Luglio-Dicembre 2017
4/7/2017
Da ieri sono arrivato a Sant’Agnese di Civezzano (TN), qualche chilometro prima che inizi la Val di Cembra, in un posto ideale per me, amante del silenzio e della montagna. Siamo in una casetta isolata, al piano terra, con due stanze (piccole) da letto, una cucina piccola e dignitosa. Solo questa mattina il buon Stefano è riuscito a collegarmi con il computer, fb e l’email, ma molte vostre lettere sono andate perdute, soprattutto quelle tra domenica e lunedì. Ho cominciato a lavorare, tagliando l’erba, camminando e soprattutto parlare alle piante e agli animali, loro non parlano, ma comunicano. Se venite a trovarmi sarete sempre graditi ospiti. Ci resteremo con qualche scappata in valle, fino a Ferragosto. Vi ringrazio e vi abbraccio con affetto.
Giuseppe – prete
9/7/2017
PENSIERI IN UNA MATTINA D’ESTATE, IN MONTAGNA.
Aver imparato (ricevuto) obbliga a insegnare (rendere agli altri)”
(Prete operaio)
C’è chi crede di migliorare lottando contro gli altri (e così peggiora). La gerarchia, che più conta, è quella della bontà. Per esempio, sono felice di far felice. È la più bella felicità.
Non ho scoperto nuove terre, ma ho raccolto buoni frutti dai campi attraversati e che ho cercato di rendere ai passanti. Dio non si dimostra, ma si mostra, attraverso la nostra vita buona e amorevole.
Giuseppe – prete.
10/7/2017
PERCHÉ MI SON FATTO PRETE?
“Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro”.
(Lorenzo Milani)
Figura luminosa di sacerdote, educatore e di scrittore, la cui grandezza, (come succede ai profeti), ha brillato solo dopo la sua morte. Le sue parole, sempre forti e incisive, riescono ancora oggi, combattere la superficialità, la banalità e la volgarità e diventare provocazioni necessarie.
Nel 1956 avevo 19 anni ed ero in Seminario a Bologna. Frequentavo, infatti, il primo anno di filosofia. Non so da chi, né perché avevo tra i miei libri, che leggevo di nascosto, Esperienze Pastorali di don Milani e alcuni di don Primo Mazzolari (Non uccidere e La bella Avventura, già segnati tra quelli a l’Indice) come lettura personale. Li divoravo e capisco solo ora perché ritenevo, i tempi trascorsi in seminario, se non inutili, certamente poco formativi, evangelicamente parlando. La purezza delle loro parole colpiva ogni tentazione di razzismo, di grettezza, di egoismo, proprio perché le parole di Cristo erano destinate ai poveri, ai miti, ai giusti, ai perseguitati, agli ultimi della terra. Non vi sembra che oggi la voce di don Milani sembra risuonare in quella di Papa Francesco?
Giuseppe – prete.
15/7/2017
VIVERE O SOPRAVVIVERE
Cerchiamo valori condivisi, ci sono necessari per sopravvivere, anzi per non campare nella minaccia, che è la massima separazione umana. Come bene scrive Simone Weil: “La forza che può uccidere, ma non uccide ancora”. È il potere “di mutare in cosa un uomo che resta vivo”. Tuttavia viviamo e vogliamo vivere, ma in quella strana condizione dell’anima, che è non vivere. Nessuno davvero respira da solo, se non possiamo respirare tutti.
Giuseppe – prete
17/7/2017
Un Paese vuol dire non essere soli… sapere che nella Gente, nelle Piante e nella Terra c’è qualcosa di Tuo che, anche quando non ci sei, resta lì ad aspettarti.
Questa brevissima riflessione, sul Paese va letta, per quanti non capiscono perché, facendo il prete operaio, mi sono sentito rifiutato o respinto, dal mio paese, a Pove del Grappa. Oltre a esserci nato, ci ho vissuto, pure, gli ultimi trentadue anni. Ora, per motivi, legati alla salute, ho accettato di andare a morire in esilio, a Campese. Un esilio dorato, se volete, ma sempre un esilio è e resta.
Giuseppe – prete e viandante.
20/7/2017
CHIARIFICAZIONE… DOVUTA.
Amiche e Amici carissimi, grazie dell’affetto, che in tanti avete voluto manifestarmi. Mi fa tanto bene. Il mio intento era quello di darvi lo spunto a riflettere sul Paese, dove si nasce e si passa l’infanzia (nel mio caso pure l’adolescenza). Nessuna recriminazione, perciò, per aver dovuto lasciare Pove del Grappa nel 2016, ma il fatto oggettivo resta, con il divieto di celebrare e la diffidenza di ogni mia partecipazione alla vita della comunità. Non sono né un prete comunista, né di sinistra, né di destra, neppure un prete moderno, ma semplicemente sono prete. La terra, la gente, le piante, la montagna e le rocce del mio paese sono dentro di me, perché sono un valore sacro, come la vita.
Al mio Paese ho imparato ad amare gratuitamente, dalla famiglia e dalla comunità cristiana ho avuto la spinta a vivere una fede autentica e responsabile, sotto la guida di don Vittore Spada, un sacerdote libero e di grande spessore umano, un educatore appassionato, lui sì un vero antifascista. Sono stato e sono, ancora, vittima di un clericalismo, che, se costruito come separazione, è un’eresia, cioè uno strappo. Il sacerdozio è comune, le funzioni sono varie, sacerdoti si nasce nel Battesimo, ministri si diventa, dentro a una base dell’ecclesiologia evangelica. Per me il prete o è un uomo capace di fare unità, con esperienza dello Spirito in se stesso e per la comunità o è una figura ambigua e astratta, a servizio di un potere, mai della donna o dell’uomo. Serve a relativizzare le cose assolute, senza perdere nulla delle cose serie. Gesù si chiamava figlio dell’uomo ed è Dio con noi! Vi ringrazio di cuore tutte e tutti.
Giuseppe- prete e viandante.
26/7/2017
L’OFFESA RICEVUTA!
Un’offesa ricevuta è possibile che possa diventare una forza? Come una grossa pietra, pesante e pericolosa, può diventare un sostegno e forza invisibile per un muro? È un colpo terribile, con l’offesa, che l’altro ci dà, ma può diventare parte di noi e può costruirci invece di distruggerci?
Se non si risponde con un’altra offesa, si smorza in noi. Ci fa male, certamente, ma si può guarire, grazie al nostro organismo sano. La nostra dignità non è intaccata dall’offesa, se non si lascia contaminare dalla presunzione di avere un grado superiore di dignità! È la comune dignità umana che può sopravvivere all’offesa, come il mare riceve la pietra, si scompone e ricompone, la pietra pesa sul fondo, ma il mare è più grande. Solo noi, quindi, possiamo renderci indegni della qualità umana, quando imitiamo l’offensore, restituendo l’offesa! Mentre lo aiuteremo, quando può ritrovare se stesso. Solo se in noi vede una dignità umana resistente, intatta e inviolata, ne può diventare fortemente consapevole. La vera difesa non risparmia il dolore, la ferita, ma salva la persona dalla demolizione; è la coscienza della dignità umana universale, sussistente in ciascuno di noi e in ogni persona, a darci la forza e l’energia necessarie.
Giuseppe – prete e viandante
30/7/2017
RAGGI DI SOLE
Sono in montagna, ma sento l’afa sollevata dalla pianura. Sto vivendo in una comunità, dove i bambini sono i docenti… finalmente! Occorre coraggio e io ce l’ho, perché sono ancora bambino.
I bambini non hanno paura del caldo o della calura. Loro si buttano nel sole di mezzogiorno, come non dovesse più far sera, come fossero i figli prediletti del dio Sole, come fossero, loro stessi, dei vulcani accesi. Certamente sotto il sole si scottano un po’, si spellano, si squamano, sudano e si disidratano, si attaccano all’acqua fredda della fontana, si congestionano, ma sono invincibili. Scappano di casa con un cappellino in testa e restano fuori a cuocere e gioire di cose, che noi umani neppure sogniamo.
Anche oggi. Quanto ci sarà? Quaranta o quaranta due gradi? Mi sono legato in testa, sotto il cappellino, un bel fazzoletto bianco, ma basta un passo che il sole mi è entrato nel cervello, due passi perché senta riempirsi i polmoni d’aria calda ai suoi raggi, con tre passi tutto il corpo strizza e si disseca e se riesco a stare in piedi, sono un puro spirito ambulante. Lo sono e incedo nel fuoco come un santo, lentamente, elegantemente, per godermelo fino alla sua astrale intimità… E c’è la visione… mentre il sole mi è sopra a perpendicolo, vedo che sto camminando sopra un calmo mare, color d’oro, come i bambini.
Giuseppe – prete.
3/8/2017
IL FUTURO È…
NON C’È PASSATO SENZA FUTURO.
L’esplosione di una realtà diversa sollecita uno sguardo distaccato, quindi più critico sul nostro presente. Si dice di solito che non c’è futuro, senza passato, io sostengo la tesi opposta: non c’è passato senza futuro. Ci costruiamo un passato, selezionando quello che ci interessa della storia, in rapporto al futuro che vogliamo. Perciò le radici non sono un patrimonio da mettere in cassaforte; per produrre cultura devono essere continuamente reinterpretate e riplasmate. Non ne faccio, cioè una questione di radici identitarie, che in realtà vengono sempre rimodellate, di generazione in generazione, a seconda dei nostri progetti.
Giuseppe – prete e viandante.
6/8/2017
DOLORE… E PAURA.
Chi fa un regalo o lo ripiglia, va all’inferno.
(Proverbio infantile)
Non ho neppure io il diritto di parlare di un argomento che invece imporrebbe il silenzio. I discorsi dei conservatori cattolici (scusate il termine), in quella loro difesa del diritto alla vita, manifestano una cieca paura della morte, del fatto che Dio non ci ha dato l’eternità del corpo e che non accettarlo serenamente, rifiutandosi di non piegare la testa è quasi una bestemmia, un gesto di arroganza atea, una ribellione bieca e cupa che di cattolico, di persone di fede, non ha proprio nulla.
Se la vita è un dono, è allora nostra, come ogni vero dono. In questo senso Dio non va all’inferno, (se mai ci va se qualcuno ci cade). La nostra vita personale, come il mondo e tutte le vite è nelle mani della nostra libertà e responsabilità. Il dolore non è da maledire, ma deve avere un senso. Senza senso non è umano. La croce di Gesù, suggerita per far subire/patire tutto il possibile ai malati estremi, è invece un dolore coraggioso, libero, accettato per fedeltà totale al compito della sua vita. La sua, così offesa e torturata, è una vita piena di significato e di amore. La croce è simbolo di vita libera e piena, non può essere usata per divinizzare la tortura, della malattia o degli oppressori. La felicità, non è una meta da raggiungere, ma una casa a cui tornare. Tornare… e non andare.
Giuseppe – prete e viandante
7/8/2017
DEBOLEZZA…
Quando anche voi invecchierete, sperimenterete e vi scoprirete deboli, lenti, incerti, sul piano fisico, se non quello cognitivo e mentale. La forza è una proprietà tutta precaria, non è un valore sostanziale della persona. Chi non vede l’umanità nei deboli, non sa nulla della propria umanità. I nostri difetti. I buoni propositi sono fatti per essere rinnovati, i nostri difetti vanno combattuti, ma prima di morire bisogna far pace anche con loro, perché scopriremo che Dio l’ha già fatta la pace.
Giuseppe – prete viandante.
11/8/2017
LA NOIA
La parrocchia è divorata dalla noia.
La noia divora tutte le nostre parrocchie
e non possiamo farci nulla e un giorno
il contagio vincerà.
(Georges Bernanos)
Bernanos, in Diario di un curato di campagna, ha scritto delle pagine roventi, in grado di scottare le mani del lettore, facendo balenare la malattia più micidiale della persona umana. Il vero nemico della religiosità, lui scrive, è l’indifferenza, ma anche, questo lo aggiungo io, della cultura e quindi un danno per tutta l’umanità. Infatti, così scriveva Giacomo Leopardi: “Che la noia è figlia del nulla e madre del nulla”.
Giuseppe – prete e viandante.
14/8/2017
BEATITUDINE DEL VIANDANTE
Cercare con l’attenzione di chi non basta a se stesso e con la cura di non lasciarsi sfuggire neppure il più fragile dettaglio che la vicenda di ogni donna o di ogni uomo sa offrire, nella sua singolare e feriale straordinarietà. Custodire la fragilità dei sogni, in cui fatico a credere fino in fondo e accogliere l’enigma misterioso di un dolore che interroga e frantuma i miei testardi deliri di onnipotenza. Avere a cuore la preziosità di ogni istante che nella sua inedita manifestazione può sprigionare aneliti di giustizia e canti di liberazione. Tutto questo, cos’altro è, se non beatitudine?
Giuseppe – prete e viandante.
17/8/2017
Domenica 20 agosto, passerò la soglia degli 80 anni. Ho scelto di rendere grazie a Dio, celebrando alle 11,30 l’Eucarestia nel piazzale interno di Pian Grande. Ho chiesto il luogo più angusto e selvaggio, ma la montagna mi ha dato, fin dall’infanzia, il senso e il respiro di tutta la mia vita. Al termine ci sarà un piccolo rinfresco, organizzato da Fabio e Luisa, gestori dell’Osteria, per tutti i presenti, mentre il pranzo lo farò con le mie sorelle, qualche nipote e alcuni amici (sono sette o otto coppie) che mi hanno aiutato, negli ultimi anni, a elaborare la pacificazione, la fatica del mio corpo e accogliermi sempre con affetto e tenerezza, nonostante la spigolosità e la durezza del mio carattere.
Grazie a tutti voi, amiche e amici, che mi comprendete e mi amate con rispetto, nel quale vedo la carezza di Dio.
Giuseppe – prete e viandante.
23/8/2017
RINGRAZIARE
Amiche e amici carissimi, vi ringrazio dei vostri doni (auguri) che avete avuto la bontà d’inviarmi per passare il tunnel degli ottanta anni. Una vita. Ho passato il 20 agosto in montagna, a Pian Grande, con 40 persone (alcuni parenti e amici più prossimi in questo periodo di transumanza) in un luogo selvaggio e magnifico. Ormai è noto a tutti che amo la montagna e mi sento montanaro. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo avanti all’altro, il silenzio, il tempo e la misura. Ho iniziato a sei anni a camminare in montagna con mio padre, una specie di educazione che ho ricevuto da lui. Arrivati, dopo più di due ore a piedi, al Col del Gallo, dove si è aperto un panorama splendido, sopraffatto dall’emozione sono riuscito a dire: «Papà, ora insegnami a guardare.» Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare. Non è quindi solo neve e dirupi, creste, torrenti, laghi, boschi e pascoli. È un’impronta che ti resterà per sempre! Questa cultura la detengo con orgoglio. La terra, la gente, le piante, le rocce dei miei monti sono dentro di me e, come la mia vita, sono sacre.
Giuseppe -prete.
23/8/2017
GIUSEPPE COMPIE OGGI 😯 ANNI
Come dono vi consegno l’intervento che Gaetano, mio fratello e amico da una vita, ha letto alle persone presenti.
Ognuno di noi ha il suo punto di vista rispetto agli anni. Giacomo dirà che sono tanti. Paolo dirà che è una bella età, nella speranza di raggiungerla. Chi come me si arrampica nei pressi, oddio, che può dire? Ma se ci fermiamo agli anni rischiamo la banalità. Più interessante sono i punti di vista, le angolazioni da cui parte il nostro sguardo e la nostra parola su Giuseppe o per Giuseppe. Giuseppe che mi ha preceduto ha già raccontato la sua vita, alcuni momenti e tratti significativi della sua vita. Perciò non posso io riprendere il filo. Sarebbe una inutile ripetizione. Parlerò dunque della poesia che è il linguaggio in cui tutti ci ritroviamo perché la vita stessa è poesia, che non vuole dire che la vita è tutta rosa. La poesia è come la vita è favola e dramma, epica e commedia.
La poesia è il ricordo di una mano che ti accarezza, un abbraccio. La poesia è un’arrampicata su per la montagna, una vertigine sullo strapiombo dell’Antermoia. Sono le parole del nonno che ti racconta la guerra. La poesia è fatta di poche parole, come quando papà Bernardo al piccolo Bepi che chiede perché il sole al tramonto è rosso, risponde con una pausa e due parole: «Per bellezza, Bepin.» La poesia è una visione, come quella che descrive Giuseppe in uno dei suoi ultimi post: “I bambini non hanno paura del caldo o della calura. Loro si buttano nel sole di mezzogiorno, come non dovesse più far sera, come fossero i figli prediletti del dio Sole, come fossero, loro stessi, dei vulcani accesi. Certamente sotto il sole si scottano un po’, si spellano, si squamano, sudano e si disidratano, si attaccano all’acqua fredda della fontana, si congestionano, ma sono invincibili. Scappano di casa con un cappellino in testa e restano fuori a cuocere e gioire di cose, che noi umani neppure sogniamo”. La poesia è melo-dramma, scrive Giuseppe, il festeggiato: “Da qualche tempo riemerge alla mia memoria un ricordo d’infanzia: il pianto di mio padre al ritorno dalla campagna. Una grandinata aveva distrutto il raccolto della nostra vigna. Ero rimasto pietrificato. Era un uomo forte, papà, vigoroso come le sue mani di contadino. E anche ironico. Come spesso sono i poveri… La mamma lo avvolse con un grande abbraccio e gli asciugò le lacrime con i baci.” La poesia sa pure creare o ricreare la realtà che sfugge alla nostra razionalità. scrive Giuseppe: “Sul balcone un bimbo sta giocando da solo. dà voce agli oggetti, che si trasformano nelle sue mani; egli non vede più le cose che tocca, ma le idee che cerca. Il bambino giocando riproduce la realtà”. Una realtà che a tratti ha le dimensioni della favola, Scrive Giuseppe: “I miei vicini più prossimi sono gli alberi. Il vento talvolta li risveglia e li tormenta. Uniscono le loro voci in un coro senza parole. Li ritrovo ogni giorno con piacere e metto la mia anima al loro riparo”. A tratti la poesia come la vita abbraccia la storia e diventa tragedia: «Separarono gli uomini con la scusa di convocarli per una riunione, in cui discutere come si deve sviluppare il villaggio, li chiusero in un locale. I soldati poi riunirono le donne e i bambini, di tutte le età, nella chiesa. Lì l’esercito inizia a sparare sulle donne. Le sopravvissute sono separate dai bambini e portate a gruppi nelle case, dove vengono assassinate a colpi di machete. Più tardi si uccidono i bambini. Ci sono testimonianze concordi di bambini sventrati a colpi di coltello o sfracellati con la testa contro il muro.» (Massacro di S. Francisco. 1982. Dal rapporto sul Guatemala, voluto da J. Gerardi, vescovo cattolico, assassinato il 26 aprile 1998, Guatemala Nunca Mas, La Piccola Editrice).
La poesia è sogno che si rinfranca nei paesaggi dell’infanzia. Scrive Giuseppe: “Anche se chiudo gli occhi continua a danzare nella mia mente l’immensa distesa di prati, di colori, di case che riempiono la mia valle. I boschi si arrampicano lungo i fianchi dei monti, si allungano verso il cielo. Si scompigliano rami e foglie, si piegano al vento, come in mare agitato”. Giuseppe abita in queste parole. Le parole sono un lungo travaglio della storia e passano attraverso la voce e i toni della madre. Per questo le parole ci nutrono come il latte della madre e non ci abbandonano mai. E per questo il nostro passo è forte, coraggioso, entusiasta e può saltare il muro di cinta del suo giardino. Nelle ultime pagine del suo ultimo libro Giuseppe scrive: «Piove. Il cielo è nero, le strade si riempiono d’acqua, da ogni angolo spuntano uomini e donne che vendono ombrelli. Gaetano, in qualità di fotografo, è avvilito. Vikica, la nostra preziosa guida, è molto dispiaciuta. Ambedue temono che la pioggia possa incrinare la bellezza di Sarajevo. Qui si trova la porta tra Oriente e Occidente, il punto esatto dove l’uno sconfina nell’altro e proprio per questo la chiamano “Gerusalemme d’Europa”.» E chiudo con due parole mie.
Per ringraziare Stefano che ha voluto questa festa e l’ha organizzata assieme a Fabio e Luisa che sono gestori dell’osteria, ma sono anche nostri cari amici. Ringrazio quanti hanno voluto partecipare alla messa e hanno voluto festeggiare Bepin, Giuseppe, don Giuseppe. Io e Stefano abbiamo desiderato che fosse una festa familiare, intima. Per questo abbiamo scelto la montagna e l’osteria, che mantiene ancora la dimensione dell’uomo, piccola e adatta a una festa raccolta. Abbiamo voluto mettere insieme parenti e amici, che rappresentano almeno in parte il percorso lungo e complesso della vita di Giuseppe. Manca Bologna, la fabbrica, il sindacato, manca il Brasile E ringrazio di cuore Giuseppe che ha accettato questo incontro gradito, ma anche emotivamente impegnativo. Grazie a tutti. Alcuni invitati non hanno potuto essere presenti, ma hanno telefonato per salutare e benedire la festa. Grazie di nuovo a tutti. Ma erano solo due parole.
Gaetano – prete e presidente di Macondo.
27/8/2017
PIANGERE E GIOIRE…
“Chi piange non muore. Il pianto è sintomo di vita.
Piangi e la tua vita varrà ancora qualcosa” .
Halldòr Laxness – scrittore islandese.
Queste poche parole impressionano perché affermano una verità a cui non badiamo. Solo le statue non piangono. Così, come sono asciutti gli occhi dei tiranni, dei criminali o dei mostri. Piange chi ha un cuore che ama. Piange chi soffre o può piangere chi possiede una gioia interiore. Nelle ultime due giornate, quelle del convegno, sui giovani che non chiedono protezione ma fiducia, i relatori Ivo Lizzola, Antonella Fucecchi, p. Arnaldo de Vidi e Paolo Bartolini, hanno dipinto nell’intimo di ciascuno di noi, nel silenzio dello spazio bianco delle nostre anime, la sensazione che si trasfigurava in un’emozione profonda. Con la loro sapienza, con la loro passione, la loro gratuità, con la loro umiltà e generosità, sono diventati segni di vita e di umanità. Per questo abbiamo deciso si sostare assieme, avvolgendoci nella veste candida del silenzio, della meditazione e della contemplazione sul mistero della paternità e maternità, come una carezza di Dio.
Giuseppe – prete e viandante.
3/9/2017
OSCURITÀ
“Chi sa di essere profondo si sforza di essere chiaro.
Chi vuol sembrare profondo, si sforza di essere oscuro”.
(Nietzsche)
Chissà perché oggi mi viene in mente la battuta del filosofo Nietzsche? Certamente esistono questioni molto complesse, ma spesso s’incontrano autori che detestano la chiarezza del dettato e si ammantano di fierezza nell’essere indecifrabili ai più. Mi viene in mente quanto scriveva Giovanni Papini: “Mi pento di avere coltivato il vino della limpidezza, che risparmia agli altri noia e fatica, ma facilmente procura agli scrittori chiari l’ingiusta fama di superficiali.”
Giuseppe – prete e viandante.
3/9/2017
L’AMORE COME CONOSCENZA È IL MODO DI PRODURRE LIBERTÀ
Ieri sera, terminato l’incontro di spiritualità di Macondo a Crespano del Grappa, ho trovato, rientrato a casa, sul tavolo della cucina, un cestino. Dentro c’erano alcuni datteri, mescolati a petali di rosa e una pagina di quaderno, a quadretti, dove con una calligrafia femminile era stato scritto:
“Amiamo così profondamente la vita, come amiamo il profumo di queste rose, il sapore di questi datteri. Non diminuisce il nostro amore alla vita, che ci viene tolta continuamente, anzi lo aumenta a dismisura”.
(Margherita Pascucci)
Sotto il cestino ho trovato questo.
BIGLIETTO di VIAGGIO
Quando sarò ucciso, uno di questi giorni,
l’assassino troverà nella mia tasca i biglietti di viaggio:
Uno verso la pace –
uno per i campi di pioggia
– un verso la conoscenza dell’umanità.
(ti prego non sprecare i biglietti,
mio caro
assassino, ti prego di partire…)
Samih al Qasim
poeta della Resistenza Palestinese
75 anni – morto di cancro il 19 agosto 2014
9/9/2917
CHIEDO SCUSA…
“Chiedo scusa alle grandi domande per le piccole risposte.
Verità, non prestarmi troppa attenzione.
Serietà, sii magnanima con me.
Sopporta, mistero della mia esistenza,
se strappo fili dal tuo strascico.”
(Wislawa Szymborska)
Ricordo, prima che passasse l’onda edilizia e la frenesia attuale, il profumo di pane del fornaio, il suono delle campane all’alba o alla sera, i volti semplici dei contadini segnati dal sole, le vigne, i solchi, le feste patronali. Le porte si affacciavano sui cortili ove i bambini giocavano e le madri chiacchieravano. Persino le mormorazioni erano indizio di interesse reciproco più che di cattiveria. Non è per nostalgia che rievoco quel piccolo mondo antico e remoto, ma per ribadire la necessità di un luogo, dove non si è soli come nel deserto delle grandi metropoli e dove la norma è la semplicità e non l’eccesso. E Pasolini, a conferma di ciò, affermava che: “Gli uomini del mondo contadino non vivevano un’età dell’oro, ma l’età del pane. perché i beni superflui rendono superflua la vita!”
Giuseppe – prete e viandante.
23/9/2017
ASCOLTARE
“Vivo con gli occhi, ma mi si impedisce di guardare,
perché la velocità costringe a passare oltre”
(Kafka)
Sembra che guardare con attenzione qualcosa o guardarsi intorno, siano attività in via di estinzione. I cinque sensi sono sempre meno attivi, devastati dalla fretta, dalla distrazione e dall’impazienza, prodotte dal culto idolatrico della velocità. L’imperativo è fare prima, non fare bene. Senza usare la vista, il più mentale e intellettuale dei sensi, il mondo intorno a noi, naturale e sociale, sparisce, diventa trascurabile, irrilevante, indifferente e meno reale. Chi non nota l’esistenza dell’ambiente intorno a sé, non si accorgerà neppure del suo degrado. Basterebbe osservare chi è al volante di un auto, chi fissa un video o un display, usa una percentuale bassissima delle sue possibilità visive. L’arte di guardare, invece dà a ciascuno di noi, un evidente, intenso piacere fisico e mentale.
Giuseppe – prete.
30/9/2017
ASCOLTO!
“Chi ascolta partecipa, accoglie, si lascia riempire.
Chi ascolta è una vasca, un secchio, una brocca e un canale di scolo.
C’è uno spazio, in chi ascolta e lo sanno bene quelli che gli si aprono.
E si travasano.”
(Karl Hotakainen)
Chi ascolta non ha solo l’udito, ma anche il cuore e l’anima. Un’infermiera può diventare la vasca dove confluiscono le narrazioni degli infermi. Tutti conoscono quanto sia inesorabile il desiderio dei malati di travasare in noi le descrizioni delle loro sofferenze. Eppure i malati e gli infelici, il più delle volte, chiedono il dono di un ascolto partecipe, senza, cioè, la sbirciata all’orologio. Stare sulla soglia dei miei desideri e delle mie attese, cogliendo nel silenzio di uno sguardo libero, quei germogli che annunciano primavere inattese. È beatitudine.
Giuseppe – prete e viandante.
5/10/2017
LA LAICITÀ
“Il Vangelo è un libro di religione o la storia di un conflitto mortale con la religione?
In tutta la vita di Gesù i conflitti con i sacerdoti, i dottori della legge e i farisei, le osservanze e le norme religiose, sono stati sistematici.”
(Josè Castillo)
Gesù si è posto dalla parte della vita e delle felicità degli esseri umani, ecco perché il Vangelo incentra la sua attenzione, sulla salute dei malati, sulla convivialità con tutti (specialmente coi poveri) e sulle migliori relazioni umane. Gesù ha spostato, così, il centro della religiosità, che non sta più nel sacro, ma nell’umano. Il Vangelo è il grande racconto di questo conflitto, perché credere nel Vangelo è lottare contro ogni nostro tipo di inumanità e renderci ogni giorno più umani.
Giuseppe – prete e viandante.
11/10/2017
IO PER TE… MA NON PARLI!
Io per te, caro Renato, sono come il pigiama lasciato alla mattina sul termosifone per trovarlo caldo alla sera. Come il pane, tagliato prima di andare a dormire per la colazione di domani, quando hai ancora gli occhi chiusi. Come i vestiti preparati in fondo al letto, perché alla mattina dormi in piedi e allunghi solo il braccio. Come il casco e i guanti, già all’ingresso, che passi e prendi tutto al volo o come l’urlo dal bagno per ricordarti le chiavi, perché oggi è mercoledì e io non ci sarò quando torni, il mercoledì non ci sono mai. Ecco io non ti amo più, Renato. Non ce l’ho più fatta ad amare te che non mi volevi. Però, ecco ci sono. A farti delle cose. A dirti cose. A stare qui con te.
Giuseppe – prete.
(Renato è il marito di Martina, la quale ha una figlia di 9 anni, che mantiene facendo la donna delle pulizie. Da tre anni, persiste con lei, il silenzio di Renato).
14/10/2017
COME MAI SIAMO COSÌ INDIVIDUALISTI?
“Come abbiano fatto a diventarlo?
La si deve al Cristianesimo la scissione fra cittadini e società,
che in Occidente raggiunge forme esasperate.”
(Umberto Galimberti)
A partire da sant’Agostino, il cristianesimo fissa nell’anima il principio della individualità personale e colloca nella sua interiorità la rivelazione della Parola di Dio, quindi la verità. Da qui prende avvio la scissione fra individuo e società, che sarà il tratto caratteristico della cultura cristiana. All’individuo il compito di conseguire la propria salvezza, alla società e a chi la governa quello di ridurre gli ostacoli perché ciò si realizzi. Siccome la patria del cristianesimo non è di questo mondo, il cristiano fa il suo dovere, ma lo fa con indifferenza, a riguardo al buono o al cattivo esito dei suoi sforzi. L’individualismo, o meglio la perversione che afferma il primato dell’individuo, quando è contenuto nel mondo del lavoro o più in generale nel pubblico, si potenzia nel privato, che diventa quel recinto inviolabile, dove nessuno può entrare, in quella strenua difesa delle cose che si possiedono. Nella più totale indifferenza verso chi, è più disagiato di noi e chiede almeno uno sguardo.
Giuseppe – prete
22/10/2017
PERDONARE
“Di certe cose diciamo che non si possono perdonare o che non ce le perdoneremo mai. E invece lo facciamo e lo facciamo di continuo”.
(Alice Munro – scrittrice canadese).
Perdonare è un atto umano nobile e religioso, ma c’è sempre un rischio in agguato, nell’uso riflessivo del perdonarsi. Infatti, quanto si è esigenti col prossimo, tanto siamo indulgenti con noi stessi. Quanto siamo solenni nel denunciare la morale violata, quanto siamo generosi nello scusarci. Quanto ci inorridisce il gesto crudele di un altro, quanto siamo inclini a derubricare le nostre violenze. Non farebbe male, allora, un esame di coscienza vero e severo su noi stessi! Dovremmo essere sempre cauti nell’uso delle nostre idee per non trasformarle in pregiudizi, in quel caso, come suggeriva Kierkegaard: «Esse sono simili ai crampi ai piedi e il rimedio migliore è camminarci sopra.»
Giuseppe – prete
29/10/2017
PIÙ PAURA DI VERITÀ O DI MORIRE
“Gli uomini hanno, per natura, più paura della verità che della morte”
(Kierkegaard)
Kierkegaard cerca il confronto tra morte e verità, infatti, il filosofo danese osserva che spesso la verità è così bruciante e tagliente da creare panico in chi l’ha violata, trovandosi nudo e indifeso contro chi l’accusa. È doveroso, però, aggiungere che è proprio la verità che tutti dovremo morire che ci sconvolge ancora di più. Giuseppe – prete
(Amiche e amici, cari e gentili – mi dovete scusare – per la mia scarsa presenza negli ultimi dieci giorni, nelle mie risposte o riflessioni su Fb. Il motivo principale è dovuto a una caduta della pressione arteriosa, con problemi di scarso funzionamento alle vie urinarie e qualche altro disturbo. Vi posso assicurare che sono ben curato e assistito da amici medici competenti e tantissime amiche sagge e buone, e poi ho la sorella Giacomina che di giorno e di notte non cessa mai di farmi notare i piccoli progressi, che sto vedendo e soprattutto vivendo. Grazie di cuore!)
31/10/2017
SANTI E… LIBERI!
“L’anima libera è rara, ma quando la vedi la riconosci, soprattutto perché provi un senso di benessere quando gli sei vicino.”
Charles Baudelaire)
Domani sarà la Festa dei Santi. Non dovremmo più associare l’idea di santità alla perfezione o al miracolo. Santo può essere detto chi ascolta e accoglie, nonostante le proprie imperfezioni, lo Spirito di Dio, che soffia in tanti modi. Non è monopolio di nessuno e non sai da dove viene e dove va, ma è vento nuovo, di profezia e di sapienza, che rinnova tutte le cose. In questo senso i primi cristiani si dicevano “santi”. Così sono “santi” gli uomini e le donne in cui senti una vita spirituale intensa che si comunica attorno. È la sapienza e la costanza di andare avanti con coraggio, giorno per giorno. Se ognuno di noi esprime ciò che sente dei dolori e delle speranze, delle gioie e delle paure, delle bellezze e dell’oscurità dell’umanità a cui partecipa, la parola sarà sua e sarà vera.
Giuseppe – prete.
1/11/2017
LA MORTE…
“La morte è sempre la stessa, ma ogni uomo muore a modo suo”.
(Carson Mc Cullers)
È una frase molto severa, presa dall’ultimo romanzo della Mc Cullers: Orologio senza lancette. La scrittrice ci costringe a riflettere su un tema, esorcizzato dalla cultura attuale, ma che ininterrottamente rientra dalla finestra dello schermo televisivo e dei videogiochi o del computer: è la morte. Un fenomeno sempre uguale e scontato per noi creature, imprigionate nella gabbia del tempo, eppure sempre inatteso e originale, spesso ben diverso da come lo si è pensato. Esso è, comunque indescrivibile: perché personale, unico. definitivo.
Ecco , allora, la necessità di prepararsi a questo evento irripetibile con una vita piena e feconda. Il populismo, la malattia del nostro tempo, sacrifica il futuro per un presente molto effimero, sta erodendo infatti la cultura democratica europea e nord americana.
Giuseppe – prete.
29/11/2017
SORELLA MORTE
Verso la fine della vita, si desidera di più la vita, con le sue bellezze, dolcezze, piaceri, meno illusi e più maturi e si accettano anche le amarezze, che sono le ombre delle luci. Quando vedete un vecchio indovinate questi sentimenti nel suo cuore. La morte è ancora la nemica da respingere in là nel tempo. Poi arrivano le ore troppo pesanti e il vecchio desidera, prega la morte sorella. Così mi ha scritto un amico, mentre mi aveva preso una crisi di pianto irrefrenabile. «Beppe, si potrebbe dire: non è che Dio non ti ha voluto… sono gli Amici che Ti vogliono… e Lo persuadono a pazientare ancora e a rinviare l’Abbraccio! Anch’io ti abbraccio e ringrazio il Padre che ti “relega” tra di noi e quindi…»
Amici miei, carissimi, grazie, sono ancora con voi e vi amo tanto!
Giuseppe – prete e viandante.
1/12/2017
SCANDALO E INDIGNAZIONE!
Gesù scandalizzò i religiosi, dicendo che Dio ama anche i cattivi, perché ci ama come siamo, pur animandoci al bene. Nostro compito è cambiare noi stessi, in meglio, senza pretendere di cambiare gli altri. Accettando gli altri come sono, senza omettere di distinguere, in coscienza d’amore, ciò che è giusto o ingiusto nelle loro azioni, senza giudicare le loro intenzioni.
Noi davanti alla televisione, guardiamo i bombardamenti e gli affogati, i fuggitivi senza riparo. Voci potenti ci instillano paura contro le vittime delle nostre guerre militari ed economiche. La questione dei profughi ci ha messo alla prova: prima salvare o prima allontanare? Ci siamo indignati per le violenze dei terroristi, ma molto meno della struttura economico – politica. Ci manca, forse la coscienza attiva e civile per restituirci dignità?
Giuseppe – prete.
2/12/2017
VECCHIO E ANZIANO
“Parlare è un bisogno. Ascoltare è un’arte. Nella nostra lingua, se vogliamo definire una realtà irrazionale, stravagante, incoerente e insensata, usiamo il termine assurdo, che deriva da sordo”.
(Goethe).
C’è un paradosso ai nostri giorni: da un lato si proclama il rispetto per gli anziani e la loro tutela, ma, d’altro lato, li si relega in ospizi simili a lager, dimenticandoli..
Un’antica sapienza cinese invitava il giovane a toccarsi ogni tanto la faccia per sentirvi sotto il teschio futuro. Vivere nell’illusione di una perenne giovinezza, escludere qualsiasi meditazione sulla morte, ignorare il progressivo declino fisiologico, non è un atteggiamento sapiente. Fissare lo sguardo su un volto ormai rugoso è un atto non solo di attenzione per l’anziano, ma soprattutto una lezione per tutti di realismo, di umiltà e di coraggio.
Giuseppe – prete.
3/12/2017
PARLARE…
Non saper ascoltare l’altro diventa sorgente d’incomprensione e persino di follia. A prima vista, potrebbe sembrare un’esperienza facile. In realtà molti confondono l’ascoltare col sentire. Lasciarsi attraversare da flussi di parole e suoni non significa accogliere o respingere un messaggio vagliandolo, penetrandolo o giudicandolo.
Significativo, che nella Bibbia, il nostro “grande codice”, non solo spirituale, ma anche culturale, ci sia un unico verbo, che indica contemporaneamente ascoltare e obbedire. Mentre ascoltare è un arte, cioè un esercizio che nasce da una scelta, un’attenzione, un’adesione. Un’arte sempre meno praticata, a partire dai talk show televisivi, che sono appunto, un’irrefrenabile bisogno di parlare, di chiacchierare e non certo di ascoltare e capire.
Giuseppe – prete.
9/12/2017
PRINCIPI
“Non bisogna appoggiarsi troppo ai principi, perché poi si piegano”
(Leo Longanesi)
Scrittore e giornalista piuttosto caustico nei confronti dei vizi italici. Dargli torto è difficile, perché i più fieri assertori dei principi sono i primi ad usarli come bastoni per sostenere il proprio zoppicare. Per questo Oscar Wilde, ironicamente, confessava: “Non amo i principi, preferisco i pregiudizi.”
Infatti, tante volte, più sulla verità da custodire ci affidiamo a luoghi comuni da sfruttare. Ci sono sempre due estremi pericolosi. C’è chi adotta enfaticamente un principio come alibi per tutelare il proprio interesse, vuotandone l’etica, ma c’è chi imbraccia il principio come un’arma per colpire gli altri. Questa ultima è un’esperienza tragica a cui ci ha assuefatti il fondamentalismo. Forse il piccolo passo quotidiano o la semplicità è quel poco, fatto con amore, a renderci felici. Non chiedo mai di vedere l’orizzonte lontano, ma solo un passo, mi basta.
Giuseppe – prete.
14/12/2017
RIFLESSIONE IN PROSPETTIVA NATALIZIA
Appunti sparsi per una riflessione abbastanza docile sul Natale.
Oggi purtroppo la conoscenza è vissuta come una scoperta personale. Il linguaggio come scambio di informazioni. La libertà come semplice scelta. Giustizia come qualcosa da pattuire. Tutto ruota intorno al perno dell’Io, e magari all’illusione sovrana di stare al centro. Perno che non vede differenza, che equipara tutto con tutto, fatto salvo se stessi, nel proprio stare al centro. Fa di tutto il resto – del mondo e degli altri – qualcosa che deve rimanere a propria disposizione.
In questa ottica, un’Epifania, una parola d’amore – poetica e profetica – una responsabilità verso gli altri, una restituzione – in breve – qualcosa da accogliere- una rivelazione – non sarebbe neppure immaginabile, pensabile, neppure dicibile.
Giuseppe prete e viandante.
21/12/2017
MORIRE O…
Mi ha scritto Luigi: “È bello vivere da cristiani, anche se non si crede aldilà.“ Eh, sì,Gigi, ne sono convinto, anch’io. Però, a me morire dispiace! Vivere mi piace, finire nella discarica senza altra vita, non mi diverte, addirittura la cosa mi mette un po’ di tristezza.
Se c’è un Vivente, più vivo di noi, capace di donare vita, quello che con una certa rozzezza, chiamiamo Dio, se lui sopportasse, il nostro scomparire nel nulla, beh, non mi sarebbe simpatico, non si comporterebbe bene. Tu Gigi e io saremo più bravi di lui perché desideriamo la vita più della morte. Se io fossi Lui e il mio amico morisse, lo riprenderei nelle braccia nella vita più grande, come fa del resto una mamma col suo piccolo. Se Dio non c’è e noi siamo soli senza una giustizia che risarcisce la vittima e fa vergognare il violento (per poi salvarlo dalla sua miseria), allora alla prima occasione io faccio il mio comodo, perché non c’è altro. Infatti il ‘mondo’, quello che ha crocifisso Gesù, perché mette gli ultimi davanti i primi, ragiona: “Chi può faccia e chi non può, taccia”. Per questo, caro Gigi, ci vuole Dio, (o comunque si chiami) per fare la pace giusta.E se Dio lo inventiamo noi, vuol dire che ne siamo capaci, cioè lo abbiamo già nel cuore.
Giuseppe – prete!
22/12/2017
PER CONTRIBUIRE A UNA RIFLESSIONE NATALIZIA
Oggi attingo alla poesia di una grande donna e di una madre vera,che ebbi la gioia di conoscere personalmente poco prima della sua morte.
Giuseppe prete.
Natale senza cordoglio
e senza false allegrie…
Natale senza corone
e senza nascite ormai:
l’inverno che già sfiorisce
non vede il suo «capitale»,
non vede un tacito figlio che forse un giorno d’inverno
buttò i suoi abiti ai rovi.
Marina cara,
la giovinezza ti lambisce le spalle
ed è onerosa come la poesia:
portare la giovinezza
è portare un peso tremendo,
sognare fughe e fardelli d’amore
e amare uomini senza capirne il senso.
Il divario di una musica
Il divario della tua fantasia
non possono che prendere spettri,
perciò ogni tanto te ne vai lontana
in cerca di una perduta ragione di vita
in cerca certamente della tua anima
Alda Merini
23/12/2017
ATTESA ATTIVA
In agricoltura e nella cultura del contadino c’è l’arte di saper aspettare.
Attendere è un atteggiamento enormemente radicale verso la vita, soprattutto, oggi, in un mondo che freme fino alla frenesia. Non sappiamo aspettare. Avere fiducia che ci accadrà qualcosa che è molto al di là della nostra immaginazione, abbandonando il controllo del nostro futuro. Saper aspettare è segno di pacatezza , è tempo di riflessione, è preparazione alle sorprese. È vivere con la convinzione che Lui ci plasma secondo il suo amore e non secondo la nostra paura. La vita spirituale è una vita in cui noi aspettiamo, attivamente presenti al momento. Aspettiamo cose nuove che ci accadano, che sono molto al di là della nostra previsione o immaginazione. Forse ci unisce la faticosa speranza di un miglioramento dell’umanità. C’è chi crede di migliorare lottando contro gli altri, (mentre così facendo, peggiora le cose). C’è chi crede possibile, un’’evoluzione del genere umano verso la riduzione della violenza e la crescita della convivenza. È chiaro ormai che è solo uno sguardo lungo e profondo sostiene l’azione.
Giuseppe – prete e viandante.
24/12/2017
VIGILIA DI NATALE
Una riflessione abbastanza docile sul Natale.
La tenerezza è quando il nostro corpo, il nostro spirito, il nostro animo sono unificati. Essere a proprio agio con il nostro corpo. La tenerezza è aver assunto la propria sessualità, non averne paura, non temere la relazione con l’altro. La tenerezza è il modo con cui la madre porta in braccio il proprio bambino, il modo con cui un’infermiera cura le ferite. La tenerezza è non fare mai del male a un povero. La tenerezza è la qualità d’ascolto, un modo di toccare. Qualcosa che dà sicurezza, che rivela all’altro: “Tu sei importante”. Amare qualcuno non vuol dire “fare delle cose”, ma rivelargli il suo valore. Tu dunque hai un messaggio da dare: la tenerezza. Credo sia il dono di Dio per l’essere umano, ma richiede tempo. Buon Natale!
Giuseppe – prete.
29/12/2017
STO PER VOMITARTI…
”Di un pagano si può fare un cristiano, di un peccatore un santo.
Di coloro che non sono niente, né pagano, né cristiano, né peccatori,
né santi, né caldi, né freddi, di loro cosa ne faremo?”
(Charles Peguy)
Sono persone all’apparenza sane, ma che dentro all’anima sono rinsecchite. È questa, una delle peggiori malattie del nostro tempo, definita con la parola superficialità. Essere solamente esteriorità, banalità, mediocrità, non essere mai increspati da una domanda sul valore della vita, sul senso delle proprie azioni, sul fine di un esistere, trascinato sempre dal grigiore di un quieto sopravvivere.
Nell’Apocalisse c’è un monito veemente, scagliato da Cristo, contro costoro, che non sono niente… «Conosco le tue opere, tu non sei, né caldo né freddo. Magari tu fossi freddo o caldo! Poiché sei tiepido, cioè, né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca.»
Giuseppe – prete.
31/12/2017
INTIMITÀ
“Il silenzio è il mistero del mondo futuro,
mentre la parola è lo strumento del mondo presente”
(Isacco di Ninive)
L’intimità è un luogo segreto dell’anima con una piccola porta che non apriamo quasi mai a nessuno. Lì nascondiamo i bisogni più intensi, la responsabilità delle nostre scelte macchiate dai veri dolori e tutto ciò che ci ha reso davvero così. Se non ti è stato permesso di aprire quella porta non prenderti mai diritti che non hai sulle persone perché delle persone sai molto meno di quel che pensi.
Giuseppe – prete e viandante.