tutta la vita fuori dai boccioli, piccoli boccioli, piccolissimi e grande vita grandissima vita. Eppure.
Nonostante.

Sinistri stridii attraversano le strutture del nostro sottomarino, immerso negli abissi di questi anni lugubri. Incoscienti, o immensamente imprudenti, abbiamo esagerato con la profondità: la tecnologia totipotente, il progresso inebriante ci hanno spinto ben dentro vertigini insondabili. A quelle quote non bisognava scendere. Troppa la pressione sulle sottili pareti che separano la nostra civiltà dalle acque scure della catastrofe nucleare, del collasso ecologico. Così poco ci trattiene dal falò che tutto può bruciare: in una sola immensa fiammata atomica, o nel riscaldamento progressivo dell’acqua stessa in cui nuotiamo, come rane nella pentola che inizia a borbottare. Tutto scricchiola intorno a noi.
«Da tempo mi tormentava un’idea, ma avevo paura di farne un romanzo, perché è un’idea troppo difficile e non ci sono preparato, anche se è estremamente seducente e la amo. Quest’idea è raffigurare un uomo assolutamente buono. Niente, secondo me, può essere più difficile di questo, al giorno d’oggi soprattutto1 ». Eppure, ancora ci sono le parole di Fëdor Dostoevskij (russo, sì proprio russo) e ora le sue parole vanno declamate più che mai e ad alta voce, sì principe Lev Nikolàevič Myškin, ad alta voce, perché gli “idioti” non lo sono di sangue ma vengono dal potere di finanze e di yacht che potrebbero sfamare un quarto di pianeta. Gli idioti veri non hanno terra di nascita.
Chiusi nel nostro sottomarino, che un tempo ci sembrava così spavaldo, che fino a poco fa era così confortevole, ascoltiamo angoscianti cigolii, sentiamo vibrazioni sorde, impressionanti: tutte le strutture si tendono allo stremo, minacciano lo schianto. E, lì fuori, è così buio; illuminati brevemente dalle luci che scavano nell’oscurità compaiono fantasmi, biancastre creature, mostri paurosi, che ci guardano ostili dagli occhi che in realtà non vedono. Non ci vedono, ma sanno che ci siamo.
Sappiamo che ci sono.
E noi avremo ancora occhi per “sentire” la bellezza? Forse conviene risalire a quote più umane? Forse dobbiamo smetterla di sfidare gli abissi? Non abbiamo nostalgia del sole, e del vento che increspa le onde dei nostri mari, e dell’odore di salsedine che riempie i polmoni?
(ps-ap)

1Parole di Dostoevskij, scritte in una lettera degli inizi del 1868 indirizzata allo scrittore Apollon Nikolaevič Majkov.
L’aggettivo “buono” usato nella lettera nell’originale russo indica lo splendore della bellezza e della bontà insieme. Nel libro viene detto che il principe personifica la bellezza e la grandezza caratteriale.