All’incrocio di molte identità
Jorge Mario Bergoglio è nato a Buenos Aires il 17 dicembre del 1936; dopo le coraggiose dimissioni di Benedetto XVI, il 13 marzo 2013 viene eletto al quinto scrutinio dal conclave e diventa il 266° papa della Chiesa cattolica. Bergoglio sceglie per sé un nome del tutto inaspettato, mai utilizzato negli ultimi otto secoli, un nome che appare subito “rivoluzionario”: «Mi chiamerò Francesco».
Il prossimo dicembre papa Francesco compirà 86 anni, mentre a metà marzo si completerà il decimo anno del suo pontificato. Bergoglio governa la Chiesa da ormai un decennio – o piuttosto, cerca di governarla – ché anche per l’ultimo sovrano assoluto del mondo vale la frase che Cesare Pascarella mette in bocca al re di Spagna: «Per esser re son re, ma mica posso far quel che mi pare». È un uomo vecchio, malandato, claudicante. Lui stesso, di recente, ha detto con chiarezza che qualora non ne avesse più la forza si farebbe da parte, seguendo l’esempio del suo predecessore.Tutto questo per dire che, se non è ancora il tempo per tentare un bilancio del suo pontificato, c’è ormai moltissimo materiale autografo (encicliche, discorsi, libri, filmati, interviste, decisioni da lui assunte o invece evitate o rimandate) su cui riflettere. Una riflessione che la redazione di madrugada ha ritenuto importante avviare. Almeno per due ragioni.
Francesco è stato, ed è tuttora, un leader mondiale straordinario e, anche senza quel potere sulle vicende politiche che il successore di Pietro ha perso da più di due secoli, continua ad avere un grande “peso specifico”. La sua voce ormai fioca, il suo inedito messaggio che rimbalza su tutti i media e ci raggiunge, il suo stesso comportamento, si oppongono radicalmente al feroce sistema economico vigente (Francesco ha sempre avuto il coraggio di chiamarlo con il suo nome: capitalismo) come all’ordine politico mondiale e ai leader dei ricchi Stati nazione del nord del mondo, complici dell’economia della diseguaglianza e operatori di guerra.
La seconda ragione che ha ispirato questo monografico e i contributi che leggerete di seguito riguardano più da vicino la persona stessa di Bergoglio Francesco, la sua filosofia, la sua insistenza (su certi temi) e la sua assenza (su altri). A volte – quasi tutte le volte – l’apparenza inganna. Papa Francesco si presenta a noi e al mondo come un uomo anziano, bonario, sorridente, semplice. Ma almeno l’ultimo aggettivo non lo rappresenta affatto. Francesco è tutt’altro che semplice, anche per questo viene voglia di approfondire i diversi aspetti della sua persona, del suo stile, del suo messaggio.
La complessità, direi addirittura la “pluralità” di BergoglioFrancesco, era già chiara al primo apparire del novello papa dal balcone affacciato su piazza San Pietro. Francesco è un argentino, un figlio del Sudamerica, un imprinting fortissimo, paragonabile al legame di Karol Wojtyla con la patria, la cultura e la religiosità polacca. Francesco è un gesuita (il primo papa gesuita), quindi è figlio dall’approccio epistemologico e della formazione “militare” di Ignazio di Loyola, ha una storia, un orizzonte teologico molto caratterizzato. Bergoglio non è un teologo come Montini e Ratzinger, ma il suo essere gesuita è una componente importante della sua visione del mondo e della missione della Chiesa.
Ma Bergoglio è anche colui che ha scelto di chiamarsi Francesco per indicare il poverello di Assisi come il suo punto di riferimento, la sua attenzione ai poveri e ai diseredati, la povertà, la semplicità e il rigore come sua scelta esistenziale e immagine di quel che dovrebbe diventare (o tornare a essere) la Chiesa di Cristo.
Infine, Jorge Bergoglio è un uomo. Un maschio, a capo della più grande istituzione maschile e maschilista mai apparsa nella storia. Da qui, o almeno anche da qui, il suo complesso rapporto con “il problema delle donne”, e chiedo scusa per la orrenda espressione. La donna, le donne – diceva Giuseppe Stoppiglia – non sono un problema, sono la parte migliore di noi, un miracolo, una meraviglia.
È notte fonda (madrugada appunto) ma l’alba già si intuisce. Devo chiudere, ho promesso a Stefano di fargli avere questa mattina il mio “dentro al guscio” e come al solito sono in ritardo, l’ultimo degli ultimi. Ora si è fatta luce e mi assalgono a tradimento il pensiero, la nostalgia, le carezze di Beppe. Adesso arrivano anche le lacrime. Ma cosa direbbe oggi Beppe, cosa scriverebbe di papa Francesco? Gli voleva molto bene, senza rinunciare alla critica e al richiamo alla profezia. L’unica cosa che so, ed è stato lui a insegnarmela, è che non potremo capire papa Francesco, anzi, non potremo mai capire veramente niente di niente, se ci limitiamo a usare cultura, conoscenza, ragionamento. Se vogliamo capire dobbiamo rischiare un po’ di noi stessi.
Francesco Monini
direttore responsabile di madrugada
vive e lavora a Ferrara