La scuola facilitata italiana

di Gandini Andrea

Il generale appiattimento
Il danno scolastico è il titolo del libro che hanno scritto Paola Mastrocola e Luca Ricolfi (pag. 270, 19 euro, ed. La nave di Teseo). Paola Mastrocola è stata insegnante di liceo a Torino per 30 anni. La tesi del libro è che l’abbassamento del livello scolastico avvenuto negli ultimi 50 anni abbia prodotto un danno a tutti gli studenti, ma in particolare a quelli delle famiglie più povere, i quali avevano nella qualità della scuola l’unico modo (in passato) per conquistarsi posizioni elevate nella società proprio in base ai propri meriti scolastici.
Oggi invece il generale appiattimento, oltre a danneggiare tutti, favorisce i figli delle classi più benestanti che usano i loro più potenti sistemi di relazione sociale e il maggior denaro per aiutare i propri figli sia nel migliorare il livello di studi, sia per inserirsi più facilmente nelle posizioni alte della società.
Capita sempre più spesso che un quarto o un terzo degli iscritti al primo anno delle superiori si trovino senza quelle “basi” minime per progredire speditamente negli studi. A questo punto gli insegnanti hanno due possibilità: o “se ne fregano” di questa parte debole che comunque viene promossa (ci penserà poi la vita a ridimensionarne le aspettative), oppure inizia un duro lavoro di “recupero” di questi studenti “deboli”, che costringe tutta la classe ad abbassare gli obiettivi di apprendimento. I genitori delle classi più abbienti (accorgendosi di questo abbassamento dell’istruzione) intervengono però integrando ciò che si fa a scuola con altri studi (al pomeriggio e anche all’estero), in modo che la facilitazione della scuola non nuoccia ai propri figli, i quali saranno anche aiutati nella vita e nel lavoro tramite la loro più efficace rete di relazione. Ci sono infatti molte regioni in Italia (sia al sud con la mafia, sia al nord col clientelismo sia di destra che di sinistra) dove il lavoro si trova soprattutto attraverso genitori e parenti, essendo debolissimi in Italia i servizi pubblici per l’impiego.

Sempre meno opportunità di ascesa sociale
Un’indagine Istat sulla mobilità sociale del 2009 e successive elaborazioni della fondazione Hume mostrano che oggi in Italia le posizioni di lavoro medio-alte sono più numerose di quelle medio-basse (che nel passato erano in maggioranza), ma esse si stanno riducendo da circa 30 anni, come conseguenza del declino del nostro Paese, iniziato a metà anni novanta. Inoltre in Italia c’è stata una crescita modestissima della maggioranza degli stipendi delle fasce medio-basse per cui oggi le opportunità di ascesa sociale (fare un buon lavoro ben pagato) di chi è nato dopo il 1977-78 sono nettamente minori di chi è nato tra la fine della guerra e il 1977.
La tesi centrale del libro è però che oggi i figli delle classi più abbienti hanno 4 volte più possibilità di occupare le posizioni medio-alte (seppure in calo) rispetto ai figli delle famiglie meno abbienti, proprio a causa della “scuola facilitata” che è stata creata.
In un confronto internazionale l’Italia fa parte del gruppo delle società più inique (con USA e Regno Unito) e molto lontana dai “paradisi ugualitari” dei paesi scandinavi, i quali usano proprio la qualità della loro scuola come via di emancipazione di quei «capaci e meritevoli che, se anche privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi», come recita l’art. 34 della nostra Costituzione, che è invece stato del tutto tradito (secondo gli autori) dalla nostra scuola “facilitata”.
Uno strumento fondamentale sarebbero, secondo gli autori, le borse di studio a favore di quei «capaci e meritevoli» figli di famiglie povere, del tutto inesistenti in Italia.
L’abbassamento della scuola sarebbe avvenuto con le varie riforme post ’68 che hanno reso più facili gli studi. Un esempio significativo è che agli esami di maturità veniva bocciato negli anni ’60 il 30% degli allievi, negli anni ’90 il 10%, oggi l’1%. Deleteri sono stati princìpi come il divieto di bocciare nella scuola dell’obbligo (primi 8 anni), il diritto al “successo scolastico”, l’abbandono della centralità delle materie fondanti (italiano, latino, matematica…).
Ciò ha prodotto un danno generalizzato, ma a pagarlo sono soprattutto i figli delle classi povere che non possono più usare la buona scuola per un’ascesa sociale.
La scuola “facilitata” è stata un errore soprattutto delle riforme di sinistra, a cui la destra non ha mai saputo obiettare nulla, anzi le ha condivise. È anche frutto dell’evoluzione della mentalità collettiva (e dei genitori spesso a figlio unico) in cui la scuola dell’obbligo (e non solo) è tanto più buona in quanto “non boccia”. L’abbandono della serietà (e difficoltà) degli studi, del latino, dell’analisi logica, della geometria analitica, di una matematica che non si spinge alle equazioni di secondo grado, di un italiano e filosofia che non si alimentano più del pensiero dei grandi del passato, ecc. ha prodotto un danno proprio agli “utenti” di quella moderna scuola, diventata “azienda pubblica erogatrice di servizi” che si infiocca con immaginifiche materie, il Pof, il digitale e altri “lustrini”, ma che mina la capacità di far pensare, di scrivere bene, di parlare in modo ricco, quel rapporto maestro-allievo così determinante, la serietà degli studi e le bocciature: se uno studente prende un brutto voto è un problema più dell’insegnante che dello studente.
Gli autori criticano anche don Milani, non per le sue doti di educatore e di generosità di un prete punito per le sue idee eretiche (e giuste), ma laddove dice in Lettera a una professoressa che «gli insegnanti smettano di fare le cose difficili che umiliano i poveri, e interroghino i poveri sulle cose che già sanno… a scienze ci parlerete di sarmenti e ci direte il nome dell’albero che fa le ciliegie». Per Paola Mastrocola è proprio questa “facilitazione” che spiazza i poveri, i quali hanno tutto il diritto invece di essere formati sui grandi pensatori del passato, sull’Iliade e l’Eneide. E come non essere d’accordo.

La disgregazione sociale avanza nella scuola
Se molte cose scritte in questo libro controcorrente sono condivisibili, non lo è la critica a don Milani che non c’entra nulla con la “facilitazione” della scuola. Il priore di Barbiana fece una critica alla scuola selettiva degli anni ’60 (morì nel 1967), che era severa ma anche molto elitaria e ferocemente selezionatrice delle classi socialmente più emarginate: contadini e operai venivano bocciati e precocemente spediti a lavorare. Allora la battaglia (sacrosanta) era per una scuola che fosse meno discriminante, meno “astratta”: si metteva in discussione la selezione quasi sadica contro gli ultimi che non avevano possibilità di recuperare col tempo pieno o altri sostegni. Don Milani si batteva per una scuola che garantisse a tutti l’accesso al pensiero (anche quello alto, non solo dei sarmenti e degli alberi), ma che doveva anche motivare e aiutare gli alunni più poveri, partendo dal loro mondo agricolo, montanaro, dei lavori umili del loro doposcuola.
Oggi siamo in una situazione completamente diversa e l’abbassamento dei livelli d’istruzione si coniuga con una debolezza dei giovani docenti: spesso impreparati e demotivati. Non parliamo poi dell’eccesso di protagonismo di genitori di una famiglia sempre meno unita, che alla prima difficoltà del figlio a scuola ingaggiano una lotta col docente per nasconderne i problemi sotto il tappeto.
La disgregazione sociale avanza nella scuola, minata non solo dalla facilitazione ma da una coltre di iniziative spesso retoriche, figlie della moda del marketing. Educazione civica per esempio non si impara sui banchi (dall’istruzione), ma svolgendo pratiche di aiuto ai deboli (dalla sperimentazione) e operando nella tua comunità.
Al priore di Barbiana interessava moltissimo far studiare quegli otto montanari («la scuola sarà sempre meglio della merda») e denunciava proprio l’impossibilità di poter studiare in quei luoghi o di proseguire gli studi. È vero che dice che «la scuola dell’obbligo non può bocciare», ma don Milani non era per un’istruzione “facilitata”, anzi si doleva del fatto che «un operaio conosce 100 parole, il padrone 1000. Per questo lui è il padrone». Non aveva nulla contro il pensiero dei grandi del passato ma voleva anche valorizzare l’apprendimento che viene dalla vita e dal lavoro (dei suoi montanari) e da maestri che non hanno solo studiato e letto dei libri, un apprendimento che facesse tesoro anche dell’esperienza di vita e di lavoro dei suoi poveri contadini che conoscevano bene i «sarmenti e gli alberi».
Oggi la scuola deve diventare certamente più seria, ma deve anche integrare l’istruzione (certamente più rigorosa e ben fatta di quella “facilitata” odierna) con un apprendimento che viene dalla sperimentazione che è l’altra via principale, molto elusa dalla nostra scuola. Va riavviato un processo a lunghissimo termine, che deve investire su un cambiamento culturale radicale e su scelte politiche conseguenti. Ci vogliono anche più risorse, le riforme infatti non si fanno senza soldi. Oggi col PNRR ci sarebbero anche, ma manca una visione che non può essere sostituita dal digitale (la finta modernizzazione).

Andrea Gandini

componente della redazione di madrugada

economista, già docente di economia aziendale, università di Ferrara, con la quale collabora per la transizione al lavoro dei laureandi