Dopo la Bosnia, di nuovo guerra in Europa
Le notizie gli allarmi
Fine febbraio 2022: sento alla televisione i primi dibattiti sugli spostamenti delle truppe russe ai confini con l’Ucraina. Sui giornali le motivazioni, le ragioni varie che spingono Putin a minacciare l’invasione. Nelle conversazioni private si discute da che parte stia la ragione, se pure c’è una ragione nella forza.
Quando arriva l’ultimatum da parte del dittatore Putin, ancora si spera che nulla succeda, nonostante il dispiegamento di forze. Poi l’avanzata dell’esercito russo che invade l’Ucraina, giovedì 24 febbraio.
Sull’atlante geopolitico cerco l’Ucraina e leggo gli avvenimenti iniziati nel 2014. Comincio a capire qualcosa da quello che ha preceduto l’invasione dell’Ucraina. Mi informa delle minoranze russe, su cui si sono costituite le due repubbliche nel Donbass. Ci sono dei rapporti dell’Ucraina con l’occidente mal visti dal Cremlino.
Ma come mai mi risveglio solo ora su questa lunga contesa e come mai i nostri governanti si ritrovano impreparati all’evento? Leggo due riviste che hanno chiuso in tipografia il quindici febbraio, che mettono in evidenza la dipendenza dell’Europa dal gas russo, e ancora pensano che un’invasione dell’Ucraina sia un’ipotesi possibile, ma non primaria.
Dentro una bolla protettiva
Soldato – Hebron, Palestina E noi cittadini d’Europa dove eravamo in questi anni? A mio parere noi viviamo come dentro una bolla, all’interno di imperi economico-militari che ci proteggono e insieme ci controllano, condizionano le nostre informazioni e ci spingono sul percorso degli interessi e dei progetti da loro coltivati e mantenuti in parte o decisamente coperti.
Imperi che non si accontentano di quel che controllano, ma sono in continuo movimento di espansione economica, territoriale, politica.
Non si accontentano di quel che possiedono, ma vogliono raggiungere i primi posti nel controllo della Terra.
Un controllo militare e un controllo economico; un controllo culturale e un controllo politico.
Gli imperi ci danno e ci offrono la sicurezza, ma in cambio diventiamo sudditi dei loro progetti.
Tagliati fuori direttamente o indirettamente da quanto avviene e dalle grandi decisioni.
La competizione è la molla che muove i grandi imperi, economica, militare, ideologica assieme al controllo dei cittadini.
Non solo un controllo sulle informazioni, ma anche sulle ideologie; incidono sui sistemi di potere, cui corrispondono paesi socialisti, comunisti, liberali, capitalisti. Con influenze sulla cultura attraverso i mass media e le notizie false.
Tutti questi imperi hanno un’aggressività costante: economica, militare, ideologica che tutto controlla, direttamente o indirettamente la formazione, il linguaggio, l’espressione sociale e politica dei cittadini.
Quale non violenza?
In questa situazione come impostare una cultura di non violenza, di tolleranza? Nei frangenti di conflitto le nazioni cercano di smorzare la violenza e di allestire tavoli diplomatici per affrontare e fermare la guerra; trovare accordi; costruire canali umanitari per fare defluire la popolazione imprigionata tra le bombe; accordarsi sul rispetto di luoghi e strutture, risparmiare i civili. Tutto questo avviene nei momenti in cui scoppia il conflitto; ma prima cosa facciamo, quali sono i movimenti che costruiscono rapporti di tolleranza, di non violenza, di interventi umanitari? Mi si risponderà che ci sono nelle scuole processi di educazione alla pace, nella società strutture di pronto intervento, ci sono piccole e grandi associazioni che impugnano le carenze delle leggi e agiscono pure contro le leggi di ordine interno, per salvare gli inermi, i disperati che fuggono dalle guerre e dalle carestie.
Tengo tra le mani un libro su Gandhi e cerco con il suo ausilio di capire cosa si possa fare. Certo non una scelta individuale, non un processo automatico, ma quale sia il senso della scelta di Gandhi e perché oggi, in questo frangente, lo si percepisca fuori luogo.
A volte si pensa che sia un metodo, o un modello da seguire letteralmente, dimenticando che le situazioni in cui è vissuto Gandhi sono diverse, che il processo educativo alla non violenza fa parte di una scelta interiore, non è un processo individuale, ma personale, non è astratto ma si esperimenta nel crogiolo degli eventi; il non violento matura nella sua formazione e nelle sue scelte a contatto con gli altri e con la società, la sua maturazione è sociale e diviene scelta politica nell’esperienza concreta del vivere e le molteplici situazioni. È dunque un lungo processo di formazione e di educazione, che allarga il cerchio delle sensibilità e delle scelte nel paese dove opera.
Quale esperienza viviamo oggi
In questo momento di guerra la non violenza può sembrare inutile, perché noi spesso misuriamo l’efficienza immediata della scelta non violenta sugli eventi di guerra.
Il fatto che oggi ci siano posizioni diverse rispetto a questa guerra, per cui ci sono quelli che disapprovano il rifornimento di armi all’Ucraina e altri invece che sono d’accordo, sta a significare che c’è un dibattito ideologico attorno alle scelte.
Dibattito che crea schieramenti di opportunità, ma anche opinioni che nascono dalla nostra Costituzione che ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli.
Le guerre, ma anche la competizione tra gli Stati, il potere che rifiuta ogni controllo, disprezza e deride la non violenza.
Gandhi, nella lotta di indipendenza dell’India dall’Inghilterra, ha dovuto svolgere un grande lavoro educativo che ha raggiunto un traguardo positivo; nella composizione delle relazioni tra indù e musulmani ha dovuto ammettere la sconfitta delle sue posizioni, perché il popolo non era pronto, e perché la scelta della non violenza è una scelta di vita, che va preparata nel tempo e ha percorsi di gestazione e formazione.
Che fare oggi di fronte al dramma dell’Ucraina? Accogliere quanti tentano di sfuggire dalla guerra, aiutare il Paese a difendersi dall’aggressore anche con il rifornimento di armi, pur sapendo che non risolve il conflitto, ma difende la dignità di chi lotta per la propria terra; nello stesso tempo è necessario continuare con la trattativa diplomatica che coinvolga forze di pace, per arrivare a un cessate il fuoco e impedire l’espandersi territoriale del conflitto. Difendere la dignità del popolo ucraino aggredito, avanzare proposte che producano un clima di equilibrio che non sia facilmente interrotto.
La non violenza non si basa su dei principi assoluti o se c’è qualche indicazione di metodo sta nel non danneggiare nessuno, di seguire il sentiero della verità, che viene sperimentata nel crogiolo degli eventi e coltivare relazioni di amicizia, che diano orientamento e senso al difficile percorso intrapreso.
Mentre scrivo le trattative non stanno portando frutto, gli avvenimenti non sono favorevoli a una tregua, da parte dell’invasore c’è una volontà ostile di superiorità e travisamento dei fatti.
E noi seguiamo con ansia gli eventi drammatici e luttuosi, che insanguinano il paese, terrorizzano i civili, bombardano e distruggono le città.
Coinvolti anche noi in un clima di guerra e di restrizioni, che rallentano la nostra uscita dalla pandemia e le riforme promesse per rinnovare il paese.