Malawi

di Alfier Cecilia

Fra crescita economica, povertà e brogli elettorali
Il Malawi è uno Stato relativamente piccolo (con grandi problemi) dell’Africa sud-orientale che conta circa 18 milioni di abitanti. È un Paese con una natura rude e bellissima, come attesta il Parco Nazionale del Liwonde, dove migliaia di elefanti, ippopotami, coccodrilli e altri animali selvatici vagano liberi, nell’ambiente della savana asciutta. La guida Lonely Planet consiglia un viaggio “trittico” in Zambia, Mozambico e Malawi, definendo quest’ultimo come una delle destinazioni africane più accessibili per i turisti, un’ottima introduzione per i paesi dell’Africa del sud. Purtroppo questo ambiente, apparentemente idilliaco, è sempre più difficile da preservare, a causa del riscaldamento globale.
I problemi sono molteplici. Il Malawi è povero, l’aspettativa di vita per gli uomini è ferma a 60 anni, che diventano 65 per le donne. Tuttavia, lo sforzo per uscire dal sottosviluppo è notevole, soprattutto dal 2020 in poi. Questo dopo che le elezioni dell’anno precedente, svolte in un clima turbolento, erano state annullate (ne parleremo più avanti). La crescita economica negli ultimi anni è stata forte, nonostante le difficoltà in agricoltura dovute al clima sempre più ostile e caldo. Le caratteristiche climatiche sono tropicali (o più precisamente subtropicali, soprattutto in montagna): la stagione estiva delle piogge dura da metà novembre ad aprile, con siccità nel resto dell’anno.
Il regime di Hastings Banda e i media L’attuale presidente, Lazarus Chakwera, è stato democraticamente eletto nel giugno del 2020, ma il percorso del Malawi non è stato e non è semplice. Anche perché la recente epidemia da covid-19 ha rallentato la crescita del Pil, passato dal 5,7% all’1,7%. L’effetto di questa epidemia è paragonabile al diffondersi dell’AIDS nel 1999.
Come in molte realtà africane, l’indipendenza nel 1964 (in questo caso dal colonialismo inglese) non ha significato il passaggio alla democrazia, non nel modo in cui la intendiamo in Occidente.
Durante il periodo coloniale la nazione si chiamava Nyasaland. Gli inglesi cercarono di riunirlo con la Rhodesia, ma questo suscitò le ire dei nazionalisti e portò alla liberazione. Per trent’anni dopo l’indipendenza è stato al potere il leader autocratico Hastings Kamuzu Banda, fino a quando ha lasciato il governo a metà degli anni novanta. Banda diventò presidente il 6 luglio 1964, ma nel 1971 la carica divenne a vita. L’autocrate si dedicò attivamente a spegnere ogni forma di opposizione, incarcerando migliaia di “ribelli”. Questi dovettero spesso vedersela con la polizia segreta, l’organo paramilitare chiamato Giovani Pionieri, che li perseguitava anche all’estero. Per esempio, nel 1981 mentre l’oppositore Orton Chirwa, prossimo alla condanna all’esilio, stava visitando lo Zambia, il governo del Malawi riuscì ugualmente a far condannare a morte sua moglie Vera. La pena fu commutata in detenzione solo dopo proteste internazionali. Grazie al suo governo, Banda riuscì a erigere un impero economico, basato soprattutto sullo sfruttamento di tabacco e petrolio. In pratica, il 10% dei salariati in Malawi lavorava per il presidente. Per la maggior parte del tempo, la sua leadership venne sostenuta dalla sua segretaria, ex infermiera, Cecilia Kadzamira, e dallo zio di lei. Ma il sistema non resse la prova del tempo e l’opposizione tornò a farsi sentire. Sotto pressione, anche da parte delle Nazioni Unite, il governo del Paese si trovò quasi costretto il 14 giugno 1993 a indire un referendum sull’introduzione del multipartitismo. Contemporaneamente venne redatto un nuovo elenco degli elettori, e venne chiesta anche la liberazione dei prigionieri politici. Il referendum era lo specchio dei tempi che stavano cambiando. Il consenso all’unico partito, l’MCP Malawi Congress Party, stava diminuendo soprattutto nelle aree urbane, dove si andava formando un elettorato colto, che aveva la possibilità di informarsi tramite giornali indipendenti.
L’informazione mainstream invece, e in particolare le trasmissioni radio, furono precluse ai sostenitori del sistema democratico. La radio era ed è ancora più importante della carta, soprattutto nelle zone rurali, dove il tasso di alfabetizzazione è ancora basso. Ora la libertà di informazione è migliorata e il numero di abusi contro i giornalisti è diminuito drasticamente, ha affermato Reporter senza frontiere nel 2019. E la stampa privata favorisce la pluralità dell’informazione e delle opinioni. Ma bisogna stare attenti che la legge non limiti la libertà di espressione online, con la scusa della sicurezza informatica. A fine 2018 solo il 9% degli abitanti dello Stato possedeva una connessione internet, con Facebook come piattaforma social leader. E adesso i numeri non sono cresciuti di molto.

Pericoli per la democrazia ed emergenza alimentare
Approfondire la storia del Malawi significa comprendere sempre di più che la democrazia non è un approdo stabile, ma una conquista quotidiana.
Il 64% dei votanti si espresse per abolire il sistema monopartitico. Certo, il numero dei suddetti votanti fu relativamente basso.
Il totale degli elettori registrati all’epoca era 4,7 milioni e di questi il 67% si recò alle urne.
Tuttavia, il risultato era chiaro.
Quello che non era chiaro era il risultato delle elezioni del 2019, che infatti vennero ripetute l’anno dopo (con i rinvii causati dal lockdown). Il Malawi, improvvisamente, da invisibile ai media divenne sorvegliato speciale fra i paesi africani. Infatti, era solo la seconda volta in tutto il continente che un’elezione veniva ripetuta a causa di brogli o presunti tali, nonostante i brogli si verifidi chino spesso. La volta precedente era stata nel 2017 in Kenya, ma lì politicamente non era cambiato nulla: il leader governativo, Uhuru Kenyatta, era rimasto in carica. In Malawi, invece, Chakwera era il candidato principale dell’opposizione. Nel 2020 aveva 65 anni ed era in politica da sette, dopo una vita come padre di famiglia, pastore e dirigente del movimento pentecostale. Il presidente Mutharika era stato inequivocabilmente sconfitto. Il nome Lazarus ispirò i giornali occidentali nella loro narrazione della vittoria come “resurrezione della democrazia”. In realtà Chakwera non era un uomo “sorpresa”. Dopo la sentenza della Corte costituzionale (che aveva annullato le elezioni e “semplificato” le regole di vittoria), le opposizioni avevano unito le forze per dare una svolta al Malawi. E poi, in effetti, c’erano riuscite. In precedenza, dal primo presidente democratico, Bakili Muluzi, tutti i leader erano riusciti a preservare la democrazia dai conflitti civili, nonostante alti e bassi, conflitti personali, accuse più o meno fondate di derive autoritarie. Ma senza le riforme strutturali che sarebbero servite al Malawi, che infatti è tuttora considerato uno dei paesi più poveri al mondo.
Il cambiamento di rotta è auspicabile. Tuttavia, gli osservatori esperti d’Africa frenano l’entusiasmo. Il nuovo eletto (al contempo Capo dello Stato e presidente del Consiglio) fa parte dell’MCP, come il vecchio dittatore Banda, ed entrambi hanno legami con il movimento missionario anglo-americano.
Azionecontrolafame.it fa presente che l’emergenza del Malawi non è solo politica o legata alle epidemie. Si legge sul sito di come l’indice mondiale del rischio climatico del 2017 classifichi il Malawi come il terzo paese più colpito in termini di perdite legate al clima. A causa della siccità, delle inondazioni e dei successivi danni alle colture, circa 6,7 milioni di persone soffrono di grave insicurezza alimentare. Nel 2019 il ciclone Idai lasciò più di 86mila persone sfollate con 60 decessi.
Senza l’apporto di Medici Senza Frontiere con altre organizzazioni e l’unità della comunità del Malawi, il bilancio sarebbe stato molto più drammatico.
Solo quattro anni prima i morti per una catastrofe naturale simile erano stati il triplo. I locali hanno appreso una lezione sull’importanza di unirsi. Hanno poi preso dei piccoli, ma importanti accorgimenti, come posizionare i farmaci salvavita sugli scaffali più alti, in modo che non si bagnino con le inondazioni. Quando il ciclone arriva, è necessario comunicare rapidamente e chiaramente con gli operatori umanitari. Ed è necessario spendersi per salvataggi organizzati dei pescatori, che sono vittime perfette per il ciclone. Potrà il Malawi diventare un esempio di come si gestisce una catastrofe?

Cecilia Alfier

laureata in scienze storiche, aspirante giornalista, giocatrice di scacchi da 17 anni e di bocce paraolimpiche da 3, vive a Settimo Torinese (To)