Ansia e allegria di nuove stagioni

di Cifelli Adriano

«Non sapendo quando l’alba possa venire
lascio aperta ogni porta,
che abbia ali come un uccello
oppure onde, come spiaggia»
Emily Dickinson

«Restare significa
mantenere il sentimento dei luoghi
e camminare per costruire
qui e ora un mondo nuovo».
Vito Teti

Restare, partire, sperare
Ci sono parole che a volte ti entrano dentro, inaspettatamente, nemmeno ricordi più dove le hai ascoltate, chi le ha pronunciate. Parole che esprimono non solo concetti, ma aprono finestre, rievocano esperienze o preparano a un futuro.Una di queste è “restanza”. Ero a Lecce, a conoscere una bellissima esperienza umana ed ecclesiale. Un gruppo di persone che vive nello spirito del vangelo, sostenendo anche giovani “speciali”, attraverso laboratori, arte e tanta umanità. Nel caldo di Lecce, visitando il laboratorio artistico di quei ragazzi, tra ceramiche e lavori artistici, viene fuori questa parola. Si organizza anche una scuola di restanza. Mi si accendono il cuore e la mente. Quante volte, da molisano, uomo del sud, ho parlato con altri sulla bellezza e anche sulla fatica di restare. Come dirlo ai giovani, che cercano lavoro, ma le prospettive poi sono sempre migliori andando via. Un fenomeno ben conosciuto, universale. C’è chi oggi viene da noi da altre terre e tanti giovani, soprattutto del sud, vanno al nord. Ho ritrovato con piacere Paola, un’amica che è tornata a lavorare nella sua Sardegna dopo essere stata a Milano. Coraggiosa, ma quante difficoltà.Restanza – come dice l’antropologo Vito Teti, che ne ha parlato in un libro dal titolo “La restanza” – è ancorare il corpo a un luogo e fare diaspora con la mente. La scelta tra partire e restare, ma anche chi resta in fondo parte e chi parte, resta. Nel paesino dove vivo, e in tanti altri del Molise e del sud, soprattutto, l’estate è tempo di ritorno nei luoghi natii, dove si riaccendono la memoria e la nostalgia. Posti che non sono più quelli lasciati un tempo, e allora si fa spazio ai ricordi.

L’oste di Gairo, che rimane nonostante la frana
Restanza è parola pregnante che parla di futuro e di giovani, soprattutto.C’è chi resta, perché sente dopotutto di dare una speranza ai propri luoghi. E chi invece cerca futuro per sé e per gli altri andan-dosene. In questi giorni, visitando la bel-lissima terra di Sardegna, ho incontrato Sandro, l’oste che da solo porta avanti la sua pizzeria a Gairo, paesino dell’entroter-ra nuorese, spazzato via nel 1951 da una frana: si vedono le case vuote e spettrali, mentre un po’ più su è sorto il nuovo paese. Impressionato da ciò che avevo visto, ho chiesto a Sandro di raccontarmi la storia. Difficile lasciare quelle case e qualcuno, nonostante il pericolo, ci è rimasto finché ha potuto. Restare? A volte si resta sulle situazioni, sulle emozioni, ci si ferma sui particolari o su certe ferite. Non sempre fa bene. Altre volte tocca lasciare e cercare, esplorare. Mi sento come in tensione tra questi due moti. Anche Gesù camminava, lasciava i villaggi e poi restava, si fermava con i suoi. Restanza sembra proprio far rima con speranza. Fuor di retorica, sento che questa parola significa molto e può aprire spiragli di futuro. Aiutando a restare, guardando con occhi nuovi ciò che si crede di conoscere per dargli una nuova vita.

Declinando le facce del futuro
Futuro è l’altra parola che mi affascina e mi fa paura. Che futuro c’è davanti a noi? Imperversa da oltre 140 giorni una guerra nel cuore dell’Europa e altre meno vicine, ma non meno cruente. La pandemia non è ancora debellata e una grande siccità sta rendendo sempre più foschi gli scenari futuri. La politica non sembra dare molta attenzione al futuro, se non quello imminente delle prossime elezioni. Il futuro va costruito già ora, individuandone le possibilità, come una freccia scoccata in cui il presente è già anticipo di futuro.Poi c’è anche un futuro, un avvenire, un tempo dove io sono il protagonista ma non nasce da me. Tempo donato, che si dispiega, che si accoglie. Emily Dickinson, una poetessa americana, in una sua celebre poesia osava dire che c’è un’alba che viene e che cerca solo una porta aperta dove entrare.Tanti giorni sono così anche per me, lo racconto spesso. Non l’ansia di fare e cercare di cambiare le cose, ma semplicemente un restare, un sostare sulla soglia di casa accogliendo ciò che mi è offerto: storie, volti, occasioni e tutto ciò che la vita può donarmi. Nell’Apocalisse si legge «sto alla porta e busso». Porte non blindate, senza allarmi antintrusione, non da spalancare, ma da lasciare ac-costate per permettere alla luce tenue dell’alba di fluire ed entrare.Come per Marta e Maria mi verrebbe da dire: il coraggio di sostare e accogliere l’essenziale che si presenta alla tua porta. Dargli tempo e spazio, senza rincorrere il da farsi, seppur importante.Il tempo moderno ci ha abituati alla fretta, almeno a chi come noi vive nella parte di mondo occidentale. Alex Langer diceva che forse bisogna invetrire il paradigma; la sua proposta si basava sul rovesciamento del motto olimpionico «Citius, altius, fortius» (più veloce, più in alto, più forte), da trasformare in «Lentius, profundius, suavius» (più lento, più profondo, più lieve): una svolta antropologica, spirituale ed ecologica oltre che politica. C’è bisogno di respirare, di restare, ma non oziando; restare per lasciarci illuminare dall’alba. Il futuro verrà e avrà il sapore di una vita che continuamente ci è data e che sa stupirci. Avrà le nostre mani e vedrà con i nostri occhi. Don Giuseppe Stoppiglia avrebbe detto che il futuro sarà delle donne, capaci di generare con gratuità.

Adriano Cifelli

prete e componente la Segreteria Generale di Macondo

svolge il suo ministero a san Giuliano nel Sannio (CB)
dove si confonde con il mondo
nell’accoglienza dell’altro e nel dono di sé.