Disarmiamoci

di Peyretti Enrico

5 febbraio 2022, venerdì Ore 21:44:57 – Sempre più mi convinco che il DISARMO è il punto decisivo.

26 febbraio 2022, sabato
Ore 17 – Perché i popoli si uniscano in pace, e l’umanità si avvii a essere pacifica (abbastanza per vivere), occorre fede/fiducia nell’umanità. È il solito dilemma: «miseria e grandezza» (Pascal).
Guardiamo, temiamo, puntiamo sulle armi della paura e dell’uccidere, oppure sulla grandezza che l’umanità ha pur dimostrato in mille modi, in alternativa alla propria miseria? Ore 17:42 – Ricevo: «Attenzione: nelle manifestazioni per la pace in molte città, gruppi di ucraini presenti, pur comprendendo la loro situazione drammatica come prime vittime delle guerra, non vogliono sentir parlare di pace e invocano l’escalation verso una guerra mondiale con la partecipazione diretta degli eserciti europei e della NATO in loro difesa per respingere l’esercito russo». Aggiungo io: non dobbiamo assecondare l’idea che i “pacifisti” dormivano e che si sono svegliati oggi. A Torino, sulla questione Ucraina, abbiamo cominciato il 4 febbraio. Ma noi nonviolenti attivi e positivi (ben più che “pacifisti”) dobbiamo rivendicare la cultura e l’azione nonviolenta che da decenni (e culturalmente da secoli e millenni) stiamo costruendo.
Se i grandi numeri si vedono solo nei momenti dell’emozione e del dolore, la cultura di pace è radicata, ma ha bisogno di diventare politica effettiva. Dobbiamo solo continuare, insistere, approfondire, comunicare.

27 febbraio, domenica
Ore 7:07 – Una bella giornata di sole per la Pace. La Piazza Castello di Torino ieri, sabato 26 febbraio 2022, ha urlato forte la contrarietà alla guerra e la richiesta immediata di fermare il conflitto in Ucraina. Migliaia di persone avvolte nelle bandiere della pace, associazioni le più diverse, sindacati, partiti, centri studi, movimenti, istituzioni, parlamentari… Con una sola voce: no alla guerra.
Saharawi’s street – El Aaiun Refugee camp, Algeria Mi scrive un amico, nell’angoscia della guerra di Putin all’Ucraina, con l’animo rincuorato dalle grandi manifestazioni per la pace in tutto il mondo: «Negli interventi e nei commenti si intravede solo l’alternativa tra guerra (morire per Kiev) e sanzioni (giudicate finora inefficaci). Con tutto il rispetto per la chiamata ucraina alle armi (è il solo strumento che le nostre società hanno imparato) osservo che si è persa la prospettiva di una difesa popolare nonviolenta».
Ha molta ragione. La difesa possibile e giusta da un’aggressione violenta è la difesa popolare nonviolenta. Noi comprendiamo con angoscia chi, di fronte a un’aggressione come questa di Putin, pensa alla difesa armata. Comprendiamo totalmente chi vuole difendere le proprie città, case, persone, bambini e la vita e i diritti di tutti.
Vorremmo anche poter comprendere le politiche dell’Europa e dell’Italia che dispongono in queste ore aiuti militari ingenti sui confini dell’Ucraina.
Ma sappiamo che queste scelte sono vetuste, interne allo stesso linguaggio dell’invasore, pur con fini opposti. Sappiamo che così la storia umana non procede nell’umanizzarsi.
È necessario vivere questa angoscia decidendo per il cammino umano e non per ripetere una storia retrograda. Questo momento della guerra di Putin all’Ucraina è l’ennesima occasione per la necessaria mutazione della cultura politica e dei conflitti.
Diceva Norberto Bobbio: «A volte mi sono pentito di non avere ucciso un nazista, ma so che se lo avessi fatto me ne pentirei».

1 marzo, martedì
Sì, amico mio grande, hai ragione. Per questo ho scritto “angoscia salutare” perché non c’è una soluzione immediatamente chiara e obbligante.
Chi resiste con le armi io lo rispetto, anche se temo che sia caduto in un gioco mortale con l’intenzione santa di difendere vite. Lo sai, a nove anni ho visto uccidere, prima di veder morire il nonno a 99 anni. Erano tre giovani soldati tedeschi, isolati, perduto il contatto coi loro in ritirata, perché la guerra era appena finita, nell’aprile di sole. I partigiani li presero e li fucilarono in piazza, senza il consenso della popolazione del paese, a cui il parroco si era appellato. Gridarono “pecoroni” alla gente e li fucilarono. Li avevo visti passare vivi, tornare morti coperti di sangue sul carro tirato da un asino, angelo mite sulla terra. Dopo anni li ho visitati nel cimitero tedesco di Costermano, sul Garda, tre soldati senza nome: unbekannt. Avrei voluto scrivere alle loro famiglie. Però, il bene nel male, più del male: un quarto soldato tedesco fu risparmiato, riparato nel municipio perché aveva molto aiutato e protetto la popolazione locale. Lo cercai dopo anni: Josef Schiffer, di Düsseldorf, l’ho invitato a Torino, siamo andati a S. Anna di Stazzema, sono andato a trovarlo tre volte in Germania, simpaticissimo, è morto nel 2011 a 96 anni, alla fine aveva la demenza allegra. Ebbene, quei partigiani facevano una guerra ben giustificabile, ma le armi della morte hanno preso possesso di loro. Credo che l’abitudine a uccidere, anche con giustificazione, uccida chi uccide. Il problema ora in Ucraina rimane, e rispetto ma non condivido chi si arma, e chi fornisce le armi come l’Italia e l’Europa, ahimè, inchinandosi alla guerra invece di scoprire in sé la capacità umana anche di morire, se occorre, ma di rifiutare la gara della morte data, creata in luogo della vita.
Restiamo umani, diventiamo umani. Un popolo, se è preparato (e ci sono tanti casi storici) ha la non-collaborazione, la disobbedienza sistematica al dominio, l’obiezione di coscienza condivisa, come arma-strumento di svuotamento del potere ingiusto. Capisco che non siamo abbastanza avanzati su questa via, anche perché la cultura dominante l’ha nascosta al popolo, lasciandolo prigioniero della guerra come destino, criterio decisivo, regina della storia. Ahimè.

3 marzo, giovedì
Il disarmo conviene. Non solo economicamente.
Molto di più.
Se io sono disarmato, e tu mi minacci o mi spari, sei un assassino, meno umano, mentre io salvo la dignità di tutti e mia. Posso morire, ma salvo la nostra umanità per chi vivrà dopo di noi.
Se invece io sono armato, tu hai motivo di Mercato – El Aaiun Refugee camp, Algeria temere, ti senti minacciato, e spari prima che ti spari io. Siamo rovinati e perdenti entrambi.
Abbiamo rovinato l’umanità per tutti.
Il disarmo è maggiore sicurezza, dignità, umanità, progresso, intelligenza, evoluzione della nostra specie.
In tutte queste ore, persone di sicuro valore morale, mi interpellano sul dovere di aiutare, anche con le armi, chi è aggredito con armamenti ben maggiori. Io capisco la loro coscienza, capisco e vivo il dramma lacerante tra il dovere di un aiuto efficace, il dovere di non tradire la richiesta e il dovere di non infiammare di più la guerra e di non accettare la logica omicida.
Gli ucraini aggrediti hanno possibilità di difesa senza fornitura di armi nostre, che ci fanno belligeranti? Conoscono e possono usare le tecniche e la forza morale efficace della difesa popolare nonviolenta? Accettiamo in coscienza queste domande laceranti, ma risolviamo il dilemma doloroso nella direzione della forza nonviolenta giusta.
Seppure con un certo tormento, e a rischio di essere giudicati, io sento di dover risolvere il dilemma, nel senso di non aggiungere strumenti di morte imitando gli aggressori e la loro violenza.
Sosteniamo tutto lo spiegamento di aiuto umanitario senza alcuna discriminazione. In questo, e nella resistenza forte nonviolenta, vediamo la vera profonda e lungimirante alternativa all’orribile guerra, che l’umanità deve condannare.

Enrico Peyretti

operaio del leggere e scrivere, fondatore de “il foglio”, mensile di cristiani torinesi

ricercatore nel Centro Studi per la pace e la nonviolenza “Sereno Regis” di Torino